I funerali di Immacolata Rumi, nel silenzio istituzionale
REGGIO CALABRIA Non c’erano folle oceaniche, né vessilli istituzionali, ma solo i figli – tutti stretti in un unico banco, attoniti – qualche amico e i vicini del quartiere a salutare oggi Maria Imma…

REGGIO CALABRIA Non c’erano folle oceaniche, né vessilli istituzionali, ma solo i figli – tutti stretti in un unico banco, attoniti – qualche amico e i vicini del quartiere a salutare oggi Maria Immacolata Rumi, massacrata di botte dal compagno, Domenico Laface e morta sabato scorso in ospedale. Nonostante il brutale omicidio della donna abbia fatto correre fiumi di inchiostro istituzionale, neanche un rappresentante dei cittadini era presente oggi alle esequie.
Un cuscino di rose su una bara semplice e un applauso – lungo – all’uscita della chiesa sono stati il commiato con cui figli, parenti e amici hanno voluto salutare la donna, il cui quotidiano calvario era noto ai più. Gli oltre trent’anni di convivenza con Laface, oggi in carcere per ordine del gip Cinzia Barillà, sono stati per lei sinonimo di botte, insulti e umiliazioni. Lo sapevano i vicini che ascoltavano le urla e le liti che le sottili pareti del condominio di Croce Valanidi, alla periferia sud della città, lasciavano filtrare. Lo sapevano o lo immaginavano amici, colleghi e parenti, che sul volto di Maria Immacolata vedevano regolarmente apparire lividi o segni – come riferito agli inquirenti dai mariti di due delle figlie – che la donna tentava maldestramente di dissimulare. Lo sapevano i figli – quelli ancora in casa e quelli che dall’abitazione di famiglia erano andati via – che per anni hanno assistito alle esplosioni di incontrollata violenza del padre.
Sono state proprio le loro dichiarazioni a inchiodare l’uomo, dal quale hanno immediatamente preso le distanze e con il quale hanno rifiutato di avere qualsiasi tipo di contatto dopo aver appreso della morte di Maria Immacolata. Una notizia incassata – annota il gip – senza «eccessiva sorpresa». E sembra quasi perplessa il giudice Barillà nel sottolineare che «non si registrano reazioni tipiche dinanzi ad una morte del tutto improvvisa, ma viceversa una certa disperata rassegnazione ad un epilogo quasi annunciato incomprensibile in assenza di peculiari patologie». Quasi fossero ormai assuefatti alla violenza – sembra indicare il gip – i figli della coppia agli inquirenti hanno raccontato in dettaglio il calvario di Maria Immacolata, picchiata con calci, pugni, a volte un bastone, regolarmente insultata e umiliata.
«I miei genitori litigavano sempre per motivi stupidi – dice quasi con rassegnazione una delle ragazze –. La situazione andava avanti così da anni. Mio padre andava su tutte le furie soltanto perché mia madre gli rispondeva». E Domenico Laface, sottolinea un’altra, era un uomo facilmente irritabile. «Tale irritabilità – dice agli inquirenti – degenerava negli atti di violenza in trattazione a seguito delle frequenti discussioni che intercorrevano tra i miei genitori, discussioni che, per lo più, originavano da alcune gelosie di mia madre nei confronti del compagno che, comunque, in altre circostanze, la provocava apertamente con epiteti ingiuriosi. In alcune circostanze, l’uomo è ricorso anche a un’invettiva di carattere apertamente minatorio nei confronti della compagna, rendendola oggetto di epiteti quali “ti ammazzo” o “ti scanno”».
Storie di quotidiana abiezione, che quasi stridono con quel “morta improvvisamente” che campeggia sui necrologi di Maria Immacolata, la cui fine – alla luce del devastato quadro familiare – era nella migliore delle ipotesi prevedibile, se non segnata.
Eppure, il medesimo concetto è tornato nella benedizione con cui il parroco della chiesa di Bovetto ha salutato Maria Immacolata, sottolineando anche come la donna sia arrivata a «liberarsi nel martirio». Parole che non sono piaciute alle donne di “Se non ora quando”, unica associazione che ha voluto essere presente alle esequie di Maria Immacolata, ma che non può sopportare – fanno sapere le attiviste – «una stereotipata ed ipocrita omelia, in cui non è stata spesa neppure una parola che non fosse figlia di un modello patriarcale e di una visione distorta e condizionante. Parlare di sacrificio, sopportazione, martirio o di una morte improvvisa nel caso di una donna che per oltre trent’anni ha subito in silenzio violenze devastanti ma che tutti conoscevano è indecente».
Ed è proprio per rompere il silenzio che Snoq ha deciso di scendere in piazza sabato prossimo per raccogliere adesioni alla campagna lanciata da “Ferite a morte”, il comitato che al nuovo governo chiede la convocazione immediata degli Stati generali contro la violenza sulle donne. Un modo – dicono le attiviste – per «trasformare in urla quelli che sono gemiti, sussurri. Perchè la vocazione di ogni donna e anche di ogni uomo è quella alla felicità non al martirio». (0040)