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SANGUE INFETTO | «Criticità emerse in un`ispezione, ma non è successo nulla»

COSENZA Durissima, la nota integrale del presidente dell’Ordine dei medici di Cosenza, Eugenio Corcioni, riguardo alla vicenda dell’uomo di 75 anni morto dopo una trasfusione di sangue contaminato da…

Pubblicato il: 01/08/2013 – 16:06
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SANGUE INFETTO | «Criticità emerse in un`ispezione, ma non è successo nulla»

COSENZA Durissima, la nota integrale del presidente dell’Ordine dei medici di Cosenza, Eugenio Corcioni, riguardo alla vicenda dell’uomo di 75 anni morto dopo una trasfusione di sangue contaminato da germi. Corcioni spiega subito i tre motivi principali che lo hanno convinto a fare scendere l’Ordine in campo. «Il primo è – spiega Corcioni – che scrivo subito, pur sapendo che indagini di varia natura sono tuttora in corso, per senso di responsabilità istituzionale, come presidente dell’Ordine dei medici della nostra provincia, per far conoscere a tutti (cittadini, medici e sanitari, autorità, inquirenti, istituzioni sanitarie) alcune riflessioni che ho maturato a seguito della conoscenza dello scenario organizzativo e di lavoro entro cui si è prodotto il caso citato; il secondo è che scrivo per senso di responsabilità umana e in particolare come medico, perché se la morte di un paziente è sempre, in qualche misura, uno smacco per un medico, va anche aggiunto che ci sono pur sempre morti e morti, e quella di un paziente, sostanzialmente sano, dopo una banale trasfusione è assai peggio che una sconfitta, è una disfatta; il terzo è che, dopo le disfatte, spesso si va alla frettolosa ricerca di comodi capri espiatori, sui quali scaricare interamente il peso delle responsabilità penali, civili e morali, per evitare di andare a fondo dei problemi, per evitare di portare alla luce l`inefficienza, inadeguatezza o peggio la frantumazione dei sistemi organizzativi e di lavoro entro cui si verificano i casi clamorosi (senza per questo escludere o sottovalutare le eventuali colpe specifiche, dei singoli addetti ai lavori)».
«Purtroppo – continua Corcioni – tali capri espiatori vengono sempre più spesso individuati nei medici che, nella stragrande maggioranza dei casi, operano, invece, con coscienza e abnegazione, tra mille difficoltà, assumendosi rischi (anche personali, oltre che professionali) che non gli competono. Medici che meritano rispetto e che vanno tutelati, salvo, naturalmente rispondere ed essere perseguiti per le loro eventuali manchevolezze».
Il presidente dell’Ordine dei medici di Cosenza individua poi i due punti chiave che aiutano a comprendere come la tragedia abbia potuto verificarsi. Perché l’episodio finale ha invece una lunga storia alle spalle. «Il primo punto chiave, a mio avviso, è il funzionamento ordinario del Servizio trasfusionale dell`Azienda ospedaliera di Cosenza, come di ogni altro servizio analogo. Questo Servizio, nel suo insieme, costituisce un articolato sistema composto di molti e distinti segmenti, ognuno dei quali coinvolge diversi protagonisti e risulta regolato, per la preziosità, ma pure la delicatezza della materia-prima sangue (che, come abbiamo tragicamente constatato, spesso salva, ma può, se infetto, uccidere), da un corpo di regole estremamente rigorose. Esse riguardano i soggetti coinvolti (donatori, medici e sanitari, pazienti), le strutture (regole di igiene, conservazione, apparecchiature, indagini cliniche), il trasporto a temperatura stabile, i controlli sistematici, la dotazione di organici e risorse adeguate, il raccordo tra centri pubblici e privati, locali, regionali, nazionali, l’organizzazione e il monitoraggio complessivo, che compete alla direzione generale e alla direzione sanitaria (e tanti altri aspetti sui quali, per semplicità, in questa sede sorvolo)».
