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«La Fallara faceva parte degli "intoccabili"»

REGGIO CALABRIA «La dottoressa Fallara si faceva forte della sua nomina fiduciaria e non aveva remore ad assumere compiti oltre-mansione. Il sindaco più volte l’aveva richiamata ma lei si considerava…

Pubblicato il: 23/05/2013 – 20:41
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«La Fallara faceva parte degli "intoccabili"»

REGGIO CALABRIA «La dottoressa Fallara si faceva forte della sua nomina fiduciaria e non aveva remore ad assumere compiti oltre-mansione. Il sindaco più volte l’aveva richiamata ma lei si considerava parte di un “nucleo di intoccabili” che lavorava con il sindaco. Insieme a lei c’erano persone come Zoccali, Barrile e Melissari». Francesco D’Agostino, ex segretario comunale, è una delle memorie storiche di Palazzo San Giorgio. Sotto i suoi occhi sono passate consiliature di ogni segno e colore e ai – non sempre urbani  – modi e usi della politica dovrebbe ormai essere abituato, ma ancora la voce gli si increspa di indignazione quando ricorda quella dirigente refrattaria a controlli e valutazioni,  prepotente con i colleghi ma apparentemente in grado di ammaliare l’intero ente con le sue rassicurazioni su una «temporanea crisi di liquidità» che portava frotte creditori di ogni genere e tipo a protestare quotidianamente sotto le finestre di Palazzo San Giorgio.  Chiamato dalle difese a testimoniare nel processo che oggi vede imputato per falso in atto pubblico e abuso d’ufficio  l’ex sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti e i tre revisori dei conti, Carmelo Stracuzzi, Domenico D`Amico e Ruggero Alessandro De Medici, accusati di solo falso, D’Agostino non sembra aver remore ad ammettere non solo i problemi di liquidità che nell’ultimo periodo metteranno in ginocchio palazzo San Giorgio, ma anche l’assoluta nonchalance con cui tutti sembravano accettare le giustificazioni della Fallara. «Diceva che si trattava di una crisi di liquidità temporanea e non anomala, trovava sempre pretesti. A un certo punto è stata introdotta una norma che permetteva di utilizzare i soldi dei mutui come anticipazione di cassa, ma la Fallara diceva di avere tutto sotto controllo», ricorda D’Agostino, sollevando più di una perplessità nella pm Sara Ombra che sbotta: «Ma com’è possibile che nessuno si sia reso conto? La cosa è durata anni e oggi vediamo quali siano state le conseguenze». Ma l’anziano ex segretario comunale è forse uno dei pochi testimoni in grado di apportare informazioni su quanto succedesse a palazzo San Giorgio in quegli anni turbolenti in cui ha preso forma la voragine di bilancio, che ha oggi condotto l’ente a uno stato di predissesto.

AMNESIE E “TRASMIGRAZIONI” Dopo i ben ricompensati «non so, non ricordo» di ex dirigenti comunali ascoltati nelle scorse udienze, a sfilare oggi di fronte al Tribunale presieduto da Olga Tarzia sono stati i testimoni chiamati dalla difesa  a smontare il teorema accusatorio secondo cui Scopelliti e i tre revisori non potevano non conoscere l’allegra gestione della contabilità gestita in via esclusiva e monopolistica dalla Fallara. Anche perché – sostiene l’accusa – non esiste dirigente al mondo in grado di muoversi senza precisi input politici. Un assioma che l’avvocato Aldo Labate, legale di Scopelliti ha fatto di tutto per smontare, chiamando in aula un esercito di testimoni,  tutti curiosamente accomunati – sottolinea la presidente Tarzia – da «una singolare trasmigrazione in Regione». E se a Lucia Minniti e Dominique De Leo – passata senza soluzione di continuità dall’organizzazione della campagna elettorale di Scopelliti, all’ufficio staff del sindaco, quindi al consiglio regionale – tocca dire che carte e mandati di pagamento da firmare arrivavano sulla scrivania dell’allora primo cittadino a blocchi di trenta e in triplice copia, quasi a riecheggiare puntualmente l’ormai celebre «firmavo faldoni di carte che non leggevo» messo agli atti dal governatore in sede di interrogatorio, tocca a impiegate come Ermelinda Maria Fiorillo recitare la liturgia del «non so, non ricordo».
Ex componente della segreteria della Fallara, quando la pm prima e la presidente poi insistono per avere dettagli sull’organizzazione del lavoro e delle mansioni in ufficio sembra cadere dalle nuvole. Non sa, non ricorda, non ha idea di cosa avvenisse nelle altre stanze, chi frequentasse l’ufficio e con che frequenza. Parole che fanno a dir poco imbestialire la Tarzia che esplode: «È inverosimile che ognuno lavori in una campana di vetro ed è impossibile che non si conosca l’organizzazione dell’ufficio». Ma le parole della presidente non sembrano scalfire l’olimpica serenità della Fiorillo, che pur essendo per sua stessa ammissione l’impiegata preposta a inserire in un apposito database i mandati di pagamento trattati dalla Ragioneria, così come l’addetta allo sportello relazioni con il pubblico, sembra non essersi accorta delle inferocite code di creditori che più volte andavano in quegli anni tumultuosi a bussare alle porte della Fallara, mentre sotto le finestre di palazzo San Giorgio si alternavano i lavoratori in vertenza. Un dato riportato non solo da diversi testimoni in dibattimento, ma anche dalle cronache dell’epoca. Solo verso la fine della sua audizione, su domanda dell’avvocato Carmelo Chirico, l’ex impiegata della segreteria della Fallara ha ammesso che «l’avvocato Barreca, dirigente della Pubblica amministrazione, veniva a volte a chiedere informazioni sui mandati di pagamento per il suo settore, ma era la dottoressa a trattare queste informazioni». Un’implicita ammissione – secondo alcuni – del criterio assolutamente arbitrario, non cronologico e probabilmente suscettibile a input politici, con cui i pagamenti venivano evasi. Ma a precisa domanda, la Fiorillo si è limitata a rispondere con un goffo dribbling costellato di «non so» sui quali né il pm né il Tribunale hanno voluto infierire.

