«È un fatto molto grave e preoccupante». Così ha commentato il procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro, la notizia della sparizione di Nino Lo Giudice, il collaboratore di giustizia che si è autoaccusato di una serie di attentati del 2010 ai danni di alcuni magistrati in servizio a Reggio Calabria.
Di Landro già nella testimonianza resa a Catanzaro al processo sugli attentati aveva dichiarato che Lo Giudice mentiva ma che non poteva rivelare chi fossero i veri mandanti sennò l’avrebbero ucciso. Oggi quelle parole risuonano come un lucido monito che avrebbe dovuto aver maggior considerazione da parte degli inquirenti.
Nino Lo Giudice, detto “il nano”, dal suo arresto del 7 ottobre 2010 da parte della Squadra mobile, ha continuato ad affermare di esser stato lui ad aver fatto mettere la bomba alla Procura generale nel gennaio 2010, di aver fatto piazzare la bomba sotto casa del procuratore generale Di Landro il 26 agosto 2010 e di aver affidato al suo uomo di fiducia Antonio Cortese un bazooka carico, da usare contro il Cedir sede degli uffici della Procura della Repubblica reggina. Ma su quest’ultimo episodio le versioni e le ricostruzioni del pentito Lo Giudice si fanno nebulose e reticenti. Il bazooka, scarico, venne ritrovato il 5 ottobre 2010 dagli agenti della Mobile di Renato Cortese, grazie ad una telefonata fatta al 113 avvisando di «una sorpresa per Pignatone», l’allora procuratore capo della Repubblica reggina e ora a capo della Procura romana. Ma le dichiarazioni di Lo Giudice vengono smentite da perizie e da dichiarazioni contrastanti di altri collaboratori. Sono soprattutto le dichiarazioni di Di Landro a suscitare sempre più perplessità e porre seri interrogativi sull’esito delle indagini. «Lo Giudice dice solo fesserie – tuona il procuratore generale –, perché avrebbe dovuto fare tutto questo contro di me? Non ho mai né conosciuto né processato nessuno dei Lo Giudice, non è capitato, per quel che io ricordi, che io l’abbia mai interrogato o incontrato. Questa è una vicenda grottesca e tenebrosa. Mi dicesse qual è il motivo per il quale dovrebbe mettere la bombe a me».
Secondo Di Landro «Lo Giudice non sa che cosa dire, non c’è una causale sua. Se è lui che ha commesso quello che dice, lo ha fatto per qualcun altro».
Sorge spontanea una domanda: sotto processo a Catanzaro per gli attentati non ci sono i veri mandanti? Il procuratore risponde «non lo so», ma poi si lascia andare e afferma con decisione che «i mandanti non ci sono sicuramente! Se tu vai sotto casa per uccidere una persona, lo fai per un motivo ben preciso, e lui non ne ha mai fornito uno. Ma le pare che il capo di una cosca storica, seppur minore, agisce con tanta stupidità?». Ma soprattutto, in una città come Reggio Calabria – dove, come suggerisce Di Landro, «anche se posteggi legittimamente una macchina dove non devi te lo fanno subito capire», in una città in cui ogni cosca ha il suo territorio di riferimento e dove nessuna famiglia “scavalla” nel territorio altrui senza prima “bussare” (come si dice nel gergo mafioso) alla cosca competente – com’è possibile che Lo Giudice, che gestisce il quartiere di Santa Caterina vada a mettere bombe in altre zone, controllate da altre famiglie senza avvertirle prima o senza prima avere il loro permesso ad agire? E per di più la zona della Procura generale e quella dove abita Di Landro ricadono nel territorio storicamente gestito dalla potentissima famiglia dei De Stefano.
La mancata comunicazione ai capi della famiglia De Stefano sarebbe vista come un fatale “sgarbo” nei loro confronti, acutizzata per di più dalla gravità degli atti intimidatori ed il conseguente allarme sociale e l’attenzione mediatica e investigativa che gli attentati hanno suscitato. Ma Di Landro nei suoi giudizi è ancora più severo: «La ‘ndrangheta queste cose non le fa se non a ragion veduta. Come mai la ‘ndrangheta in questa vicenda ha mantenuto il silenzio assoluto? Come mai ha lasciato fare a Lo Giudice tutto quello che ha voluto? Ci deve essere qualcuno che lo ha autorizzato, che gli ha detto: “Vai a fare questo”». O forse qualcuno a cui tutto questo è servito.
Di Landro, quando si riferisce agli attentati, non parla mai del bazooka ritrovato al Cedir, e a domanda precisa risponde secco: «Questa domanda la vada a fare a Pignatone o al procuratore Lombardo di Catanzaro». Forse, ora, se Lo Giudice non dovesse ricomparire si dovrà andare a rileggere tutta quella serie di eventi che hanno caratterizzato gli ultimi anni di Reggio Calabria e l’effetto domino che su altre città hanno avuto e stanno avendo. (0070)
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