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Lontani dalle liturgie

In genere evito ogni partecipazione alla liturgia della solidarietà da esprimere in forma pubblica a corollario di nuove intimidazioni mafiose. Preferisco, quando ritengo, farlo in maniera privata …

Pubblicato il: 08/03/2013 – 19:00
Lontani dalle liturgie

In genere evito ogni partecipazione alla liturgia della solidarietà da esprimere in forma pubblica a corollario di nuove intimidazioni mafiose. Preferisco, quando ritengo, farlo in maniera privata o, meglio ancora, ricorrendo alla testimonianza operativa e quindi attraverso il lavoro quotidiano del cronista.
Mi regolo così, memore dell`ammonimento di Carlo Alberto Dalla Chiesa: «Quasi sempre la prima corona è quella del mandante». In Calabria, spesso, anche la seconda, a leggere la pioggia di attestati che arrivano a conforto del magistrato della Dda reggina Giuseppe Lombardo.
Se si voleva dargli una mano, più che incitarlo ad andare fino in fondo, cosa di cui Lombardo ha dimostrato di non avere bisogno attesa la determinazione e la caparbietà fin qui dimostrate, si poteva fare in modo di evitare che tutti i suoi più stretti collaboratori venissero fatti oggetto di delegittimazione e allontanati dalle indagini e dalla Calabria.
Faccio strappo alla regola che fin qui ho rispettato e manifesto non tanto solidarietà ma piuttosto ammirazione verso il dottor Giuseppe Lombardo.
Penso di capire lo stato d`animo con il quale questa mattina ha indossato nuovamente la toga ed è andato in Aula a rappresentare la pubblica accusa. Penso di capirlo senza avegli telefonato (non sapevo davvero cosa dire che non apparisse rituale e scontato) e senza avere chiamato nessuno dei suoi pochissimi amici e collaboratori. Penso di averlo capito dalle poche parole date a commento della nuova vile minaccia ricevuta: «L`unica cosa che mi provoca amarezza – ha detto Lombardo – è dovere sacrificare ulteriormente i miei affetti privati, la mia famiglia. Per il resto, conosco i miei doveri e continuerò ad agire di conseguenza».
È stata dura, per chi ha pelle, nervi, sensibilità, cuore, cervello da uomo “normale”, mettersi la toga, preparare le carte, sistemare la borsa, tranquillizzare chi si occupa della sua sicurezza e poi tornare davanti alle gabbie tracimanti odio per riprendere con normalità il proprio lavoro. È stata dura ma era anche indispensabile. Perché andava dimostrato, subito, che non c`erano tentennamenti e non c`era cedimento. Non perché ci si sente supereroi, non appartiene a questa supposta categoria, Giuseppe Lombardo, ma al contrario perché si è uomini veri. E gli uomini veri non sottovalutano i rischi e conoscono la paura, solo che non ne diventano succubi.
Adriana Musella ha centrato il problema nella secca e coraggiosa nota affidata alla stampa: «Lo Stato e la mafia – scrive la presidente di Riferimenti – o si combattono o si alleano. Quando non ci si allea, ecco che arrivano i pacchi bomba. Se tutti i magistrati fossero della stessa statura e onestà di Lombardo, forse il problema sarebbe in gran parte già risolto. Purtroppo anche la magistratura in questo Paese, e maggiormente in terra di `ndrangheta, ha dimostrato di essere, invece, nel problema».
Dagli uomini delle istituzioni invece di parole, più o meno sincere, arrivino piuttosto iniziative capaci di garantire a Lombardo non solo la dovuta sicurezza ma anche la concreta possibilità di lavorare. Magari evitando che, come accaduto da ultimo il 21 febbraio scorso, si ritrovi da solo a dover presenziare quale pm in tre diversi dibattimenti.
Giuseppe Lombardo ha buone letture, come dimostra la scelta di commentare l`ultima intimidazione subita citando Bertold Brecht: «Chi non conosce la verità è uno sciocco ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente».
Per quel che ci compete, dottor Lombardo, noi la verità a cui lei fa riferimento la conosciamo e continueremo a dire che è verità, a prescindere dai tentativi, reiterati, di nasconderla e farla apparire per bugia.
E, intanto, grazie!

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