Secondo Corcioni «il Servizio di Cosenza, era cosa abbastanza nota agli operatori e ai pazienti, presentava, da lungo tempo, evidenti criticità. E qui veniamo al secondo punto chiave della vicenda». Al presidente dell’Ordine risulta infatti che «il Servizio trasfusionale di Cosenza sia stato oggetto, nel mese di settembre 2012, di un’ispezione condotta da un gruppo di esperti nominato dalla Struttura commissariale e con la presenza, al suo interno, di un componente nominato dal ministero. I risultati dell’ispezione, che evidenziava criticità rilevanti, attribuibili tanto a carenze strutturali e tecnologiche, che organizzative, venivano formalmente notificati alle autorità sanitarie direttamente interessate (cioè il direttore generale, il direttore sanitario e il direttore del servizio) nel successivo mese di ottobre 2012. Con la nota di accompagnamento al report ispettivo, evidenziata la gravità delle criticità riscontrate, si chiedeva al direttore generale di adottare, in tempi rapidi (15-30 giorni), i necessari interventi e le dovute azioni correttive. Se tutto quanto sopra evidenziato è vero, ed è vero, è evidente, quindi, che il Servizio nel quale si è verificato il tragico episodio dei giorni scorsi non funzionava ed era inidoneo ai compiti da svolgere. Peggio: era pericoloso, per cui bisognava intervenire urgentemente con immediate, adeguate e profonde azioni correttive. Lo sapeva la Regione Calabria, lo sapevano i direttori interessati, lo sapeva il rappresentante del ministero».
Le responsabilità vanno quindi ricercate ai più alti livelli e Corcioni passa poi a elencare le tante mancanze della Regione Calabria in quanto, denuncia, «che cosa è stato fatto a seguito dell’ispezione: nulla di significativo». Come se nulla fosse accaduto, come se tutto funzionasse a dovere. «Eppure – scrive ancora Corcioni – vale la pena di ricordarlo, alla stessa Regione Calabria erano negli anni pervenute richieste, sollecitazioni, preghiere, documenti e inviti per far si che venissero rispettate le norme riguardanti i centri trasfusionali. Ma la Regione ha ignorato anche tante altre cose. Infatti, ha mostrato di non sapere che, oggi: nei Servizi trasfusionali i medici e i laureati sono meno del 1993, pur avendo carichi di lavoro 6 volte maggiori; sono rimasti tre primari di ruolo su 11 previsti; ci sono Servizi Trasfusionali che  continuano a lavorare avendo il 50%  del personale previsto, a volte anche meno; ci sono Servizi trasfusionali che non potrebbero rimanere attivi, perché il Personale residuo è sottoposto a turni continui, con sovraccarichi estenuanti di lavoro. Medici che sono trascurati da tutti: i direttori generali non li sentono e non li vedono, nemmeno se si dimettono da responsabili della struttura per le gravi carenze a cui non riescono a far fronte».
«Tutto questo – avverte il presidente dell’Ordine di Cosenza – solleva forse da colpe individuali, anche di natura penale? Evidentemente no, se e quando saranno accertate. È necessario, però, che sul Sistema trasfusionale regionale si faccia luce e si assumano impegni. E non si tratta di soldi e disponibilità economiche perché ci risulta che il sistema trasfusionale regionale non sia riuscito a spendere nemmeno i fondi che dal 2005 arrivano dal governo nazionale. Serve una immediata nuova responsabilità regionale come quella che era stata prevista nella legge regionale numero 24 del 2011, non attuata perché bocciata dal governo nazionale. Serve immediatamente una distinzione dei ruoli: chi fa l’ispettore di valutazione non può essere la stessa persona che deve valutare e applicare i risultati dell’ispezione. Serve una riforma profonda e complessiva dell’intero Servizio, perché non si ripetano mai più casi come quello di cui ci siamo occupati».
«Facciamo sì conclude Corcioni – che questa terribile tragedia, oltre alla individuazione e punizione dei responsabili, ad ogni livello, serva almeno a produrre il cambiamento programmatorio, organizzativo e gestionale per troppo tempo rinviato». (0040)

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