Slot e clan, ecco come le `ndrine taroccano le schede
Le `ndrine hanno appreso alla perfezione i meccanismi del gioco illegale online e hanno imparato bene come truccare le slot machine. Infatti, dalle carte dell`inchiesta della Dda e della guardia di f…

Le `ndrine hanno appreso alla perfezione i meccanismi del gioco illegale online e hanno imparato bene come truccare le slot machine. Infatti, dalle carte dell`inchiesta della Dda e della guardia di finanza di Bologna – che ha portato in carcere 29 persone tra le quali anche il boss di Marina di Gioiosa Jonica, Nicola Femia e i suoi figli Rocco e Guendalina – emerge che un`altra fonte di guadagni illeciti del gruppo Femia è «costituita dalla commercializzazione e noleggio di schede informatiche per apparecchi automatici e semiautomatici da intrattenimento». La normativa di settore prevede che tali apparecchi debbano
essere muniti di una scheda informatica, il cui modello originario viene omologato dall`amministrazione autonoma dei Monopoli. Una volta commercializzati con un nulla osta dell`amministrazione dei Monopoli e messi in esercizio, gli apparecchi debbono essere obbligatoriamente collegati in rete. Ognuna di esse viene commercializzata con una denominazione convenzionale riferita alle caratteristiche grafiche del gioco proposto. Le schede, collegate in rete, permettono di controllare le modalità del gioco; di monitorare i volumi di gioco, (monitoraggio finalizzato al prelievo fiscale sulle somme spese dai giocatori). In questo caso usare in modo illegale le schede impedisce la corretta trasmissione dei dati relativi al volume di gioco. Ciò consente, a chi ha la disponibilità dell`apparecchio da intrattenimento, di appropriarsi di parte delle somme che sarebbero invece destinate all`obbligazione fiscale, causando così un danno per l`Erario.
Ecco come – secondo gli inquirenti – l`organizzazione di Femia affiancava la commercializzazione di schede contraffatte al noleggio e alla vendita di quelle normali. I sodali del boss avrebbero prodotto schede il cui software già conteneva un programma informatico (diverso da quello esibito all`amministrazione finanziaria in sede di omologazione) già predisposto affinché durante l`utilizzo la trasmissione del reale volume di gioco avvenga in modo parziale. Nel corso dell`indagine si è poi accertato che per raggiungere una posizione di rilievo nell`ambito del commercio illecito di schede contraffatte, Nicola Femia avrebbe acquisito il controllo di imprese accreditate presso l`amministrazione finanziaria quali produttori di schede regolarmente omologate. Si tratta esattamente della “Arcade srl.” e della “Astor Sri” società di cui Femia ha conseguito il controllo tramite la falsa intestazione di quote sociali a prestanome.
L`inchiesta ha evidenziato come il gruppo Femia pretendesse, per la cessione di schede della tipologia indicata, un prezzo naturalmente maggiore rispetto a quelle che operavano invece regolarmente. Secondo i magistrati, Letizia Cucchi, dipendente di Femia con il ruolo di impiegata, «era esattamente consapevole di questa realtà mantenendo i contatti commerciali con gli acquirenti delle schede contraffatte che lei stessa, spesso, distingue da quelle con caratteristiche normali, indicandole come “quelle con le serigrafie belle” ovvero “quelle con le serigrafie belle; capisci a me!”. Inoltre, sono state acquisite ulteriori conversazioni, nel corso delle quali acquirenti di schede contraffatte chiedono a Femia (o ad altri del gruppo), chiarimenti sul loro funzionamento, e in qualche caso chiedono se sia possibile ripristinare il regolare funzionamento della scheda».
A fronte di un simile quadro indiziario, la guardia di finanza ha effettuato controlli nelle sale gioco dove risultavano installate schede commercializzate da Femia, ovvero acquisiti gli atti di controlli sviluppati su iniziativa dell`amministrazione dei Monopoli, che aveva registrato l`anomala trasmissione di volumi di gioco inferiori rispetto a quelli realizzati da apparecchi da intrattenimento della stessa tipologia. Informato dei controlli, Nicola Femia – mettono nero su bianco gli inquirenti – «attivava la sua rete di complicità per evitare conseguenze giudiziarie».