Trattativa Stato-mafia, la Procura di Reggio potrebbe aprire un fascicolo
REGGIO CALABRIA C’è un fascicolo che la Procura di Reggio Calabria potrebbe aprire a breve e che fa tremare i polsi in oscure stanze che vanno ben oltre la città dello Stretto. Un fascicolo che – di…

REGGIO CALABRIA C’è un fascicolo che la Procura di Reggio Calabria potrebbe aprire a breve e che fa tremare i polsi in oscure stanze che vanno ben oltre la città dello Stretto. Un fascicolo che – di Procura in Procura, di pm in pm – da oltre vent’anni esige risposte. Secondo fonti vicine alle indagini, anche a Reggio Calabria potrebbe a breve iniziare a lavorare sulla trattativa Stato -mafia. Quella passata dagli omicidi Lima, Falcone e Borsellino. Quella che ha visto la `ndrangheta – come anticipato dal Corriere della Calabria – tra i diretti protagonisti.
A pesare, su un fascicolo che si preannuncerebbe corposo non ci sono solo le ultime risultanze investigative che hanno spinto il gip palermitano Piergiorgio Morosini a spedire davanti al giudice i boss Leoluca Biagio Bagarella, Salvatore Riina, Giovanni Brusca, oggi collaboratore di giustizia, come Antonino Cinà, ritenuto il postino del “papello”, assieme a uomini chiave degli ultimi trent’anni della storia occulta della Repubblica e gente che con loro avrebbe avuto a che fare, come Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, Vito, considerato uomo cerniera fra i clan e lo Stato, l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, e tre alti ufficiali dei carabinieri, i generali Mario Mori e Antonio Subranni e l’ex colonnello Giuseppe De Donno.
Per Morosini sono tutti a vario titolo coinvolti “quell’ articolato piano di attentati ordito dai vertici di Cosa nostra a partire dal ’92 per ricattare lo Stato e costringerlo a ridimensionare l’azione di repressione e contrasto alle organizzazioni mafiose” e che in pezzi delle istituzioni ha trovato sponda. Un piano – afferma chiaramente il gip, sulla scorta delle indagini dei magistrati palermitani – che si candida ad essere solo la parentesi più evidente e manifesta di una strategia eversiva più articolata e di più lungo periodo che per decenni ha visto muoversi sottotraccia uomini dei sistemi criminali, massoni, vecchi arnesi della destra eversiva e pezzi di Stato.
Una strategia che passa dalla Calabria e dal ruolo che fin dagli anni Settanta il gotha delle `ndrine calabresi – forse proprio in virtù di questo divenute tali – hanno giocato e tutt’ora giocano. Anni in cui, all’ombra di una rivolta di popolo, in seguito capitalizzata dalla destra eversiva e non, si gettavano le basi di quel grumo di potere impastato di massoneria, `ndrangheta, Cosa nostra, destra eversiva e servizi che verrà individuato ma non perseguito dall’inchiesta “Sistemi criminali” dell’attuale procuratore capo di Palermo, Roberto Scarpinato.
Sistemi al lavoro tanto in Calabria, come in Sicilia, regioni divenute laboratorio criminale di una strategia che per teatro avrebbe dovuto avere l’Italia intera. E se in Calabria, a Reggio, verrà pensato il tentato golpe del principe nero Valerio Junio Borghese, sventato poi – dicono alcune fonti – da una telefonata di Licio Gelli, arrivata in quella notte dell’8 dicembre scelta per sovvertire le gracili istituzioni dell’allora giovanissima Repubblica italiana, è sulle coste della Jonica e della Tirrenica che il rapporto d’amore fra `ndrangheta e Cosa nostra si è cementato. Non si tratta – o meglio non solo – dei dati ormai acquisiti sui traffici di sigarette e poi di eroina, sulla gestione condivisa del porto di Saline o sui killer che sarebbero stati vicendevolmente prestati dai clan siciliani alle `ndrine e dalle `ndrine ai clan, come nel caso della strage di Piazza Mercato, firmata da due sicari di Cosa nostra in arrivo da Bagheria, Tommaso Scaduto e Antonio Di Cristina.
