Le storie dei migranti nello "Scatolone"
REGGIO CALABRIA Chissà se ci sarà anche lo “Scatolone” fra i luoghi che il ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge visiterà lunedì prossimo, in occasione della sua visita a Reggio Calabria, dove ve…

REGGIO CALABRIA Chissà se ci sarà anche lo “Scatolone” fra i luoghi che il ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge visiterà lunedì prossimo, in occasione della sua visita a Reggio Calabria, dove verrà insignita del premio “Donna fuori dagli abissi”. È infatti in quel palazzetto che stanno trovando asilo e prima accoglienza i migranti che a centinaia stanno sbarcando sulle coste calabresi, in fuga da guerre diverse ma che per tutti significano fame, paura, necessità di cercare altrove un destino migliore. Dopo i 154 profughi siriani e afghani giunti a Reggio Calabria il giorno di Ferragosto, nel tardo pomeriggio sono arrivati al porto della città calabrese dello Stretto altri 179 migranti di nazionalità libica, eritrea e somala. Anche loro si lasciano alle spalle Paesi sconvolti da conflitti più o meno recenti, anche loro hanno deciso di attraversare il mare per riscrivere il proprio destino.
Sono partiti quattro giorni fa dalle coste libiche su un barcone intercettato la notte scorsa dalla nave Bettica della Marina militare che incrociava nelle acque a sud di Lampedusa. A bordo c’erano oltre duecento profughi, avvistati e soccorsi dalle forze italiane. Non tutti sono stati trasferiti a Reggio Calabria. Almeno tredici migranti, affetti da malaria e le cui condizioni sono state giudicate troppo gravi per proseguire il viaggio, sono stati ricoverati negli ospedali di Augusta. Tutti gli altri, bagnati e infreddoliti per la lunga traversata, dopo una prima assistenza sono stati imbarcati su due movedette Sar della Guardia Costiera, e trasferiti per direttiva ministeriale a Reggio Calabria. Fra loro ci sono anche 16 donne e 8 minori, di cui due non sembrano avere più di un anno di vita.
Un uomo, arrivato con la seconda motovedetta, è stato immediatamente trasferito in ospedale per accertamenti.
Bagnati, infreddoliti, stremati dai giorni di permanenza sul barcone, i profughi sono arrivati sulle coste calabresi dello Stretto dove – già da ore – la macchina cittadina dei soccorsi – già messa a dura prova dallo sbarco avvenuto meno di quarantotto ore prima – era al lavoro. C’è chi ha salvato dal mare un diario o un’agenda che stringe come se fosse il suo più prezioso bene, chi trascina con sé la termocoperta che i primi soccorritori gli hanno fornito, una donna che stringe al petto un bimbo che non avrà che qualche mese di vita. Alcuni pensano di essere arrivati a Lampedusa e tocca all’interprete e ai volontari spiegare loro – una provvidenziale cartina alla mano – dove sia Reggio e la Calabria. Un luogo di passaggio nelle intenzioni dei più che chiedono quanto sia distante la Norvegia o la Germania, Paesi ormai noti per l’assistenza che danno ai migranti nei lunghi mesi di disbrigo delle pratiche di asilo, ma anche considerati più ricchi e sicuri.
Per tutti, non è stata una traversata facile. Lo raccontano alcuni ragazzi eritrei, che prima ancora di cibo o acqua, hanno chiesto di poter fare una telefonata. In Libia, il giorno della partenza, nel trasbordo dal gommone con cui gli scafisti li hanno fatti allontanare dalla spiaggia, alla nave madre, un amico è scivolato in acqua e non è stato soccorso. Sul barcone non è mai salito. Hanno bisogno di chiamare il suo cellulare per sapere se in qualche modo sia riuscito a salvarsi o se avranno l’ingrato compito di avvertire la famiglia.
Sono queste le storie che uno degli interpreti dell’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) -una delle ong inserite nel progetto “Praesidium”, il programma coordinato dal ministero dell`Interno che dal 2008 vede diverse organizzazioni intervenire a tutela dei migranti – raccoglie sul molo, dove i migranti sono stati soccorsi e momentaneamente ospitati su un autobus di linea, in attesa di essere trasferiti allo “Scatolone”. Prenderanno il posto dei 154 profughi siriani e afghani, in gran parte trasferiti in giornata ai centri di accoglienza di Crotone e Carini, mentre i venti minori non accompagnati sono stati già accolti in una casa famiglia della città.
Già dalle prime ore del pomeriggio, con il coordinamento della Prefettura, nella struttura sono iniziati i preparativi per accogliere la nuova ondata di migranti. Al palazzetto sono arrivate nuove brandine e nuovi carichi di acqua e viveri, i volontari si sono attivati per raccogliere abiti e scarpe da fornire ai nuovi arrivati. Nel frattempo, sul molo, gli agenti della polizia, coordinati dal vice Dirigente dell’Ufficio Generale e Soccorso Pubblico, Giuseppe Giliberti, gli uomini della Guardia Costiera e la Gdf, insieme al mondo del volontariato reggino hanno fatto di tutto per garantire ai migranti condizioni quanto meno dignitose, in attesa del trasferimento allo “Scatolone”.
“Noi siamo preposti alla sicurezza pubblica ma abbiamo fra i nostri compiti anche quello di fornire assistenza alle popolazioni in difficoltà che scelgono il nostro Paese come meta definitiva o di passaggio e il bilancio che possiamo fare della gestione di questi due sbarchi è sicuramente positivo.”- commenta, ancora sul molo, Giliberti – “Il meccanismo è rodato, la Questura di Reggio Calabria e i commissariati limitrofi hanno un’esperienza importante nella gestione di questo tipo di emergenza, che conferma l’enorme capacità di lavorare insieme delle istituzioni e degli organismi preposti”.
Parole istituzionali, che non riescono a nascondere la soddisfazione per aver superato giorni difficili. Ma un pensiero il dirigente della Questura non ha potuto fare a meno di dedicarlo al colonnello dei Carabinieri e comandante dei vigili urbani di fresca nomina, Cosimo Fazio, morto poco meno di 48 ore fa su quello stesso molo, mentre assisteva i migranti intercettati su un due alberi la notte precedente a Ferragosto e in mattinata trasferiti a Reggio. “Sono sicuro – dice Giliberti – che il colonnello Fazio anche stasera è qui con noi a trasmetterci il suo entusiasmo”.