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Maurizio Lo Giudice si trincera dietro il silenzio

REGGIO CALABRIA «Quanto ha preso allo Stato, quanto ha rubato allo Stato, signor Lo Giudice?». Non si può dire che la deposizione dell’ex collaboratore di giustizia Maurizio Lo Giudice abbia lasciato…

Pubblicato il: 30/04/2013 – 17:38
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Maurizio Lo Giudice si trincera dietro il silenzio

REGGIO CALABRIA «Quanto ha preso allo Stato, quanto ha rubato allo Stato, signor Lo Giudice?». Non si può dire che la deposizione dell’ex collaboratore di giustizia Maurizio Lo Giudice abbia lasciato indifferente la pm Beatrice Ronchi. I «non so, non ricordo» con cui il teste risponde alle sue domande prima la fanno innervosire, poi esplodere. Ma il muro di silenzio dietro cui Lo Giudice sembra trincerarsi non cede né ai toni duri, né alle velate minacce di denuncia per falsa testimonianza che tanto il pm Ronchi, tanto la presidente del Tribunale di Reggio Calabria, Silvia Capone, lasciano scivolare in un’udienza dai toni oltremodo agitati.

GUERRA IN AULA
Chiamato come testimone al processo che vede alla sbarra buona parte dei suoi familiari e che ha nel fratello pentito Nino, il principale teste d’accusa, alle domande del pm, Maurizio Lo Giudice inizia a rispondere in maniera vaga e imprecisa. «Parlando della mia famiglia, io non facevo riferimento a una vera e propria cosca, ma a un clan familiare», dice l’ex collaboratore per rispondere al sostituto che gli chiede di specificare ruoli e compiti dei suoi oggi dietro le sbarre. Una risposta che non piace alla Ronchi e a che più riprese – invano – ripropone. Dribbla le domande Maurizio Lo Giudice, non ricorda – afferma – cosa abbia detto in passato del cognato Bruno Stilo o del nipote, Natino Pennestrì. Ma via via che le domande si accumulano e l’ira del pubblico ministero cresce, lasciando il passo a lunghe contestazioni fatte in punta di precedenti interrogatori, le risposte di Lo Giudice si accartocciano su un «non so, non riesco a ricordare» e tali rimangono.
«Sono passati anni luce dalle dichiarazioni che ho fatto, non mi ricordo quello che ho dichiarato, la mia testa non funziona, sono stato malato per tanti anni. Se ho detto il vero o il falso non mi ricordo», esplode Lo Giudice sotto il fuoco delle domande. Affermazioni che non sembrano convincere né il pm, che con una staffilata ricorda all’ex collaboratore che «in altre udienze e interviste non sembrava così obnubilato», né la presidente Capone che a più riprese chiede a Lo Giudice se «quelle dichiarazioni messe nere su bianco», corrispondano a verità. Uno scambio di battute concitato che scivola quasi nel paradosso quando Lo Giudice minaccia di alzarsi dal banco dei testimoni e andare via: «Non capisco perché uno che ha sbagliato deve per tutta la vita sottoporsi a processi, testimonianze e interrogatori. Se lei mi vuole denunciare – dice alla pm Ronchi – se mi vuole arrestare io sono qua. Mi faccio un altro paio di anni, ma almeno la finiamo. Sono stanco, stufo, sono esaurito», esplode Lo Giudice, con la voce che quasi gli si incrina. È il momento di tensione massima, che non verrà mai sciolta. Chiuso a riccio, Maurizio Lo Giudice non sembra aver intenzione di rispondere alle domande sui suoi familiari, tanto meno sulle relazioni dei suoi familiari. Un nodo centrale del procedimento come delle dichiarazioni del pentito Nino Lo Giudice, che più volte ha parlato dei rapporti privilegiati che lo avrebbero legato al superboss Pasquale Condello e al suo clan.

