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La longa manus dei Pesce Dagli appalti al calcio

REGGIO CALABRIA Al collegio dei giudici di Palmi, presieduto da Concettina Epifanio, sono servite ventotto pagine per illustrare in dettaglio la durissima sentenza di condanna che ha stangato capi, a…

Pubblicato il: 04/05/2013 – 12:44
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La longa manus dei Pesce Dagli appalti al calcio

REGGIO CALABRIA Al collegio dei giudici di Palmi, presieduto da Concettina Epifanio, sono servite ventotto pagine per illustrare in dettaglio la durissima sentenza di condanna che ha stangato capi, affiliati, gregari e accoliti del clan dei Pesce al termine del processo “All inside”. Un procedimento lungo e complesso, così come complesso è il dispositivo che ne ha sancito la conclusione in primo grado.
Dai diciassette giorni di camera di consiglio che i giudici hanno preteso per valutare in dettaglio tutte le risultanze su ogni singola posizione, sono scaturite quarantadue condanne, con pene variabili da sei mesi a ventotto anni, venti assoluzioni relative a reati minori e due non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Una conferma piena dell’impianto accusatorio costruito nel tempo dai sostituti della Dda di Reggio Calabria, Roberto Di Palma, Adriana Fimiani, Giuseppe Bontempo e Alessandra Cerreti, che con le loro indagini hanno inflitto colpi pesantissimi ai Pesce, per lungo tempo padroni di Rosarno, e sostenuto in dibattimento dai pm Alessandra Cerreti e Giulia Pantano. E il quadro emerso dalle indagini è quasi sconfortante. I Pesce erano – e sono – una famiglia non solo in grado di contaminare e condizionare il tessuto economico e sociale della città della Piana e del suo comprensorio, ma di prendere in mano tutto, dai pubblici appalti alle locali squadre di calcio, come il Sapri, la Rosarnese e l’Interpiana, dalle forniture alle radio, come quella Radio Olimpia, divenuta interfono del clan. Un clan potente e ramificato, tanto medioevale nelle logiche fondate sul falso mito dell’onore, del sangue e dell’omertà, quanto spregiudicato e avveniristico negli affari. Un clan i cui segreti e meccanismi sono stati svelati soprattutto grazie alla collaborazione di Giuseppina Pesce e le cui rivelazioni sono state fondamentali per inchiodare la propria famiglia. Anche per lei, pur riconoscendole tutte le attenuanti del caso, i giudici di Palmi hanno disposto una condanna: la pentita dovrà scontare 4 anni e 4 mesi, assieme all’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. Nulla a confronto con le pene pesantissime previste per i vertici del clan, stangati con condanne superiori ai vent’anni.

