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Università, l`allarme del Cun Ecco quanto spende la Calabria

Nel giorno in cui il Consiglio universitario nazionale ha diffuso l`anteprima di un documento sulla “fuga dalle università”, andare a spulciare nella nota spese dei tre poli accademici della nostra r…

Pubblicato il: 31/01/2013 – 17:21
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Università, l`allarme del Cun Ecco quanto spende la Calabria

Nel giorno in cui il Consiglio universitario nazionale ha diffuso l`anteprima di un documento sulla “fuga dalle università”, andare a spulciare nella nota spese dei tre poli accademici della nostra regione non fa ben sperare. Su scala nazionale, il Cun fornisce una serie di cifre dettagliatissime per sottolineare che in dieci anni gli studenti sono scesi di 50mila unità, e che dal 2009 il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) è calato del 5% ogni anno, così come il numero di docenti (-22% rispetto al 2006). «Su queste basi moltissime università sono a rischio dissesto». Gli atenei – anche questo è un indirizzo nazionale – si muovono in un quadro di mancate assunzioni – se si eccettuano quelle “fisiologiche” per tappare le caselle lasciate vacanti da chi va in pensione – e uscite “congelate”, visto che il governo ha fissato un tetto all’indebitamento e alla spesa per il personale e in percentuale alle entrate, rispettivamente al 10 e all’80%.
Che ne sarà degli atenei calabresi? Intanto, ecco la fotografia dei tre atenei calabresi (dati Miur).

LE SPESE DI PERSONALE In una recente tabella riferita alle università statali, il ministero dell`Istruzione, Università e Ricerca traduce in numeri uno scenario disperato. Le università di Catanzaro e Arcavacata di Rende (Unical) non ricevono – uniche in Italia, assieme a Chieti-Pescara e Siena (Università per stranieri) – finanziamenti esterni per le spese di personale. Le loro uscite nel settore, rispettivamente, ammontano a 23.641.247 e 94.741.760 €. La Mediterranea di Reggio Calabria spende in personale 31.017.537 € – a fronte di oltre 250mila di finanziamenti esterni – e sfiora i 38 milioni di entrate complessive, tra Ffo, programmazione e tasse degli studenti.
Tornando a Catanzaro e Rende, le entrate ammontano complessivamente a 43.413.919 e 119.421.960 €. E dunque, per il personale, Reggio, Catanzaro e Rende spendono rispettivamente l`81,01, il 54,46 e il 79,33%. L`ateneo della città dello Stretto, superando la soglia dell`80% – mezzo punto sopra la Sapienza –, rientra nella top-ten degli “spendaccioni” in compagnia di Roma-Tor Vergata, Cassino, Bari, Foggia, Messina, Napoli (Federico II e Seconda Università), Palermo, Sassari e Udine.
Considerato che il dato nazionale per le spese di personale è del 74,47%, solo Catanzaro se ne discosta di ben 20 punti, mentre Reggio e Rende lo superano. L`università del capoluogo è nel “club” delle formiche, facendo meglio addirittura del Politecnico di Milano (54,73%) ma non di Pisa e Trieste (Normale e Sissa si fermano al 46,13 e 49,86%); la più virtuosa – con il suo 43,11% – è però la Scuola superiore Sant`Anna (Pisa).

INDEBITAMENTO L`indicatore di indebitamento segnala invece una Reggio virtuosa: o%. Catanzaro totalizza lo 0,15% mentre l`Unical si piazza al 5,39% (sopra il totale nazionale pari al 5%): per il Campus universitario di Arcavacata, a differenza dei primi due, superano il milione gli oneri di ammodernamento (1.265.226 €) e i fitti passivi a carico dell`ateneo (1.203.801 €). Con una popolazione universitaria di 34mila unità in totale, però, la cittadella alle porte di Cosenza fa valere le sue dimensioni anche alla voce “entrate complessive nette” (118.218.159 € contro i quasi 44 e quasi 38 milioni di Catanzaro e Reggio).   

ASSUNZIONI Il decreto definisce firmato dal ministro Profumo definiva, ateneo per ateneo, i cosiddetti «punti organico» da utilizzare nell’anno corrente (un punto organico corrisponde a 120.151 €, cioè il costo medio nazionale di un professore di prima fascia). Ebbene, qui a “soccombere” sono Catanzaro (0,78 punti, terzultima in Italia quanto a possibilità di assunzioni) e Reggio (1,57), mentre Cosenza ne totalizza – sono sempre dati Miur – 4,79.
Per il triennio che si conclude nel 2014 le Università statali possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato nel limite di un contingente pari a una spesa del 20% di quella relativa al personale “cessato dal servizio” nell`anno precedente (nel 2015 il limite è fissato al 50% mentre dal 2016 le assunzioni potranno coprire il 100% della spesa del personale cessato). «Torna la logica del bastone e della carota cara al ministro Profumo», aveva commentato tre mesi fa la Flc-Cgil.
«Se si eccettuano docenti, ricercatori e dipendenti – ha notato ieri Antonio Vanuzzo su Linkiesta –, in cassa rimangono pochi spiccioli. Unita al blocco del turnover nella Pa, che risale al 2009, la cronica mancanza di risorse sta uccidendo gli atenei minori, che non hanno fondi per confermare docenti e ricercatori, e dunque subiscono un elevato turnover che inevitabilmente abbassa la qualità della didattica. D’altronde, i fondi ministeriali servono a malapena a pagare gli stipendi a fine mese. Numeri che non stupiscono in un Paese che spende in media 9mila euro per studente rispetto a una media Ocse di 14mila». Le conclusioni sono impietose: «In Italia un ateneo su tre è congelato. Non può assumere, se non per sostituire il personale andato in pensione l’anno precedente. Una situazione che riguarda tanto le piccole sedi quanto i big. In totale sono 22 su 60 le università pubbliche che sforano i paletti imposti dalla spending review».
Come dire che il decreto legislativo 49/12 ha applicato i famosi “tagli” dell`era Monti all`università italiana, causando una ferita trasversale e indiscriminata. E così l`invito – giustissimo – a spendere meno rischia di tagliare anche le gambe della nostra ricerca.

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