CASO LO GIUDICE | Dal pentito un fiume di accuse
REGGIO CALABRIA Il collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice torna a farsi vivo a due mesi dalla sua scomparsa. E lo fa con un secondo memoriale e un video che consegna a un avvocato di Reggio Calab…

REGGIO CALABRIA Il collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice torna a farsi vivo a due mesi dalla sua scomparsa. E lo fa con un secondo memoriale e un video che consegna a un avvocato di Reggio Calabria, Pino Nardo, e ad alcune redazioni dei giornali. Il pentito è un uomo in fuga perché, secondo lui, qualcuno lo vuole eliminare.
Dopo aver ritrattato tutte le accuse fatte durante la sua collaborazione, Lo Giudice parla di massoneria, sostiene che qualcuno lo vuole uccidere per le dichiarazioni che ha messo a verbale e, infine, tra le altre cose, accusa il sostituto della Dna Gianfranco Donadio che gli avrebbe chiesto di accusare Berlusconi e Dell`Utri.
Ma andiamo con ordine. Il memoriale e il video sono stato consegnati ai giornalisti dall`avvocato Pino Nardo che, oggi pomeriggio, ha tenuto una conferenza stampa spiegando il contenuto delle 28 pagine che gli sono state recapitate. Un memoriale che Lo Giudice legge anche davanti a una telecamera, sostenendo che non si tratta di fango. Il pentito parla del sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo: «È uno dei magistrati più onesti che ho conosciuto, è un uomo in ogni senso, ha bisogno di essere sostenuto da parte di tutti i suoi colleghi. Non bisogna lasciarlo solo, sostenetelo. Perché è importante per tutti. Non è un corrotto, o tragediatore, né un vigliacco…ma è un vero uomo prezioso. Un brillante puro».
Inoltre, Lo Giudice spiega le ragioni del suo “allontamento” solitario e senza l`aiuto di nessuno: «Nessuno ha contribuito, – scrive – né ci sono stati complici, ho fatto tutto da solo e indisturbato. Non potevo fidarmi più di nessuno, neanche della mia compagna che fino a quel momento ha condiviso con me gli anni della mia collaborazione».
L`ex collaboratore ribadisce di aver accusato l`ex vice della Dna Alberto Cisterna su istigazione dei magistrati Pignatone, Prestipino, Ronchi, dell`ex capo della mobile Renato Cortese e del suo avvocato Fernando Catanzaro: «La mia volontà – si legge nel memoriale – era ormai gestita dalle loro pretese che ogni giorno diventavano sempre più ossessive… Il mio “dispiace” non riparerà quello che lei ha perso, ma… sosterrò fino in fondo la sua innocenza… con la speranza che tutti torni al suo posto con successo».
Buona parte del memoriale è dedicata al procuratore generale di Reggio Calabria: «Lei, dottore Di Landro, non deve spronare il Csm per scovare i “miei fantomatici e dotti pupari”, lei (da “Re Leone” come la definisco io con vero orgoglio) deve avere la compiacenza a scendere dal suo “trono regale” e fare prelevare “l`ex squadra antimafia inquisitoria” colpevole di molte cose che ha definito dal mio memoriale falsità… non andate a cercare i miei manovratori occulti “(di oggi)” perché perderà solo del tempo prezioso, altresì, desidero rasserenare la sua anima inquieta, dicendogli che i miei “pupari” non sono mai esistiti, ma bensì esiste solo e soltanto sorella sofferenza!!! (e non dei fantasiosi poveri cavalieri di Cristo)».
Nel suo racconto, Lo Giudice spiega che, seppur di modesta cultura, è in grado di capire e denunciare ciò che avviene nei «raffinati uffici della capitale» per distruggere – a suo dire – persone oneste attraverso l`uso di pentiti robottizzati, illusi, usati e abbandonati «al proprio destino. Come lo sono stato io».
Sempre a Di Landro e al sostituto Giuseppe Lombardo, l`ex pentito in fuga pone alcuni interrogativi che vanno dall`episodio dei bulloni svitati dall`auto del procuratore generale alle continue minacce e intimidazioni ai danni del pm della Dda: «Cosa c`è ancora nel “grande pentolone” che non deve essere scoperto?». E al solo Di Landro: «Qualcuno voleva sbarazzarsi di lei perché il posto che occupa ancora oggi faceva gola a qualcuno? Chi? Ci ha pensato chi poteva avere tanto interesse? Qualcuno le ha fatto qualche richiesta che lei non ha potuto esaudire? Cosa c`è sotto che non può dire? Se c`è non esiti di parlarne con chi oggi occupa un posto eccellente (procuratore Cafiero), perché anche secondo me, come sostiene il procuratore Cisterna, è la persona giusta e che da sicurezza».
