Luciano Lo Giudice al 41 bis
REGGIO CALABRIA Agosto ha portato una novità per Luciano Lo Giudice: il trasferimento al regime di 41 bis, il carcere duro. Un’istanza che il sostituto procuratore Beatrice Ronchi, da tempo trasferit…

REGGIO CALABRIA Agosto ha portato una novità per Luciano Lo Giudice: il trasferimento al regime di 41 bis, il carcere duro. Un’istanza che il sostituto procuratore Beatrice Ronchi, da tempo trasferita a Bologna, ma ancora applicata a Reggio per concludere il processo contro la cosca Lo Giudice, ha avanzato il 17 luglio scorso, trasmettendola alla Dna – che dopo due giorni ha dato l`ok – quindi al Ministero. Ed è dunque da Roma che il primo agosto è arrivato l’ordine di trasferire Luciano Lo Giudice al carcere di Cuneo, dove è attualmente detenuto in regime di 41 bis.
Stando a quanto si legge nel decreto ministeriale, il provvedimento si è reso necessario in seguito alla scomparsa del fratello, l’ex collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice, resosi irreperibile dal 5 giugno scorso, e che dunque adesso – si legge sempre nel decreto – potrebbe provare a mettersi in contatto con Luciano Lo Giudice, accusato di essere la mente economica del clan, ma che ha sempre smentito ogni accusa, rifiutando qualsiasi forma di collaborazione con i magistrati. Sono queste, dunque, le principali motivazioni che hanno spinto il Ministero a trasferirlo al carcere duro, ma non le uniche.
A pesare sull’inasprimento del regime detentivo di Luciano, in precedenza assegnato al circuito zeta riservato ai familiari dei collaboratori di giustizia, sarebbero state anche le circostanze – e le rivelazioni – che hanno accompagnato la scomparsa di Nino Lo Giudice. Il “Nano” si è infatti reso irreperibile, lasciandosi alle spalle uno scottante memoriale con il quale ha ritrattato tutte le sue precedenti dichiarazioni. Sei pagine pesantissime in cui l’ex collaboratore accusa quella che definisce una «cricca di magistrati» – l’ex procuratore capo di Reggio, Giuseppe Pignatone, il suo aggiunto che a breve lo seguirà a Roma, Michele Prestipino, e la sostituto, Beatrice Ronchi – di averne drogato la collaborazione, inducendolo ad «accusare innocenti» e rivelare fatti, circostanze e particolari di cui non era a conoscenza. Un memoriale, fatto recapitare a Reggio Calabria a pochi giorni dalla sua scomparsa, che sulla scorta dell’istanza del pm il Ministero definisce «non spontaneo e che non appare frutto di un moto d’impeto».
Allo stesso modo, è con estremo sospetto che da Roma si interpreta la ritrattazione del “Nano”, considerata troppo vicina a quella del fratello Maurizio, anche lui fino a qualche mese fa sottoposto a regime di protezione. Chiamato nell’aprile scorso come testimone al processo che vede alla sbarra buona parte dei suoi familiari e che aveva nel fratello ex pentito Nino il principale teste d’accusa, e nell’altro fratello, Luciano, uno dei principali imputati, Maurizio Lo Giudice ha prima risposto in maniera vaga e imprecisa alle domande del pm, quindi si è trincerato dietro una serie di «non so, non ricordo». Un muro di silenzio che la Ronchi ha tentato – invano – di abbattere e che, nonostante sia stato pressoché identico a quello opposto alle domande del pm nel corso del processo che ha visto Luciano imputato per usura, oggi appare estremamente sospetto agli occhi del Ministero. Per Roma, quella di Maurizio sarebbe infatti una vera e propria ritrattazione, precedente se non prodromica a quella del “Nano”. Circostanze – si evince dal decreto – che potrebbero far pensare che i due fratelli abbiano ricevuto istruzioni e garanzie per mettere in atto quella che il Ministero sembra interpretare come una strategia. (0050)