A costruire la trama di un disegno eversivo sono le relazioni che gli elementi di spicco di quella che sarà la `ndrangheta nuova, forgiata al fuoco di una guerra dai fratelli Paolo e Giorgio De Stefano, fin dai primissimi anni Settanta hanno dimostrato di avere con i cugini pari rango siciliani e che nel tempo hanno coltivato. E così Rosario Pio Cattafi, capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), con alle spalle una militanza in “Ordine Nuovo” e in stretto contatto anche con Pietro Rampulla, exordinovista convertitosi in “artificiere” della strage di Capaci, così come con soggetti riconducibili a Licio Gelli e a Stefano Delle Chiaie, verrà pizzicato dai giudici milanesi a fare affari con il capomafia catanese Benedetto Santapaola e il boss Cosimo Ruga di Monasterace, considerato l’ideologo dei sequestri come strumento di pressione sullo Stato. E così il boss palermitano Stefano Bontate potrà permettersi il lusso di chiedere al “re” di Gioia Tauro, Mommo Piromalli – su mandato di Giulio Andreotti, secondo quanto rivelato dal pentito di `ndrangheta Antonio Mammoliti – di interessarsi per far cessare le pressioni sul petroliere romano Bruno Nardini, divenuto oggetto di minacce e richieste estorsive dopo aver impiantato alcuni depositi di carburante a Vibo Marina. Richieste che – avrebbero saputo i siciliani dai Servizi di Intelligence – arrivavano dal comprensorio di Palmi. E così – ha rivelato il pentito Nino Fiume – sarebbero stati due killer calabresi – o meglio due arcoti – a trucidare, su mandato di Cosa nostra il giudice Antonino Scopelliti, che avrebbe dovuto sostenere l’accusa nel maxiprocesso alla mafia siciliana in Cassazione. E così – come rivelato di recente su Calabria Ora – l’armiere del clan Lo Giudice, Antonio Cortese sarebbe stato “prestato” ai clan di Cosa nostra negli anni delle stragi, dopo il secco no delle `ndrine alla strategia stragista. Una proposta che le cosche siciliane avevano formalmente avanzato alle `ndrine – hanno rivelato pentiti come Nino Fiume – in almeno due riunioni tenutesi nel ’93 in Calabria – una all’hotel Vittoria a Rosarno, un’altra al residence Blue paradise di Parghelia, vicino Limbadi – e che in precedenza era stata abbozzata circa mille e trecento chilometri più su, a Milano dove Franco Coco Trovato – parente e uomo di fiducia del clan De Stefano – aveva il suo regno e dove sul coinvolgimento delle `ndrine nella strategia stragista che avrebbe insanguinato la Sicilia – e forse non solo – aveva iniziato a trattare.
Un attacco diretto – ipotizzava oltre dieci anni fa l’allora pm Scarpinato e confermano oggi i magistrati che hanno costruito l’indagine che ha incassato il visto buono di Morosini – che forse non è che una parentesi di una strategia molto più antica e allo stesso tempo successiva agli anni delle stragi, battezzata con i Moti di Reggio, svezzata con le stragi di Stato – da Gioia Tauro a Brescia – e divenuta adulta negli anni del boom delle Leghe regionali. Quei “progetti che – segnalavano gli inquirenti dell’epoca – sembravano poter coniugare perfettamente le molteplici aspirazioni provenienti da quel composito mondo nel quale gruppi criminali con finalità politico-eversive si affiancano a lobby affaristiche e mafiose” e che avrebbero avuto in Licio Gelli uno se non il principale ispiratore. Un progetto che in Calabria sarebbe cresciuto all’ombra di quella superloggia benedetta dai miliardi del pacchetto Colombo in cui `ndranghetisti, vecchi arnesi dell’eversione, pezzi di Stato e della grande borghesia troveranno posto e che avrà emuli in Sicilia e altrove. Un progetto che casualmente troverà voce e gambe nella crociata dell’ideologo della Lega, Gianfranco Miglio, che immaginerà un nuovo Stato diviso in quattro macroregioni, in cuila costituzionalizzazione del potere dei sistemi criminali diventa un asse del sistema. Idee che – casualmente – si concretizzeranno nell’esplosione, avvenuta in quegli stessi anni, dei movimenti leghisti e regionalisti, che avranno – ancora casualmente – la propria riunione nazionale a Lamezia Terme.
Coincidenze, strane casualità, fili che nella storia ufficiale d’Italia non si intrecciano mai. Ma forse oggi potrebbero essere riuniti, riannodati fino a formare un’unica trama. Quella che ha
soffocato non solo il Sud, ma tutto il Paese. (0050)