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La cattura di Condello e le fonti del Ros

REGGIO CALABRIA Se Nino Lo Giudice ha davvero soffiato informazioni al Ros per la cattura del superboss Pasquale Condello, di certo non è stato l’unico. E soprattutto non il primo. Almeno dal 2004 il…

Pubblicato il: 22/05/2013 – 20:05
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La cattura di Condello e le fonti del Ros

REGGIO CALABRIA Se Nino Lo Giudice ha davvero soffiato informazioni al Ros per la cattura del superboss Pasquale Condello, di certo non è stato l’unico. E soprattutto non il primo. Almeno dal 2004 il Ros ha potuto contare sulle indicazioni di una coppia di informatori, Grazia Iannò e Francesco Rodà – la sorella di Paolo Iannò, ex braccio destro poi pentito del “Supremo”, e il marito – che hanno pedissequamente e regolarmente informato i militari di quanto succedesse nel quartiere di Gallico di Reggio Calabria, storica roccaforte del “Supremo”, dove gli inquirenti sospettano abbia passato gran parte della sua latitanza. È quanto emerso dalla testimonianza del maresciallo capo del Ros, Agostino Risorto, chiamato oggi a deporre al processo, istruito dalla pm Beatrice Ronchi, che vede alla sbarra capi e gregari del clan Lo Giudice.

ANNI DI INCONTRI TRA IL ROS E I CONIUGI RODA`
Storico componente del reparto che raccoglie l’elite investigativa dei carabinieri, nel 2004 è lui l’uomo scelto dal capitano Valerio Giardina, allora comandante del Ros, per andare a vagliare una coppia di potenziali informatori sui movimenti di Pasquale Condello, all’epoca latitante, segnalata dall’allora capitano del Noe, Saverio Spadaro Tracuzzi, oggi in carcere per i presunti rapporti con il clan Lo Giudice. Protetti per lungo tempo dall’anonimato, i due sono stati presentati a Risorto e al maggiore Gerardo Lardieri assieme a lui incaricato di ascoltarli, come «soggetti dall’elevata attendibilità già testata in passato». Una valutazione che anche il Ros deve aver condiviso se è vero che a quel primo incontro del 2004 nella sede del Noe, altri ne seguiranno anche a casa dei due, fino alla fine del 2007. Anni di incontri – tutti documentati da dettagliate relazioni di servizio – in cui i coniugi Rodà hanno segnalato agli investigatori i nomi dei possibili fiancheggiatori, gli immobili in cui Condello poteva nascondersi, i repentini cambiamenti di abitudini negli incontri con la moglie, Maria Morabito, così come nella rete di uomini di cui il boss si avvaleva per non perdere mai il contatto diretto con il clan. Personaggi come il nipote Andrea Vazzana o il futuro genero, all’epoca solo fidanzato della figlia, Giovanni Barillà, che già dalla seconda metà degli anni 2000 erano stati segnalati al Ros e che i coniugi Iannò, nati e cresciuti a Gallico e lì residenti, conoscevano perfettamente. Frazione piccola Gallico, dove per chi con i clan ha sempre avuto a che fare, è facile venire a sapere quando Condello passava la latitanza nel suo feudo, e quando se ne allontanava, come nel periodo – avevano fatto sapere i due ai Ros – in cui si era spostato a Sambatello anche in seguito alle attività e perquisizioni che i militari portavano avanti in zona, per poi farvi ritorno. «Ci è stato riferito che difficilmente Condello si sarebbe spostato da Reggio Calabria», ha riferito oggi in aula Risorto. Ma i due, nel corso degli anni, agli investigatori sono stati in grado di rivelare anche come e quanto la latitanza avesse invecchiato il superboss da tempo alla macchia, o anche di quella gamba matta che si trascinava da quando, per sfuggire alla cattura, si era lanciato da una finestra. Ma proprio perché Gallico è un piccolo centro, in cui le voci corrono, non è stato difficile per gli uomini della rete di Condello iniziare a sospettare di quelle strane visite che la coppia riceveva in notturna. Altrettanto rapidamente, sono arrivate le più o meno velate minacce con cui ai due è stato fatto intendere che quegli incontri non dovevano continuare. Un segnale d’allarme che neanche la simulazione di una perquisizione a casa dei Rodà – puntualmente riferita oggi in aula dal maresciallo capo – era riuscito a disinnescare. Tutti particolari contenuti in dettagliate relazioni di servizio a firma di Risorto e Lardieri, che danno conto di un’attività di raccolta di informazioni confidenziali durata anni.

