Alba di Scilla, nessuna istituzione si costituisce parte civile
REGGIO CALABRIA Non ci sono – almeno per adesso – né Anas, né istituzioni locali, ma solo Confindustria locale e nazionale e la Abs Ing, una delle ditte taglieggiate, fra le parti civili ammesse oggi…

REGGIO CALABRIA Non ci sono – almeno per adesso – né Anas, né istituzioni locali, ma solo Confindustria locale e nazionale e la Abs Ing, una delle ditte taglieggiate, fra le parti civili ammesse oggi all’udienza preliminare del procedimento “Alba di Scilla” contro le cosche Nasone-Gaietti da tempo egemoni in zona. Un procedimento iniziato con una prima udienza tecnica, dedicata solo alla costituzione delle parti e alle schermaglie di rito fra la pubblica accusa e i legali, mentre bisognerà attendere la discussione – fissata per il 6 e 9 maggio prossimi –, per sapere se e quanti dei 19 soggetti coinvolti nelle operazioni “Alba di Scilla” 1 e 2 dovranno affrontare il giudizio e con quale rito. Per il pm Rosario Ferracane, che ha diretto l’inchiesta, sono tutti a vario titolo coinvolti nel sistema di estorsioni, taglieggiamenti, ricatti e minacce cui le cosche Nasone-Gaietti avevano sottoposto le ditte impegnate nei lavori sul quinto macrolotto dell’A3.
L’operazione, scattata il 30 maggio scorso, aveva portato all`arresto del presunto capoclan Virgilio Giuseppe Nasone e degli integranti di quella che gli inquirenti hanno definito la colonna vertebrale della cosca, composta da Arturo Burzomato, Carmelo Calabrese, Annunziatina Fulco, Matteo Gaietti, Francesco Libro, Antonino Nasone, Domenico Nasone, Domenico Nasone (cl. 69), Francesco Nasone, Rocco Nasone e Pietro Puntorieri. Un nuovo provvedimento era stato notificato anche a Giuseppe Fulco arrestato un anno fa “quasi in flagranza”, avevano spiegato all’epoca gli investigatori, perché fermato con in tasca i quattromila euro di un`estorsione. Quell`arresto – che ha dato il via alle indagini che hanno portato alla disarticolazione della storica cosca di Scilla che imponeva il proprio dominio anche sui lotti della Salerno-Reggio Calabria che ne attraversano il territorio – è avvenuto grazie alla denuncia di un piccolo imprenditore siciliano, vincitore dell`appalto per l`ammodernamento di un piccolo lotto della statale 18. La segnalazione dell`uomo, che ha immediatamente riferito alle autorità il tentativo di estorsione subito, ha innescato le indagini che hanno condotto gli inquirenti a svelare il sistema di taglieggiamento sistematico imposto dal clan.
Un’indagine condotta – hanno denunciato nel corso dei mesi gli inquirenti – in splendida solitudine. Nonostante lotto per lotto, metro per metro, le ndrine si sono spartite l`autostrada, con buona pace dell`esercito mandato a presidiare i cantieri, piccoli e grandi imprenditori hanno – nella migliore delle ipotesi – preferito il silenzio sulle estorsioni subite. Nonostante questo le indagini sono andate avanti ed è probabilmente grazie solo alla determinazione dei pm che pochi mesi dopo sono di nuovo scattate le manette per gli uomini dei Nasone Gaietti. A luglio, a finire dietro le sbarre sono stati tre soggetti, formalmente impegnati nei cantieri a difesa dei diritti dei lavoratori, in realtà occupati esclusivamente a riscuotere il pizzo per conto del clan. Per il pm, Francesco Spanò, rappresentante sindacale della Federazione Italiana Costruzioni e Affini della Cisl, Giuseppe Piccolo, responsabile della sicurezza sui cantieri e il caposquadra, Francesco Alampi caposquadra – oggi accusati di estorsione e furto aggravati dall’articolo sette, erano tutti uomini di Francesco Nasone. Un secondo provvedimento aveva contestualmente raggiunto Giuseppe Fulco, nipote diretto del defunto boss di Scilla Giuseppe Nasone già detenuto e sua madre Gioia Virgilia Grazia Nasone, 68 anni, accusata di essere il vero e proprio elemento di raccordo fra tra il figlio recluso ed i vertici del clan. Alla chiusura delle indagini, il pm ha chiesto inoltre il rinvio a giudizio per le fidanzate di alcuni degli uomini della cosca, Maria Benedetto e Caterina Meduri.
Uomini a vario titolo responsabili di quella “strategia della tensione” che per gli inquirenti ha condizionato lo svolgimento della vita economica e sociale della comunità scillese, non risparmiando neppure le piccole attività economiche del territorio. (0090)