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Se lo spacciatore è “di buona famiglia”

COSENZA Due anni di indagini per smantellare una piccola holding criminale dalle attività multiformi: traffico e spaccio di droga e usura. Un’organizzazione con due sottogruppi: uno composto da perso…

Pubblicato il: 13/02/2013 – 13:47
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Se lo spacciatore è “di buona famiglia”

COSENZA Due anni di indagini per smantellare una piccola holding criminale dalle attività multiformi: traffico e spaccio di droga e usura. Un’organizzazione con due sottogruppi: uno composto da persone già note alle forze di polizia, l’altro formato da giovani incensurati e “di buona famiglia”, ai quali era delegato lo spaccio, soprattutto tra gli studenti dell’Università della Calabria.
I risultati dell’inchiesta della guardia di finanza di Cosenza, guidata dal capitano Paolo Melucci, sono stati raccolti oggi, dopo un blitz al quale hanno partecipato 60 militari e una unità cinofila antidroga. All’alba sono state eseguite otto ordinanze di custodia cautelare, firmate dal gip Luigi Branda su richiesta del pm Francesco Cozzolino, e dodici perquisizioni.
Il leader di uno dei due sodalizi criminali era Giuseppe Gagliardi, un 40enne con condanne già passate in giudicato. Era lui a occuparsi di tutto: dall’approvvigionamento della droga alla concessione dei prestiti. In manette sono finiti anche Francesco Candido, di 35 anni, e Fabio Corrente, di 36. Arresti domiciliari, invece, per Vito Corrente (39), Stefano Straface (26), Francesco Di Cianni (24), Pasquale Napoli (23) e Stefano Pisciotta (30).
Nel corso delle indagini sono stati sequestrati cinque panetti di hashish (per un peso complessivo di 500 grammi), un bilancino di precisione, due grammi di hashish e cinque di marijuana.
Le fiamme gialle hanno scoperto una fitta rete di traffico di stupefacenti. Gli indagati, grazie alla grande disponibilità di marijuana, hashish e cocaina, avevano messo su un business molto fruttuoso, con una distribuzione capillare tra Cosenza, Rende, Cetraro e Bianchi.
Ma non era lo spaccio l’unica attività sulla quale si basava l’organizzazione scoperta dalla guardia di finanza. Gli utili dello smercio di “roba”, infatti, venivano reinvestiti. L’“azienda” criminale spendeva parte dei proventi nell’acquisto di nuovo stupefacente da piazzare sul mercato. Il resto, invece, veniva utilizzato per la concessione di prestiti con l’applicazione di tassi usurari del 180% all’anno. Con tutto l’armamentario del caso: per chi non riusciva a onorare gli impegni arrivavano minacce e intimidazioni che spesso sfociavano in violenze.

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