IL VERTICE DEL CLAN PESCE
È di ventotto anni la pena che i giudici hanno disposto per quello che gli inquirenti ritengono uno dei massimi vertici dell’organizzazione, Antonio Pesce “Testuni” (28 anni), mentre solo di pochi mesi inferiore – 27 anni e 7 mesi – nonostante l’assoluzione incassata per alcuni capi della rubrica, la condanna inflitta a Salvatore Pesce, padre della pentita Giuseppina, mentre 26 sono gli anni di carcere inflitta allo zio della collaboratrice Giuseppe Ferraro. Durissima anche la condanna per Francesco Pesce (classe 1984), individuato dagli inquirenti come la più rampante mente criminale fra le giovani leve del clan e condannato alla pena complessiva di 25 anni, 8 mesi e 4mila euro di multa perché riconosciuto colpevole di associazione mafiosa e di altri reati come la detenzione di armi anche da guerra. Pesante anche la condanna arrivata per Rocco Palaia, il marito della pentita, condannato a 21 anni e 2 mesi di reclusione, come per Francesco D’Agostino, che in cella dovrà stare per 19 anni e sei mesi. È di diciassette anni e dieci mesi la condanna che i giudici di Palmi hanno inflitto a Claudio Lucia, mentre sono diciassette gli anni di reclusione che dovranno scontare lo zio di Giuseppina Pesce, Mario Ferraro, riconosciuto colpevole di associazione a delinquere di stampo mafioso ma con il grado di partecipe e Franco Rao. Sedici anni e dieci mesi dovrà scontare Domenico Leotta, mentre è di sedici e otto mesi la condanna inflitta a Vincenzo Pesce (classe 1986). Qualche mese in meno dietro le sbarre – sedici anni e quattro mesi – dovrà passare Domenico Varrà, l’ex presidente della Rosarnese, la squadra di calcio del paese controllata dal clan Pesce e il cui presidente onorario era lo stesso Francesco Pesce. Quando gli inquirenti riusciranno a prenderlo, ci sarà una condanna di sedici anni ad attendere Giuseppe Pesce, il figlio del boss Antonino ancora latitante. Medesima pena che dovranno scontare Rocco Rao, Giuseppe Filardo e Domenico Fortugno. Quindici anni e sei mesi dovrà scontare Marcello Pesce, mentre 13 anni e dieci mesi sono andati a Roberto Matalone e Alberto Petullà e “solo” dodici Francesco Pesce (classe 1979), il fratello di Giuseppina, Francesco Pesce (classe 1987), il cugino Rocco Pesce (classe 1984), Yuri Odierna e Domenico Sibio. Condanne più miti ma sempre severe sono andate agli affiliati alla consorteria, come Mario Palaia, cugino del marito di Giuseppina, condannato a 10 anni di reclusione e 37.800 euro di multa, Andrea Fortugno, condannato a 9 anni e 8 mesi per reati aggravati dall’articolo 7, considerato un soggetto dalle funzioni prettamente operative in particolare nel settore dello smercio di sostanze stupefacenti e dell’approvvigionamento di armi, ma già noto agli inquirenti come responsabile dell’agguato contro i migranti dell’ex Cartiera, che nel 2010 fece esplodere la rivolta di Rosarno.

LE DONNE DEL CLAN PESCE
Pene durissime sono andate anche alle donne del clan Pesce, punite con condanne severissime. Tredici anni, cinque mesi e dieci giorni sono andati alla madre di Giuseppina, Angela Ferraro, mentre è di dodici anni e sei mesi la condanna inflitta alla sorella della collaboratrice, Marina, che alla lettura del dispositivo non ha retto la tensione. Mentre i giudici la condannavano a un avvenire dietro le sbarre è stata colta da malore, perdendo i sensi all’interno delle gabbie, fra le grida dei parenti – tanti – presenti in aula e le escandescenze di quelli che da dietro le sbarre urlavano contro il collegio. Condannate a sette anni anche la cugina di Giuseppina, Maria Grazia Pesce, per gli inquirenti una delle principali porta-ordini del clan e Maria Stanganelli, per gli investigatori intermediaria tra il clan e il boss detenuto Francesco Pesce, che tramite lei faceva pervenire ai suoi dettagliate istruzioni sui i destinatari e le modalità di ogni singola attività estorsiva. Ma una condanna a un anno e otto mesi arriva anche per la nonna della collaboratrice, l’ottantacinquenne Giuseppa Bonarrigo, accusata di furto aggravato in concorso, che durante un colloquio in carcere – videoregistrato dagli investigatori – aveva silenziosamente minacciato la nipote passandosi un dito sul collo, mimando uno strozzamento. Incassa invece una quasi clamorosa assoluzione Carmelina Capria, ritenuta dagli inquirenti la contabile della cosca.

PENE DURE CONTRO GLI EX CARABINIERI
Ma sotto la scure dei giudici di Palmi sono caduti anche i due ex carabinieri infedeli, in servizio al Comando provinciale di Reggio Calabria, Carmelo Luciano e Giuseppe Gaglioti, rispettivamente condannati a 12 anni e sei mesi e 13 anni di reclusione per concorso esterno in associazione tipo mafioso. Per la Procura, entrambi avevano un rapporto fatto di stretti contatti e collaborazione con la cosca Pesce, cui non solo riferivano in anticipo le iniziative giudiziarie e di polizia a carico del clan, ma hanno più volte agevolato anche falsificando atti e verbali. Un “servizio” ripagato con prebende e regali di tutti i generi, dagli apparecchi tecnologici alle autovetture fatte avere ai due a prezzo di favore.