Lo Giudice si sofferma anche sullo «spione dei servizi deviati Giovanni Zumbo e dei suoi “attendenti uditori” delle sue soffiate di comodo. Ci sono molte cose che dovete vagliare su questa persona, e non solo su di lui, perché ci potrebbero essere dei risvolti eclatanti e dare una “lettura” a tutto con soddisfazione».
Al procuratore aggiunto Michele Prestipino, Lo Giudice chiede di ricordare di quando gli suggeriva di accusare i servizi segreti, ritenendo che dietro gli attentati alla Procura generale ci fossero loro e Giovanni Zumbo, «il signore dello spionaggio e degli intrallazzi poco chiari».
Il pentito getta ombre sulla permanenza dei collaboratori di giustizia nel carcere di Rebibbia. Secondo Lo Giudice, lì i pentiti hanno la possibilità di incontrarsi liberamente e concordare ad arte le versioni da dare nei diversi processi: «L`uno era la fonte di informazione per l`altro e le tragedie prendevano la forma giusta per non essere smontate da nessuno».
A Rebibbia – continua il racconto contenuto nel memoriale – conobbe un altro collaboratore, Cosimo Virgilio, con il quale raccordo le versioni da fornire sul capitano Spadaro Tracuzzi in modo da «rovinarlo del tutto» perché «la squadra antimafia voleva così».
Lo Giudice sostiene di aver parlato, sempre con Virgilio, di massoneria, di una società segreta costituita in tre tronconi: una legalizzata della quale avrebbero fatto parte professionisti di alto livello, come giudici, servizi segreti deviati, uomini dello Stato; la seconda alla quale avrebbero partecipato uomini politici, avvocati e commercialisti; e la terza che sarebbe stata composta di criminali con poteri decisionali e uomini invisibili che rappresentavano il Tribunale supremo, che giudicavano la vita e la morte di ogni affiliato. Un`associazione segreta della quale Lo Giudice indica anche le sedi (Vibo Valentia, in Sicilia, Macerata e Reggio Calabria) e i membri che ne farebbero parte. Tra i nomi, ci sarebbero personaggi eccellenti della città dello Stretto.
Nel suo memoriale, l`ex collaboratore di giustizia racconta di essere scampato ad alcuni tentati omicidi e di avere vissuto notti insonni per paura di essere ammazzato assieme alla compagna dopo le dichiarazioni false che gli avrebbe fatto fare il sostituto della Dna Gianfranco Donadio.
Proprio quest`ultimo, a suo dire, gli avrebbe chiesto di rilasciare dichiarazioni contro l`ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e contro Marcello Dell`Utri.
L`ex capo della mobile di Reggio Renato Cortese, invece, gli avrebbe suggerito di accusare Di Landro quale possibile autore degli attentati del 2010: «La dinamica e la causale degli attentati non avevano una logica precisa e quindi il Cortese sospettava che ci fossero coinvolti personaggi di alto livello, appunto lei il dottore Di Landro e altri. La causale era che dentro la procura generale di Reggio Calabria c`erano delle cose che davano il sospetto al Cortese che quella bomba fosse stata collocata lì per accentuare il trasferimento di Mollace da poco insediato. Lo scopo era di fare trasferire Mollace in altra sede perché ritenuto scomodo viste le sue amicizie politiche, sociali e facente parte ad altra corrente di magistrati che secondo Cortese facevano parte alla massoneria e ai servizi deviati».
«Vogliono che tu gli parli dei giudici – sarebbe stata la frase dell`avvocato Fernando Catanzaro nel tentativo di spronare Lo Giudice ad accontentare quella che il pentito definisce “banda antimafia” – , devi accusare i giudici, parlagli di Cisterna, di Mollace, di Neri, non vedi che ti vengono dietro come iene?».
Un capitolo a parte del memoriale, Lo Giudice lo dedica all`inchiesta sulla lupara bianca della cognata Angela Costantino. In particolare, il pentito denucia il fatto che il sostituto Ronchi avrebbe nascosto al gip le dichiarazioni di Maurizio Lo Giudice sulla sparizione dell
a cognata e che avrebbero scagionato gli imputati Bruno Stilo e Fortunato Pennestrì.
«Devo precisare – concluse Lo Giudice – che la Ronchi, interrogatomi su questa vicenda, e visto che io non sapevo dare nessuno aiuto, cercò di insistere e voleva portarmi ad accusare gli imputati confermando delle dichiarazioni di comodo per potere avere una maggiore consistenza processuale. Sono certo che anche in questo caso venga fuori la verità». (0020)