RAPPORTI TRA GIUDICE E CLAN CONDELLO
Ma genericamente interrogato sul punto, Maurizio si limita a dire: «Con i Condello c’erano rapporti di amicizia. Scendevano spesso a casa mia, parlavano, ma non so cosa si dicessero. Era il periodo della morte di mio fratello prima e di mio padre poi», per poi aggiungere: «Non c’erano solo loro, sono venute persone di tante famiglie». Quasi a sottolineare che con i Condello, i Lo Giudice non hanno mai avuto alcun particolare rapporto. E nonostante il suo nome non venga mai fatto in aula, tanto meno venga accennata la questione, è evidente che il vero argomento di confronto è proprio la latitanza del superboss, che il pentito Nino Lo Giudice afferma di avere prima gestito quindi tradito con puntuali soffiate di cui il Ros non ha mai avuto riscontro. Una questione chiave – in questo come in altri procedimenti – ma su cui Maurizio Lo Giudice non ha nulla da dire. E non basta al pm sbattergli in faccia gli oltre centomila euro che lo Stato gli ha elargito per la sua collaborazione, prima che decidesse volontariamente di interromperla. Lo Giudice non risponde. Solo sul perché abbia deciso di abbandonare dopo «sei-sette anni» il programma di protezione, l’ex collaboratore – voce tremula e tesa – cerca di essere chiaro, prima con il pm, quindi con il presidente Capone: «È stato un mix di fatti che mi ha costretto a lasciare. Mia moglie, incinta di 8 mesi, se n’era andata perché in un mese ci avevano spostato quattro volte dal Nord al centro Italia. Nel frattempo Nino aveva iniziato a sparare bombe mediatiche. Si stavano accumulando dichiarazioni che non condividevo in assoluto, come quelle su Cisterna, con cui io non volevo avere nulla a che fare. Qualsiasi cosa avesse escogitato Nino, qualsiasi cosa si fosse inventato io non volevo averci niente a che fare».

FERLITO, CISTERNA E IL REBUS CONDELLO
E proprio l’ex numero due della Dna, Alberto Cisterna, la cui rapidissima ascesa professionale è stata stroncata dai sospetti, mai provati, di illeciti rapporti con i Lo Giudice, è stato oggi – per l’ennesima volta – protagonista delle deposizioni di un testimone nell’ambito di un procedimento che non lo vede, né lo ha mai visto, imputato o indagato. A sedere infatti sul banco dei testimoni prima di Maurizio Lo Giudice è stato il colonnello dell’Aisi, Marcello Ferlito, chiamato a riferire sugli incontri che avrebbe avuto con Alberto Cisterna, Nino Spanò e Luciano Lo Giudice. Circostanze riferite – per motivi di sicurezza – solo al Tribunale e alle parti, mentre l’aula è rimasta per alcune ore inaccessibile al pubblico, ma di cui Ferlito aveva già in passato parlato in dettaglio nel corso di un interrogatorio. In quell’occasione, il colonnello dell’Aisi aveva chiarito non solo di aver avuto degli incontri con Luciano Lo Giudice, ma anche di aver ricevuto da quest’ultimo preziose informazioni per la cattura di un latitante. Ma non si trattava di Pasquale Condello, bensì di Antonio Rosmini. «Un primo incontro è avvenuto nel centro abitato di Fiumicino, in un ristorante dove abbiamo pranzato; sono certo della presenza del dottor Cisterna e di Spanò, ma dato che l’appunto riporta le notizie dettagliate che allora ebbi debbo ritenere che ci fosse anche Lo Giudice Luciano. Un secondo incontro si è svolto, come ho già detto a Reggio Calabria, al cantiere di rimessaggio nautico e sono sicuro che io rimasi a parlare da solo con Lo Giudice Luciano, mentre ritengo che il dottor Cisterna e Spanò in quell`occasione si siano allontanati. In tale secondo incontro, come risulta dall`appunto, vi è poco più che l`esibizione delle foto dei personaggi già menzionati nel primo incontro al ristorante di Fiumicino, dove invece la conversazione era avvenuta alla presenza di tutti i commensali, io, Cisterna, Spanò e Lo Giudice Luciano. Confermo quanto già detto che quest`ultimo e lo Spanò non fecero alcuna richiesta di denaro. Prendo atto che dalla documentazione trasmessa dall`Aise risulta un terzo incontro oggetto della nota datata 02/11/2004 e in cui si parla del latitante Antonio Rosmini. Sono sicuro che la fonte anche in questo caso era Lo Giudice Luciano, perché io non ho gestito altre fonti che mi abbiano parlato di Condello». Dichiarazioni in linea tanto con quanto più volte dichiarato da Cisterna, tanto con quanto messo agli atti in diversi procedimenti, nonché nella corposa informativa “Meta”, dal responsabile delle indagini sul “Supremo”, il colonnello Valerio Giardina, e che  presumibilmente oggi Ferlito ha ripetuto in aula. Dichiarazioni che risolvono il rebus delle dichiarazioni messe agli atti dai due ufficiali – il colonnello dell’Aisi convinto nell`affermare di aver fatto un sopralluogo a Santa Caterina per la cattura di un latitante e di aver ricevuto notizie riservate da una fonte confidenziale quale Luciano Lo Giudice, l’ex capo del Ros di Reggio certo nel sottolineare che mai ha ricevuto informazioni confidenziali per la cattura del “Supremo” – e che inequivocabilmente finiscono per cozzare con quanto più volte riferito dal pentito Nino Lo Giudice. Dichiarazioni di cui forse – adesso – si inizierà a tenere conto. (0050)

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