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Nuovi strali di Chizzoniti contro Rappoccio

REGGIO CALABRIA «Se ho ben capito la ratio ispiratrice dell’ennesima, temeraria, improvvida e autolesionistica sortita del benefattore pubblico e privato, al secolo Antonio Rappoccio, “primo degli el…

Pubblicato il: 07/09/2013 – 15:13
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Nuovi strali di Chizzoniti contro Rappoccio

REGGIO CALABRIA «Se ho ben capito la ratio ispiratrice dell’ennesima, temeraria, improvvida e autolesionistica sortita del benefattore pubblico e privato, al secolo Antonio Rappoccio, “primo degli eletti” (non importa come) al consiglio regionale della Calabria, io, nella qualità del primo dei perdenti (non importa come e perché), nei cui confronti il predetto missionario laico ostenta il famoso vae victis (già opposto ai Romani dal conquistatore gallico, Brenno, anch’egli esperto falsario ma in pesi e bilanciamenti), avrei commesso diversi errori anche sul versante del rispetto di Sua Maestà imperiale. Tale perché, comunque, eletto».

L’origine della nuova polemica
Sono parole al vetriolo quelle che l’avvocato Aurelio Chizzoniti indirizza ad Antonio Rappoccio, consigliere regionale oggi imputato per associazione per delinquere, corruzione elettorale aggravata, truffa e peculato e indagato in una seconda inchiesta per truffa e peculato, graziato da una controversa scarcerazione nel luglio scorso, contro cui lo stesso procuratore capo Federico Cafiero de Raho si è schierato. Un ritorno in libertà che a Rappoccio ha consentito di chiedere e ottenere il reintegro in consiglio regionale – dove era stato sostituito dall’avvocato Chizzoniti nei mesi di sospensione – ma anche nuove, immediate misure cautelari – il divieto di dimora in Calabria – dovute proprio alla fretta dimostrata nel voler recuperare il suo scranno. È per arrivare in consiglio regionale ed è proprio approfittando della sua condizione di consigliere che – dicono i giudici – Rappoccio si è macchiato di una lunga serie di reati, dunque il suo ritorno a Palazzo Campanella non può che «aggravare le esigenze cautelari». È questa la fondamentale motivazione del divieto di dimora che ha colpito l’ex consigliere, per questo motivo ancora una volta sospeso dalla carica. Una procedura che passa anche dal Consiglio dei ministri, chiamato a pronunciarsi sul punto, e in queste settimane – come l’avvocato Chizzoniti ha sottolineato con una dura missiva a Napolitano – insolitamente distratto.
Un’iniziativa che Rappoccio non ha gradito, o almeno questo lascia intendere una nota diffusa nei giorni successivi. Parole cui Chizzoniti, non ha esitato a rispondere, smontando punto per punto le argomentazioni dell’ex consigliere: «Il primo errore sarebbe stato quello gravissimo di aver osato informare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in ordine alla persistente inerzia ministeriale nel cui contesto, ancora oggi, dopo oltre quaranta giorni dall’applicazione della misura cautelare, nessuno ha trovato il tempo per sospendere Rappoccio dall’esercizio delle funzioni Istituzionali; il secondo, ancora più grave, è quello di essermi rivolto al garante della Costituzione senza aver acquisito il placet del “primo degli eletti” (non importa come) che, per ciò solo, pretende di imporre al soccombente il celebre motto dell’Arma dei carabinieri “usi obbedir tacendo e tacendo morir…”».
Parole al vetriolo che diventano ancor più corrosive nel prosieguo della “lista”: «Il terzo, quello inemendabile, di aver arditamente rivendicato, nella qualità di “primo dei non eletti” (non importa come e perché), il seggio al consiglio regionale fraudolentemente conseguito dall’inimitabile teologo preposto, per investitura Teocratica, al governo delle agenzie per l’impiego in superiore composizione; il quarto: di perseguire il predetto obiettivo per esclusivi motivi di potere al contrario del “primo degli eletti” (non importa come), virtuoso filantropo da sempre al “disinteressato (dis)servizio” della collettività, “occasionalmente” atterrato a Palazzo Campanella, sede del consiglio regionale, per misericordiosi e non sacrileghi motivi politico-pagnottisti».

