Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 1:11
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 4 minuti
Cambia colore:
 

Caso Cacciola, al via il processo

PALMI Nel raccontare la sua storia – messa nero su bianco in un`ordinanza di custodia cautelare – erano stati gli stessi inquirenti ad affermare che sembrava tratta da un film, interrotto bruscamente…

Pubblicato il: 29/11/2012 – 20:16
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
Caso Cacciola, al via il processo

PALMI Nel raccontare la sua storia – messa nero su bianco in un`ordinanza di custodia cautelare – erano stati gli stessi inquirenti ad affermare che sembrava tratta da un film, interrotto bruscamente dalla morte della protagonista,  Maria Concetta Cacciola, figlia, moglie e donna di mafia che ha pagato a prezzo della vita la sua richiesta di libertà.  Ha deciso di suicidarsi nell`agosto 2011 con un cocktail di acido muriatico per scappare da un mondo in cui sarebbe stata sempre la figlia di Michele Cacciola, cognato del boss Bellocco, e la moglie di Salvatore Figliuzzi, in carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso. Era moglie, figlia, sorella dei cosiddetti “uomini di rispetto”, con tutto quello che ciò implica, anche oggi, a Rosarno, provincia di Reggio Calabria. Un fardello che Cetta non riusciva più a sostenere e del quale aveva deciso di liberarsi. Uno sgarro che la famiglia non le ha mai perdonato.
Di quella storia, oggi gli inquirenti hanno iniziato a scrivere il “sequel’’, con l`inizio del procedimento a carico del fratello di Cetta , Giuseppe, del padre Michele e della madre Anna Rosalba Lazzaro. Dovranno tutti rispondere di maltrattamenti in famiglia, così come delle violenze e minacce utilizzate per costringere Maria Concetta a ritrattare le dichiarazioni fatte all`autorità giudiziaria contro i familiari, inducendola dunque a commettere i reati di falsa testimonianza e favoreggiamento.
Dopo le schermaglie iniziali, il processo è entrato nel vivo con la deposizione del vice capo della squadra mobile di Reggio Calabria, Francesco Rattà, all`epoca dei fatti dirigente del Commissariato di Gioia Tauro e autore di una delle informative che hanno portato poi all`arresto dei tre imputati. Ma soprattutto Rattà è uno degli investigatori che, grazie alle intercettazioni, ha ricostruito il calvario di Cetta. Un calvario che oggi Rattà ha messo a conoscenza dei giudici ripercorrendo passo passo quelle conversazioni – di cui la pubblica accusa, rappresentata dal procuratore di Palmi Giuseppe Creazzo e dai pm Giulia Mascia e Francesco Ponzetta, ha chiesto e ottenuto la trascrizione e la messa agli atti –  che svelerebbero le pressioni esercitate dai genitori e dal fratello su Maria Concetta perché ritrattasse  le dichiarazioni rese alla Dda di Reggio Calabria.
Vessata, segregata in casa e seguita a vista quando usciva, pestata a sangue perché sospettata di avere un amante, Maria Concetta – quando per caso viene chiamata in questura perché il figlio maggiore ha combinato un guaio con il motorino – aveva infatti deciso di chiedere aiuto. E aveva iniziato a parlare: aveva dato un`identità a luoghi e a persone fino ad allora nell`ombra, aveva svelato affari e coperture. Immediatamente inserita nel programma di protezione testimoni, ma prima di lasciarli, Cetta aveva affidato i figli alla madre: “Dove non ce l`ho fatta io so che puoi.. ma di un`unica cosa ti supplico, non fare l`errore mio… a loro dai una vita migliore di quella che ho avuto io. A tredici anni, sposata per avere un po` di libertà, credevo che potessi tutto, invece mi sono rovinata la vita perché non mi amava, né l`amo, e tu lo sai”, scriveva Cetta nella lettera con cui tentava di spiegare alla madre le ragioni della sua collaborazione.
Ma quegli stessi figli sarebbero stati usati dalla cosca come cavalli di Troia per costringerla a tornare a Rosarno e ritrattare tutte le dichiarazioni fatte ai magistrati. A Cetta sarebbe stato imposto di scrivere una lettera e registrare un nastro, nel quale affermava di aver accusato la sua famiglia per vendicarsi del padre e del fratello che la maltrattavano. Qualche giorno dopo, Cetta sarebbe scesa nello scantinato e, chiusa la porta alle spalle, si sarebbe suicidata.
È questa la conclusione tragica del calvario della donna, di cui oggi il padre, la madre e il fratello sono chiamati a  rispondere in quel processo che tenta di ristabilire la verità dopo la condanna a morte emessa per Cetta dal tribunale dell`onore della `ndrangheta per il reato di libertà.  Una libertà che Cetta ha cercato a tutti costi, decisa a dare una vita diversa a sé e ai propri figli, ma condannata a pagare – scrive ancora il gip – «il doloroso prezzo che le ha inflitto il destino, che è stato quello di farla nascere in una famiglia che ha praticato il culto dell`onore, elevato a principio cardine dell`esistenza, in ossequio al quale nessuno viene scrutato negli occhi e nel cuore, e per la cui osservanza si impone spesso, a chi non lo condivide, di morire lentamente in un inferno di regole non volute, da cui a volte è possibile fuggire via solo a costo della propria vita».

Argomenti
Categorie collegate

x

x