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Processo "Bless", chiesta un`altra condanna anche per il "Supremo"

REGGIO CALABRIA Nuove condanne per Pasquale Condello e Demetrio Sesto Rosmini, un’assoluzione per Domenico Condello e il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per Giuseppe Scopelliti: so…

Pubblicato il: 20/05/2013 – 16:01
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Processo "Bless", chiesta un`altra condanna anche per il "Supremo"

REGGIO CALABRIA Nuove condanne per Pasquale Condello e Demetrio Sesto Rosmini, un’assoluzione per Domenico Condello e il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per Giuseppe Scopelliti: sono queste le richieste avanzate dal pm Rocco Cosentino al termine della requisitoria al processo “Bless”, l’inchiesta partita in seguito alle rivelazioni del pentito Paolo Iannò che puntava a fare luce su alcune delle pagine più sanguinose della seconda guerra di `ndrangheta a Reggio Calabria. Nel 2007, le parole del collaboratore avevano fatto scattare una maxioperazione che aveva coinvolto quasi sessanta fra capi e gregari delle principali famiglie dei clan reggini, ma alla conclusione delle indagini era stato lo stesso pm Mario Andrigo a chiedere l’archiviazione di ben 51 posizioni per mancanza di sufficienti riscontri, fra cui quelle dei boss Santo Araniti, Giovanni Fontana, Nino Lo Giudice e Giuseppe Greco, che da qualche mese ha iniziato a collaborare con i magistrati. A processo per alcuni dei trenta omicidi, undici tentati omicidi e undici ferimenti inizialmente contestati, sono finiti solo in sette, di cui tre hanno scelto l’abbreviato – il collaboratore di giustizia Paolo Iannò, che si è autoaccusato di molti omicidi, il boss di Fiumara di Muro, Nino Imerti, da anni detenuto, e Giovanni Tripodi – e quattro, il rito ordinario. Fra loro, c’è anche il superboss Pasquale Condello, il “Supremo”, arrestato il 18 febbraio del 2008 dopo una ultradecennale latitanza e già condannato all’ergastolo con pena definitiva, per il quale il pm Cosentino ha dunque invocato una pena cumulativa all’ergastolo con un anno di isolamento diurno. Peggio è andata a Demetro Sesto Rosmini, le cui spontanee dichiarazioni oggi in aula non sembrano aver convinto né commosso il sostituto che per lui – già condannato al carcere a vita – in virtù della continuazione ha chiesto una condanna alla pena finale dell’ergastolo con un anno e sei mesi di isolamento diurno. A inchiodarlo sono state soprattutto le dichiarazioni del cugino Bruno Rosmini, uno dei pochi dissociati delle `ndrine reggine. «Nonostante non sia un collaboratore – spiega il pm Cosentino – ha confessato tutti i suoi crimini e chi con lui li ha commessi, ma – ce lo ha ricordato in dibattimento – ha deciso di non scegliere il percorso della collaborazione perché sostiene di voler rispondere davanti a dio e non davanti agli uomini. Il suo è un pentimento morale». Un pentimento a cui Demetrio Sesto Rosmini non crede ed è per questo che – proclamandosi innocente – punta il dito contro il cugino che «mi ha accusato per farsi togliere il 41 bis». Decisamente meglio è andata al cugino del “Supremo”, Domenico Condello, “Micu u pacciu” – per decenni latitante e catturato solo qualche mese fa – per il quale il pm ha chiesto l’assoluzione per tutti e sette i capi di imputazione per i quali era a giudizio. Nonostante le dichiarazioni di Iannò a suo carico siano state pesantissime e dettagliate, gli approfondimenti investigativi della polizia giudiziaria non hanno condotto a riscontri individualizzanti, dunque non è possibile invocare una condanna. Quasi un paradosso – si lascia scappare il pm in un passaggio – sottolineando che «gli unici due per i quali è stato davvero possibile arrivare a un processo vero sono gli unici due che hanno detto la verità, Paolo Iannò, che da settembre verrà giudicato in abbreviato, e Giuseppe Scopelliti». E proprio quest’ultima era la posizione più delicata fra quelle discusse oggi in ordinario. Per lui, che al termine del percorso di collaborazione si è visto concedere il riconoscimento massimo – il cambio definitivo di generalità – era stata chiesta l’archiviazione dalla pubblica accusa, ma il gip Arena aveva deciso comunque di mandarlo a giudizio. Una decisione che anche il pm Cosentino non condivide e in sede di requisitoria non esita a sottolinearlo. «Scopelliti – afferma chiaramente – non avrebbe dovuto neanche andare a giudizio». Ricco esponente della borghesia di Villa, figlio «dell’imprenditore che ha costruito mezza città», come ha ricordato lui stesso in aula nel corso del dibattimento, Scopelliti non nasce figlio di `ndrangheta ma delle `ndrine ha sempre subìto la fascinazione tanto da convertirsi negli anni Ottanta nel “re delle estorsioni” che – evidenzia il pm in aula, richiamando le ammissioni del collaboratore – «non aveva bisogno di chiedere soldi o di mandare qualcuno a farlo, perché erano gli imprenditori stessi a presentarsi chiedendo quanto fosse il dovuto». Impossibile, all’epoca, contraddirlo. A testimoniarlo, ci sono i diversi omicidi di cui è stato il mandante e che fin dal principio della sua collaborazione – iniziata nel 1993 e «assolutamente genuina come dimostra il suo casellario giudiziario» dice il pm – ha ammesso di aver ordinato. Ma quello di Francesco Polistena, per il quale è oggi imputato in “Bless”, no. Per la morte del giovane picciotto dei Garonfalo, freddato il 1 dicembre del 1990, Scopelliti si è sempre proclamato innocente. Per lui, a chiedere l’omicidio di Polistena sarebbero stati gli stessi Garonfalo, per evitare che la furia del giovane si scatenasse contro di loro che avevano deciso di sacrificare uno dei propri uomini – Guido Maesano – a garanzia della pace sancita con le cosche di Villa, dopo la faida esplosa in seguito al tentato omicidio di Scopelliti. A eseguirlo invece, su ordine di Pasquale Condello, sarebbero stati Bruno Trapani e Paolo Iannò, con la regia di Nino Imerti. Di diverso avviso sono i magistrati, per i quali Scopelliti, proprio in virtù della posizione apicale ricoperta all’interno del clan, non poteva non sapere cosa si stesse muovendo per vendicare un affronto nei suoi confronti. Ma nonostante tale granitica convinzione – sostiene la Procura – oggi Scopelliti non può essere condannato. Da quei fatti di sangue è passato troppo tempo e ancor prima del rinvio a giudizio, su quell’omicidio è caduta la mannaia della prescrizione. Per questo non sarebbe dovuto andare a processo. Per questo il pm Cosentino ha invocato per lui il non luogo a procedere. Adesso toccherà aspettare il 7 giugno prossimo per sapere se il collaboratore Giuseppe Scopelliti sarà costretto per l’ennesima volta a cambiare vita, trasformandosi da ex-detenuto riabilitato, padrone di una nuova vita certificata anche dal cambio di generalità, a nuovo ospite delle patrie galere, con un omicidio sulle spalle tutto da scontare. (0050)

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