Caso Lo Giudice, sulle tracce delle manine occulte
REGGIO CALABRIA Ha fatto male i suoi calcoli Nino Lo Giudice, detto il Nano. Se l’ex collaboratore – irreperibile dal 5 giugno scorso, ma che qualche giorno fa si è rimanifestato con un secondo scott…

REGGIO CALABRIA Ha fatto male i suoi calcoli Nino Lo Giudice, detto il Nano. Se l’ex collaboratore – irreperibile dal 5 giugno scorso, ma che qualche giorno fa si è rimanifestato con un secondo scottante memoriale – pensava bastasse inviare una striminzita letterina alla moglie, per convincere quattro noti avvocati reggini ad assumere la sua difesa è destinato a restare deluso. Nessuno dei quattro legali indicati dall’ex collaboratore – gli avvocati Giuseppe Nardo, Antonio Tarsitani, Lorenzo Gatto e Giacomo Iaria – può o vuole averlo come cliente. Per ragioni di incompatibilità – almeno tre di loro hanno fra i propri clienti alcuni dei soggetti accusati da Lo Giudice nel corso della sua controversa collaborazione – o per pura e semplice volontà, nessuno ha intenzione di difendere l’ex pentito sparito mesi fa, ma che venerdì scorso ha creato nuovo scompiglio con un secondo memoriale – non meno pesante del primo – e con un video, recapitati al Corriere della Calabria e all`Ora della Calabria e agli avvocati Nardo e Gatto.
I QUATTRO AVVOCATI DICONO NO
Un documento in cui – tra le altre cose – demolisce il suo ormai ex legale, accusandolo di aver collaborato con quella che l’ex pentito definisce la «squadra antimafia» (il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, l`aggiunto Michele Prestipino, che a breve lo raggiungerà e la pm Beatrice Ronchi, da tempo di stanza a Bologna ma ancora applicata a Reggio) nel costruire a tavolino la sua collaborazione, infarcendola di accuse non vere o di mezze verità. Ragioni sufficienti – secondo quanto scritto nel memoriale – per convincerlo a cambiare legale, optando per quattro nomi pesanti del foro di Reggio come indicato per lettera alla moglie Caterina. Una missiva – dal contenuto ad oggi blindatissimo – che la donna ha consegnato in Procura sabato scorso nelle mani dell’aggiunto Ottavio Sferlazza, ma che non sembra averla convinta a contattare i quattro legali per informarli dei desiderata del marito. È infatti dalle colonne della stampa locale che ai quattro avvocati reggini è toccato apprendere di essere stati “scelti” dall’ex collaboratore come difensori. Un onere che nessuno dei quattro – per ragioni tecniche, e in alcuni casi anche etiche – sembra avere la benché minima intenzione di sobbarcarsi.
LAVORO A PIENO RITMO IN PROCURA
Tutti elementi che oggi la Procura sta passando al setaccio. Bisognerà aspettare il rientro in servizio del procuratore capo della Dda, Federico Cafiero de Raho per stabilire quali parti del memoriale andranno a ingrossare il fascicolo già aperto sul caso Lo Giudice presso la Procura di Reggio, e quali invece sarà necessario inviare per competenza ad altri uffici, ma nel frattempo, gli inquirenti reggini lavorano già a pieno ritmo. Dal nuovo materiale che l’ex collaboratore ha fatto pervenire a Reggio Calabria, i pm della Dda stanno cercando di desumere non solo elementi utili all’ubicazione del Nano, ma soprattutto tracce dei veri destinatari dei suoi messaggi, così come di chi avrebbe gestito la fuga e guidato la mano dell’ex collaboratore. Da fonti vicine alla Procura filtra un’informazione chiara: i movimenti che Lo Giudice ha fatto per far perdere le proprie tracce dimostrano in maniera cristallina che non può aver agito da solo. Un’ipotesi che sembra confermata anche dall’assenza di timbri postali – e in un caso addirittura di un indirizzo di destinazione valido – sui plichi recapitati nelle due redazioni che venerdì scorso hanno ricevuto il secondo memoriale. Ed è proprio sul dare un nome e un volto a quella puntuale manina che ha imbucato le buste, a Reggio come a Lamezia, che sembrano concentrarsi oggi le attenzioni degli investigatori, interessati a individuare il primo anello di una catena che sembra essere decisamente più lunga, molto più inquietante e con al vertice personaggi che sembrano avere interesse – e urgenza – di mandare messaggi molto precisi.
MESSAGGI CIFRATI PER DESTINATARI OCCULTI
Nel lungo memoriale che il Nano – come si vede dal video – legge con una certa difficoltà dall’inizio alla fine, nonostante un linguaggio improprio, la sintassi approssimativa e le storpiature che gli sembrano proprie, più di un concetto non sembra appartenere all’ex collaboratore. Ma soprattutto, saltano agli occhi degli inquirenti alcuni passaggi su cui il Nano sembra voler indugiare. È il caso di quel riferimento al duplice omicidio dei due appuntati dei carabinieri, Antonio Fava e Giuseppe Garofalo, freddati il 18 gennaio del 1994 da una raffica di colpi partiti da un’auto in corsa pochi chilometri prima della galleria di Scilla. «Tornado sull`uccisione del carabinieri – scrive il Nano – devo raccontare che il Villani mi disse che a uccidere quei poveri padri di famiglia era stato personalmente lui, e che l`auto usata in quella azione era di proprietà dei suoi genitori, e che era guidata dal Calabrò. Altresì, mi dettagliò che quando sparava e, in particolare sull`appuntato Fava, questi gridava di risparmiarlo e di farlo per i suoi figli. Inoltre, mi disse con disprezzo che, quando gli mise il mitra a distanza ravvicinata all`app. Fava, questi gridava come un maiale e il Calabrò gli diceva gridando: “Ammazzalo.. ammazzalo.. che è uno sbirro di merda.. non avere pietà sparaaaaaa”».