LE DRITTE DI FALCAO
Documenti di cui non c’è traccia invece per le altrettanto confidenziali informazioni che avrebbe gestito il brigadiere Francesco Maisano, accreditato da Nino Lo Giudice come la persona cui – più o meno dal 2007 in poi – avrebbe riferito le dritte necessarie alla cattura di Condello. Ma le informazioni portate da “Falcao” – questo il nome in codice del brigadiere, generalmente impegnato come addetto alla gestione carburante del reparto – non hanno mai condotto a nulla. Su sua segnalazione, il 5  giugno del 2007, i Ros hanno perquisito un palazzo del popoloso quartiere di San Brunello, indicato come potenziale nascondiglio di Condello. Ma in quell’immobile – un alveare di miniappartamenti generalmente affittati a studenti – quella notte i militari troveranno solo Andrea Carmelo Vazzana, nipote e fiancheggiatore di Condello. Un’operazione che il Ros non deve aver considerato troppo importante se è vero che il capitano Lardieri, sarà costretto a ricostruirla chiedendo al militare quando fosse stata fatta e da chi. «Ho fatto una ricerca sulla memoria di servizio interna al reparto e ho individuato i colleghi che hanno partecipato. All’epoca del blitz, Giardina era in ferie, quindi era stato Lardieri a comandare l’operazione». Una richiesta arrivata quando ormai il capitano era stato trasferito in altra sede – siamo nel maggio 2011 – qualche tempo dopo l’interrogatorio di Maisano in Procura – ricorda il maresciallo capo Risorto su domanda del pm Beatrice Ronchi. «Sapevo che Maisano era stato sentito dalla Procura della Repubblica, ma sul momento non ho ricollegato la cosa alla telefonata di Lardieri, dopo ho pensato che forse potesse avere una relazione. Non so che tipo di comunicazioni siano state fatte all’autorità giudiziaria sull’attività in via Lia». Allo stesso modo, nessun documento sembra esistere su quell’attività di ricognizione condotta a Pellaro dal brigadiere Maisano, assieme al luogotenente Cosentino. Proprio quest’ultimo, chiamato oggi in aula a testimoniare, ha ricordato che circa sei mesi prima della cattura del superboss, «il collega mi chiese di accompagnarlo a Pellaro perché una fonte gli aveva detto che lì ci poteva essere Condello. Io conosco il posto quindi accettai di accompagnarlo. Cercavamo un sito in cui poter piazzare una telecamera per monitorare la zona». Una telecamera che non sarà mai piazzata, dice Cosentino, che a Maisano – destinatario della soffiata – aveva delegato il compito di riferire su quel sopralluogo a Pellaro. Un’indicazione «secondo quanto appreso poi dalla stampa» – afferma Cosentino – che Maisano avrebbe ricevuto dai Lo Giudice, perché nonostante in ufficio – sottolinea il militare e conferma il suo collega di reparto Grasso – si sapesse che era stato il brigadiere a portare la notizia, la fonte era coperta da massimo riserbo. Tutte circostanze che probabilmente il brigadiere – citato come testimone alla prossima udienza insieme con Lardieri – sarà chiamato a chiarire. Anche perché – ed è dato storico confortato dalle rivelazioni del pentito Paolo Iannò – c’è stato un momento in cui il clan Lo Giudice è stato particolarmente vicino a Condello, che all’indomani della guerra di `ndrangheta, nonostante non fossero ben visti anche per la presenza di un collaboratore in famiglia, lì preferì ai Rosmini perché – afferma Iannò «i Lo Giudice erano i più controllabili».
Ma se e in che misura questo abbia dato la possibilità al clan di fornire informazioni utili al Ros per la cattura del superboss – come sostenuto da Nino Lo Giudice e smentito seccamente dal colonnello Giardina, all’epoca a capo dell’elite investigativa reggina dei carabinieri – rimane ancora tutto da chiarire. (0050)

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