REATI MINORI E PRESCRIZIONI
Condanne più lievi dai 2 anni e 8 mesi, inflitti a Giuseppe Mazzeo e Salvatore Rachele, ai sei mesi con pena sospesa e non menzione comminati Salvatore Michelizzi, sono andati agli imputati per reati minori coinvolti nel maxiprocesso nella maggior parte dei casi come intestatari dei beni del clan, come Serenella Rustico fedele e Michelangelo Zagami, entrambi condannati a 2 anni e sei mesi. Una pena lieve è andata anche a uno dei “giovani” del clan Pesce, Francesco (classe 1988), condannato a 1 anno e 4 mesi e 600 euro di multa. Per Erminda Paterna e Teresa Mazzucoccolo, i giudici di Palmi ha nno stabilito il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato.

ASSOLUZIONI TRA SALVATAGGI CLAMOROSI
E POSIZIONI MINORI
Sfuggono in 21 alle condanne che i pm Alessandra Cerreti e Giulia Pantano avevano invocato in requisitoria, ma senza che questo pregiudichi la tenuta del castello accusatorio confermato in pieno dalle condanne emesse dai giudici di Palmi. Si salvano tuttavia da una condanna di primo grado non solo uomini e donne gravitanti attorno al clan, ma anche elementi di una certa rilevanza come Marco Bassolamento, fra i principali esponenti della costola milanese del clan, per il quale la pubblica accusa aveva invocato 16 anni di reclusione. Medesima pena avevano chiesto i pm per i fratelli Francesco e Giuseppe Di Marte, pacieri del clan, il cui prezioso lavoro diplomatico è servito per ricomporre la faida esplosa in seguito all’omicidio Sabatino, ma entrambi sono stati assolti. Quindici anni erano stati chiesti invece per Rocco Giovinazzo, accusato di riciclaggio e responsabile per gli inquirenti di aver contribuito ad occultare il patrimonio dei Pesce investendo in attività commerciali ed imprenditoriali, ma anche per lui i giudici non hanno ritenuto di avere in mano elementi sufficienti per giungere a una condanna. Assolta anche Maria Grazia Messina, cui per la pubblica accusa era stata affidata la custodia della “bacinella“, la cassa comune della cosca in cui confluivano i proventi dell`attività illecita del gruppo criminale capeggiato dal genero, Antonino Pesce. Ma a far rumore è l’assoluzione del boss Rocco Pesce, già detenuto nel carcere milanese di Opera per una condanna definitiva per omicidio e ritenuto uno dei capi del clan Pesce. Erano imputati per reati minori ma si salvano da una condanna Signorino Armeli, Giovanna Ciurleo, Michele Cuppari, Maria Carmela Garruzzo, Giovanna Iulio, Maria Concetta Larocca, Giuseppe Raso, Francesco Saffioti, Angela Staltari, Antonino Staltari, Ettore Tassi, Giuseppe Valenzise e Alessandro Zagarella.

RISARCIMENTI MAGRI E TRASMISSIONE DEGLI ATTI
LE INDAGINI CONTINUANO
È magro invece il bottino dei risarcimenti alle parti civili disposto dai giudici del tribunale di Palmi. A fronte di richieste superiori ai 50 milioni di euro, il collegio presieduto da Concettina Epifanio ha stabilito risarcimenti solo per la Regione Calabria (3.591 euro), il Fondo per le vittime di mafia del ministero dell’Interno (5.285 euro), la Provincia di Reggio Calabria (3.510 euro) e il Comune di Rosarno (7.000 euro). Rigettata anche la confisca del Sapri calcio, una delle squadre che il clan nel tempo ha utilizzato come lavatrice e come bandiera del proprio potere.
Ma dal procedimento “All inside”, scaturisce anche nuovo lavoro per i pm. Come richiesto dalla pubblica accusa, il Tribunale ha disposto infatti la trasmissione degli atti in Procura per falsa testimonianza relativi alla deposizione di sei testimoni fra cui Giuseppe Cosentino, presidente del Catanzaro Calcio. (0050)

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