L’iter giudiziario
Un sarcastico quanto poco velato accenno alle vicende giudiziarie di Rappoccio, che stando alle inchieste sarebbe arrivato a Palazzo Campanella grazie a un sistema nascosto dietro tre cooperative fantasma che nascondevano in realtà una personalissima macchina elettorale destinata alla raccolta dei voti per l’ex consigliere. Ma soprattutto – racconta l’inchiesta coordinata dal pg Francesco Scuderi – avrebbe utilizzato la posizione raggiunta in consiglio regionale, per gestire in maniera illecita oltre 70mila euro di contributi per i gruppi emessi dalla regione.
E proprio a questo sembra riferirsi Chizzoniti quando sottolinea che «nella speranza di essere redento, di aver capito poco o nulla dell’alto profilo ecumenico-pastorale di chi, danzando con impareggiabile agilità fra un peculato e una truffa ordinaria, esibendosi altresì, con gelida disinvoltura, in pluricorruzioni elettorali aggravate ben domiciliate in un contesto associativo, continua a correre – plenis velis – spensierato e in buona compagnia verso il precipizio. “Travestito” da pedagogo politico, a dir poco, nauseato e comunque felpatamente distaccato rispetto a chi (come me), infedele e impenitente, invece vuole fare il consigliere regionale a tutti i costi confondendo il sacro con il profano. Ne deriva che il signor Rappoccio sarebbe soltanto vittima delle circostanze che lo hanno spinto, senza che egli lo volesse, al consiglio regionale, alimentando l’anima di un nuovo esodo occupazionale nella storia della carità, scandita dal pagamento “volontario” del pizzo da parte dei disperati della disoccupazione che ha fruttato il modico importo di circa 20.000 euro».

L’ecumenico Rappoccio «apologeta dell’occupazione»
Tutte vicende che stanno alla base del procedimento che oggi vede Rappoccio imputato, anche grazie agli innumerevoli esposti presentati da Chizzoniti, primo dei non eletti proprio alle spalle dell’ex consigliere e per questo da lui accusato di essere mosso solo da bramosia di potere. Accuse che Chizzoniti rispedisce al mittente, senza lesinare sul sarcasmo. «Io – scrive nella sua nota – appartenente al popolo bue, avrei tramato, organizzato agguati nelle Aule di Giustizia, depistaggi e quant’altro, trasformando, per mera bramosia di potere e con l’ausilio della stampa locale e nazionale, i gioielli della famiglia Rappocio (ex plurimis: Astrambiente, Alicante, Iride Solare, Sud Energia, gite fuori porta a Campo Calabro, Saline, Condofuri, San Lorenzo, ecc. ecc. ecc.), in veicoli, infidi e subdoli collettori di voti; laddove il mitico e incompreso Rappoccio, fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione elettorale, si è limitato soltanto a pianificare offerte spirituali attraverso pellegrinaggi ai venerati santuari di Lourdes, Fatima, Compostela, ecc. Nella cui mistica cornice il seggio a Palazzo Campanella altro non è se non un incidente nel programmato percorso turistico-religioso che ha distratto il dispensatore di posti di lavoro dalle previste mete escatologiche costringendolo a trattenersi, suo malgrado, al consiglio regionale».