TUTTI RESPONSABILI NESSUNO RESPONSABILE E nella stessa categoria potrebbe iscriversi forse la testimonianza dell’ex segretario generale del Comune, temporaneamente in comando alla Regione, Umberto Nucara. Trincerato dietro un dotto eloquio tecnico, il potente burocrate sembra totalmente a suo agio nel dissertare su teoria e prassi della pubblica amministrazione. Ma quando si tratta di parlare di quanto succedesse a Palazzo San Giorgio anche lui sembra essere colto da dubbi e strane amnesie. Pur avendo vissuto a un passo dal centro nevralgico dell’ente, riesce ad affermare che «il bilancio analitico non era necessario  perché tutti gli atti venivano trasmessi a tutti i consiglieri».
Certo c’erano ritardi, a volte era necessario sospendere la seduta perché la documentazione non era completa – conferma anche un altro teste, Temistocle Monoriti – ma tutti avevano a disposizione tutte le informazioni necessarie. Addirittura, per Nucara l’ormai famosa richiesta del bilancio analitico – divenuta protagonista anche di interrogazioni parlamentari – sarebbe un’assoluta novità, perché «non ho mai avuto notizia dell’impossibilità dei consiglieri di reperire informazioni sul bilancio». E proprio il bilancio è per Nucara è un «atto fondamentale, come lo è la firma del dirigente».
Un visto buono – spiega l’ex segretario generale al termine di una lunghissima dissertazione tecnica – che fa sì che «l’ordinamento consenta al sindaco di essere anche un macellaio perché altri hanno garantito per quel bilancio. Il sindaco non deve chiudere gli occhi ma si affida ai dirigenti». E del resto, anche i dirigenti non possono «premurarsi di avere la Procura della Repubblica accanto per ogni firma che mettono», esclama Nucara.
E al pari delle reiterate richieste di dettagli sul bilancio – che più di un testimone ha riferito – su cui nulla dice di sapere, l’ex segretario generale non sembra ricordare neanche i numerosi richiami fatti arrivare a Palazzo San Giorgio dalla Corte dei Conti. «Non c’è amministrazione per cui abbia lavorato che non abbia ricevuto indicazioni dalla Corte», afferma l’ex segretario generale, tentando di derubricare i duri moniti dei giudici contabili a un mero «controllo collaborativo». L’unico particolare curioso nella gestione del settore Finanza e tributi che sembra ricordare è legato a un’inferocita lettera ricevuta dall’Inpdap in qualità d i responsabile del settore Risorse umane che denunciava il mancato pagamento dei contributi previdenziali dei dipendenti. Una circostanza di cui scriverà alla Fallara, afferma ma senza poter ricordare l’esito di quella vicenda. «Ho cambiato ufficio, quindi non ho fatto in tempo a ricevere la risposta», afferma il burocrate. Ma la manovra non riesce. Tanto il pm Ombra come la presidente fanno presto a ricordargli non solo le gravi difficoltà economiche dell’ente, ma anche che dalla Corte dei conti di Catanzaro negli anni sono arrivate segnalazioni molto gravi come lo sforamento del patto di stabilità.
Ma all’epoca – al Comune di Reggio Calabria – nessuno sembrava essersene accorto. O almeno, nessuno oggi ha il coraggio di assumersene la responsabilità  in aula. (0040)

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