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"Crimine", falsa partenza per il processo d`appello

REGGIO CALABRIA Falsa partenza per il processo d’appello del procedimento “Crimine”. I 119 imputati che hanno scelto il rito abbreviato dovranno aspettare il prossimo 5 giugno perché il secondo grado…

Pubblicato il: 30/04/2013 – 17:58
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"Crimine", falsa partenza per il processo d`appello

REGGIO CALABRIA Falsa partenza per il processo d’appello del procedimento “Crimine”. I 119 imputati che hanno scelto il rito abbreviato dovranno aspettare il prossimo 5 giugno perché il secondo grado di giudizio entri nel vivo. A far saltare l’inizio del processo, fissato per oggi, un problema nella composizione della Corte, presieduta da Rosalia Gaeta, con Giuliana Campagna e Daniele Cappuccio, a latere. Proprio quest’ultimo è stato di recente trasferito ad altra sede, dunque non sarà in grado di seguire il procedimento, cui verrà assegnato nel corso del prossimo mese un nuovo giudice. Agli imputati toccherà dunque attendere ancora per sapere se verranno confermate o riformate le 92 condanne e 17 assoluzioni con cui si è chiuso il procedimento di primo grado.
Una sentenza che nelle intenzioni dei magistrati dell’accusa – coordinati dagli aggiunti Nicola Gratteri e Michele Prestipino – avrebbe dovuto essere molto più severa. E proprio una linea di maggiore severità, che riconosca tutte le aggravanti che in prima istanza non sono state tenute in considerazione, è probabilmente quella che invocheranno i pm Giovanni Musarò e Antonio De Bernardo, applicati al processo d’appello al fianco del pg Francesco Scuderi, magistrato di lungo corso ed esperto di criminalità organizzata. Un procedimento che già si annuncia lungo e complesso, perché è più che prevedibile che a pesare sul nuovo grado di giudizio ci siano anche acquisizioni investigative e dibattimentali venute fuori nel corso dell’ultimo anno. Intercettazioni ambientali, dossier fotografici, relazioni di servizio e testimonianze dei collaboratori di giustizia non utilizzate in prima istanza, che – lascia filtrare l’Ufficio di Procura – serviranno per invocare una linea di maggiore severità nei confronti degli imputati. Ma sul piatto del processo d’appello ci saranno anche – se non soprattutto – nuove prove, tracimate dalle operazioni e di procedimenti dell’ultimo anno che sembrano confermare il ridimensionamento di quella che il 13 luglio del 2010 era stata annunciata come la madre di tutte le operazioni contro la `ndrangheta. Ma lontano da flash e riflettori, nel tempo, di quella maxioperazione che aveva fatto incautamente gridare al «colpo letale per le `ndrine», sono iniziate a venire fuori le prime crepe, cristallizzate da una sentenza di primo grado che non ha voluto e potuto essere troppo severa con un’inchiesta che – nella migliore delle ipotesi – fotografa l’apparato militare e arcaico della `ndrangheta reggina. Un substrato necessario, un collante fondamentale per tenere insieme un’organizzazione complessa e articolata, capace di sedere nei cda di grandi multinazionali, come di imporre la guardiania su un terreno, e che per questo ha ancora bisogno di un’architettura di regole e prassi che ne tenga il braccio più operativo e legato al territorio e il gotha, i soldati e gli strateghi. I vertici decisionali – quelli che di santini e affiliazioni oggi, e forse non solo, possono serenamente permettersi di fare a meno – dalla dimensione fotografata dall’inchiesta “Crimine” sembrano essere lontani. Una dimensione fotografata dal gup Minutoli nelle motivazioni della sentenza con parole chiave: «La `ndrangheta, anche quella che importa dal Sudamerica cocaina o che ricicla nei mercati finanziari mondiali ingenti risorse economiche è quella che ha come substrato imprescindibile rituali e cariche, gerarchie e rapporti che hanno il loro fondamento in una subcultura ancestrale e risalente nel tempo, che la globalizzazione del crimine non ha eliminato ma che, probabilmente, costituisce la forza di quella organizzazione e il suo “valore aggiunto”». (0050)

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