LAMEZIA TERME Di dimissioni non vuol nemmeno sentir parlare: «Continuerò nel mio ruolo fino al termine della fase congressuale». Il commissario pd Alfredo D`Attorre è reduce dall`ultima riunione dell`esecutivo regionale a Lamezia Terme. Un incontro per fare il punto della situazione all`indomani delle elezioni politiche, che anche in Calabria consegnano la fotografia di un partito incapace di vincere malgrado gli avversari abbiano fatto di tutto per perdere. Invece i democrat regionali si ritrovano ancora una volta a leccarsi le ferite, con D`attorre che, suo malgrado, è l`unico a fare un mea culpa pubblico. Dalla sede lametina del partito, il neodeputato prova a rimettere a posto tutte le tessere e a dare un`interpretazione meno mortificante del risultato elettorale. La prende inizialmente larga, quando dice che «il voto meridionale è diverso da quello che ci aspettavamo». Poi torna sulla questione Calabria, dove «pur riducendo il divario con il centrodestra, non siamo riusciti a vincere». Accanto a lui, nel momento in cui l`espiazione dei peccati politici del Pd chiede interlocutori (ed elettori) disposti al perdono, non c`è nessun nuovo parlamentare. D`attorre è solo, e da solo regge come può il peso di una “sconfitta bianca” che in ogni caso brucia parecchio.
«Questo voto – prova ad abbozzare – è una sfida al cambiamento, nell`ottica di un nuovo rapporto con la società. La nostra consapevolezza servirebbe anche al centrodestra, che continua a festeggiare nonostante in pochi anni abbia perso centinaia di migliaia di consensi». Per il commissario democrat l`esito elettorale non deve essere interpretato in chiave localistica, bensì da un punto di vista più generale e politico. Non sono sbagliate le liste calabresi, che «hanno avuto un`incidenza marginale», ma sono le «tendenze di fondo» quelle su cui «dobbiamo interrogarci».
I cittadini – è il ragionamento di D`Attorre – «non hanno votato per il Movimento 5 Stelle o per Scilipoti»: la scelta sarebbe stata fatta insomma a prescindere dagli uomini e dalla loro storia. Dunque, è probabile che non ci siano nemmeno responsabilità sulla compilazione finale delle liste. Una logica che al commissario pd torna utile anche per rigettare le bordate di chi già comincia a invocare le sue dimissioni: «Rimarrò in Calabria, anche da parlamentare. Capisco che da parte del centrodestra ci sia la speranza che vada via, perché ho riaperto una partita politica che sembrava compromessa, ma ho intenzione di continuare il mio lavoro». E a chi, maliziosamente, gli imputa un impegno in Calabria finalizzato esclusivamente all`ottenimento di uno scranno a Montecitorio, D`Attorre risponde piccato: «Ho avuto la possibilità di candidarmi in altre regioni e di essere eletto in modo tranquillo. Oppure potevo essere inserito nel listino bloccato, senza sottopormi alle primarie del partito. Queste illazioni saranno smentite dalla attività che condurrò nei prossimi tempi».
Al di là delle dimissioni, però, resta il nodo di un partito incapace di offrire un modello credibile ai calabresi e alternativo al centrodestra. Una compagine, quest`ultima, falcidiata da un`estesa emorragia del consenso, ma che è riuscita comunque a battere chi già sentiva di avere la vittoria in tasca. Sui grandi temi calabresi il Pd ha latitato? D`Attorre rifiuta il sospetto di inciuci sotterranei e trasversali con l`altro polo, ma è comunque costretto a fare qualche ammissione: «Forse è vero che ci siamo imborghesiti. Dovremmo leggere meno i giornali e stare più a contatto con i problemi dei cittadini». Il commissario regionale è pronto a fare autocritica, ma fino a un certo punto. E così alla debacle elettorale del suo partito contrappone quella del Pdl calabrese, retto dal governatore e coordinatore regionale Peppe Scopelliti. «Abbiamo avuto una perdita di consensi pari a 10 punti percentuali rispetto alle Politiche 2008 – spiega –. Un calo notevole, che diventa però drammatico nel caso del Pdl, che ha registrato un -17%, con 48mila voti in meno in relazione alle ultime Regionali».
D`Attorre prova insomma a guardare quanto di buono è rimasto nel suo partito, passato dal 15,8% del 2010 al 22,4% dell`ultima tornata elettorale. Certo, non basta. L`obiettivo era vincere in Italia e vincere in Calabria. La chiave interpretativa che spiega tutto la offre lo stesso commissario, secondo cui il Pd è stato incapace di «capire fino in fondo la sofferenza sociale, che ha inciso sulla carne viva del nostro elettorato». Le primarie hanno rappresentato allora un argine estremo: «Se non le avessimo fatte saremmo stati travolti da questo terremoto». Che ha un agente preciso: il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. «Lui e i suoi parlamentari – osserva D`Attorre – dovranno decidere se accogliere la battaglia di cambiamento proposta da Bersani». Il cambiamento, già. Il parlamentare democrat ripete spesso il concetto. Anche quando la discussione scivola sul nervo scoperto dei congressi. «Riprenderemo quella stagione – giura –, trasformandola in un momento non rituale e burocratico, ma nel quale incontrare le istanze reali della società». D`Attorre ha promesso che ci sarà fino alla fine e che non abbandonerà la nave, malgrado il mare sia sempre più procelloso. Il commissario non si tocca, allora. Nel Pd non è cambiato niente. Sulle pareti della sede di Lamezia, intanto, campeggiano ancora i manifesti elettorali. In uno si legge: «È ora di voltare pagina». Ma non è successo nel Paese. E non è successo in Calabria.
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