Dalla Bibbia al cinema
Ed è passando dai riferimenti biblici e religiosi a quelli cinematografici che Chizzoniti sottolinea: «Per cui non mi resta che prendere atto dei madornali errori in cui sono perfidamente incorso e attingendo a ben collaudate liturgie vaticane, recitando il più intenso dei mea culpa, avverto il dovere di comunicare urbi et orbi: “Nunzio vobis gaudium magnum: habemus prophetam!”. Appunto Antonio Rappoccio. Lo stesso, emulo del Marchese del Grillo, non solo non paga l’artigiano ebreo (i disoccupati), perché “io so… io e tu non sei un…”, ma quando il falegname lo denuncia, egli, attraverso una vasta, diffusa e convincente opera di “sensibilizzazione” della Magistratura Vaticana (vizi atavici e senza frontiere) riesce addirittura a farlo condannare alla gogna! È questo il film che il signore delle cooperative farlocche sicuramente avrà visto. A questo punto è tutto chiaro: il “Totò”, quello vero, appare un patetico principiante perfino quando rifila la fontana di Trevi a ll’ingenuo turista statunitense, al cui confronto il Totò (truffa), affrancato dalle schiavitù delle prebende regionali, invece tende sublimamente alla gloria futura».

L’affaire “dimissioni”
E ovviamente la penna tagliente di Chizzoniti non può certo risparmiare la determinazione dell’ex consigliere Rappoccio a non rassegnare le dimissioni. Per l’avvocato, Rappoccio «con atteggiamenti “schettineggianti” stoicamente “resiste, resiste, resiste”. Perché non si abbandona la nave quando affonda! Per cui, con incontestabile, fiera quanto aristocratica dignità, parafrasando l’incoronato Napoleone, sembrerebbe esclamare: “Dio (truffa) me l’ha dato (il seggio) e guai a chi (Chizzoniti) lo tocca!”. Ammennicolo del tutto occasionale resta l’assegno di mantenimento pari a circa 2.000 euro, obolo che la parte offesa Regione gli eroga mensilmente con probabili proiezioni anche per la corresponsione di quello vitalizio. Più corretto di così! Perché quindi dimettersi? Giustamente: hic manebo optime!».
L’ultima parte della velenosissima nota, Chizzoniti la dedica a smontare l’interpretazione che Rappoccio sembra aver dato alla genesi delle nuove misure cautelari che lo hanno colpito, «che egli strumentalmente tributa ad uno sparuto, minoritario drappello di magistrati. Gli stessi che hanno contribuito a vario titolo – in barba alle imponenti esigenze cautelari conclamate dal Tdl ed ancora oggi integralmente sussistenti – alla sorprendente escarcerazione (sic!) dell’apologeta dell’occupazione. Semplicemente perché il predetto “aveva chiuso la segreteria politica subendo anche la sospensione dal partito” (doppio sic!). Nigro notanda lapillo dies! – (praticamente una giornataccia per la Giustizia)».
Un provvedimento emesso con il parere favorevole del procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza e e del sostituto Stefano Musolino, in seguito co-firmatario insieme al procuratore capo Cafiero de Rago dell’istanza di revoca, che Chizzoniti non solo ha fin da principio contestato, ma cui da una lettura inquietante: «C’è qualcuno che però ha subito l’avocazione della pg, senza impugnarla, ed appare assai probabile che, nella specie, si siano consumate livorose vendette anche con riferimento al caso Cisterna. Puntualmente avocato! Tutti, requirenti e giudicanti, a sezioni unite, hanno sottovalutato la tutt’altro che balneare presenza alla Procura di Reggio del non allineato, con gli schemi pregressi, dottor Federico Cafiero de Raho. Capo dell’importante ufficio».
Parole pesanti come macigni, di certo non smorzate da quelle che Chizzoniti sceglie per concludere la propria nota. Citando monsignor Domenico Tardini, l’avvocato infatti ricorda «quando in un`occasione sbottò: “È confortante che l’avvenire sia nelle mani di Dio, ma purtroppo il presente è nelle mani dei farabutti!”. Quelli che pretendono di essere santificati in vita al contrario della defunta, volenterosa dilettante Madre Teresa di Calcutta che è ancora in stand by». (0050)

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