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Busta con polvere esplosiva per un testimone di giustizia

REGGIO CALABRIA «Dopo averla disinnescata, gli artificieri mi hanno consigliato di andare ad accendere un cero alla Madonna, perché solo per miracolo mi sono salvato. Dentro la busta, c’erano più di…

Pubblicato il: 17/09/2013 – 18:29
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Busta con polvere esplosiva per un testimone di giustizia

REGGIO CALABRIA «Dopo averla disinnescata, gli artificieri mi hanno consigliato di andare ad accendere un cero alla Madonna, perché solo per miracolo mi sono salvato. Dentro la busta, c’erano più di duecento grammi di polvere esplosiva innescata. Trenta, quaranta grammi possono fare danni, con duecento si può provocare una strage». È ancora provato il testimone di giustizia Gaetano Caminiti, da tutti conosciuto come Franco, quando parla di quella busta di morte che gli è stata recapitata ieri, attorno a mezzogiorno. A portarla era stato il postino, che proprio nelle sue mani aveva consegnato una busta gialla, regolarmente affrancata e indirizzata “alla sua attenzione”, più pesante del normale e con una curiosa indicazione «contiene cd». «Chi l’ha mandata ha indicato i carabinieri come mittente e la cosa mi ha insospettito subito. Immediatamente mi sono chiesto perché l’avessero spedita e non mi fosse stata consegnata personalmente». Tutti dubbi che non hanno impedito a Caminiti di aprire la busta. «Appena l’ho aperta è venuto fuori un foglio con delle minacce. Mi sono innervosito e spaventato, ma ho aperto anche la seconda busta contenuta all’interno del plico. Stavo usando un taglierino e inavvertitamente ho tagliato anche un filo elettrico. Appena ho capito di cosa si trattasse ho chiamato i carabinieri».
All’interno della busta, l’imprenditore che con le sue denunce ha fatto arrestare e condannare i suoi aguzzini, ha trovato un ordigno pronto a esplodere: duecento grammi di polvere esplosiva innescata con dei fili elettrici collegati a un microchip ed a una piccola batteria. «Dopo averla disinnescata gli artificieri mi hanno detto che solo per un caso fortuito, tagliando quel filo non era esplosa. La batteria era scarica, per questo mi sono salvato». Non è la prima volta che Gaetano Caminiti rischia la vita. Nel 2000, due killer sono scappati prima di tentare di colpirlo, nel 2011 invece ci sono andati molto molto più vicino. Il 12 febbraio, verso le 18.30, una moto ha affiancato la sua Smart mentre percorreva la Statale 106 di ritorno da Reggio. Caminiti ha avuto solo il tempo di vedere due uomini con il volto coperto dai caschi, prima che gli scaricassero addosso cinque, sei colpi di pistola. Uno lo ha ferito al braccio, gli altri sono stati respinti dal montante d’acciaio della Smart. Allo stato, le indagini sugli autori dei due attentati sono ad un punto fermo, anche se chiaro appare il movente: Caminiti è un obiettivo perché è uno dei pochi imprenditori calabresi ad aver denunciato le pressioni e le minacce subite dai clan. Dal 1993, anno in cui ha iniziato a lavorare come titolare di un punto Snai a Pellaro, ha denunciato oltre una quarantina di episodi tra incendi, minacce, atti vandalici, estorsioni, attentati e lettere minatorie. Qualche mese fa, ha visto condannare in primo grado i suoi aguzzini al termine del procedimento “Azzardo”, scaturito proprio dalle sue denunce. Denunce che hanno convinto tanto il pm Stefano Musolino, che ha istruito l`inchiesta, tanto il Tribunale collegiale presieduto da Olga Tarzia, che ha comminato a Vincenzo Nettuno, Gennaro Gennarini e Terenzio Minniti sei anni di reclusione, più cinquemila euro di risarcimento. I tre avevano tentato di imporre all`imprenditore un software espressamente vietato dallo Stato e dalla Snai, di cui la sala giochi di Caminiti è centro convenzionato, che Caminiti ha rifiutato.
«I tre vanno via con l’alterigia e l’arroganza tipica della `ndrangheta», aveva ricostruito il pm in requisitoria, per il quale tutto – negli atteggiamenti di Gennarini, Nettuno e Minniti – è espressione della cosca attorno a cui gravitano. «Gennarini fa leva sulla sua parentela con i Latella-Ficara, cosa per cui è stato anche condannato in relazione al favoreggiamento della latitanza del suocero Vincenzo Ficara, per presentarsi alla sala giochi e imporre un accordo», aveva tuonato il pm. Ma dopo quella condanna – denuncia oggi Caminiti – è rimasto solo. Costretto quattro mesi fa a rinunciare alla scorta per incomprensioni e screzi con i carabinieri che gli erano stati assegnati, dalla Prefettura – afferma – ha ricevuto solo vaghe rassicurazioni. «Mi hanno detto che per un pò si sarebbero limitati a rafforzare la tutela, il servizio di sorveglianza attorno alla mia attività e alla mia abitazione, in attesa di capire a chi riassegnarmi, alla Questura o alla Finanza. Dopo oltre 40 denunce, oltre 100 persone indagate per questo, dopo aver riempito centinaia di pagine di verbali, forse ritengono che possa rimanere senza scorta», commenta amaro l’imprenditore. Si sente abbandonato dallo Stato, Franco Caminiti, che mormora: «Le istituzioni hanno fatto promesse che non hanno mantenuto. Mi avevano promesso dei finanziamenti come vittima del racket, ma non sono mai arrivati. Quei soldi mi avrebbero permesso di tenere aperto un locale che ho dovuto chiudere perché le `ndrine lo hanno boicottato. La `ndrangheta si sta dimostrando più forte dello Stato». Ma Caminiti si sente abbandonato anche dalle associazioni e dai movimenti antimafia: «Io avevo la tessera di Libera, ma l’ho restituita qualche mese fa. Da allora mi hanno voltato tutti le spalle, perché dicono che li avrei insultati. Ma cosa hanno fatto loro per me?».
Riflessioni e parole disperate, amare, di un uomo che, dopo essersi esposto, si è sentito usato e abbandonato, ma soprattutto che nella sua solitudine sembra aver perso la speranza. «Forse non valeva la pena fare tutto questo. Se questo è il risultato, a cosa è servito denunciare, combattere? Penso che se la gente conoscesse la mia storia, da domani non andrebbe a denunciare neanche lo smarrimento della carta d’identità». Un rigurgito di tristezza, che Caminiti tenta di spazzare via: «Spero che il procuratore capo e il prefetto prendano da subito le decisioni necessarie alla mia protezione e al disbrigo urgente delle pratiche giacenti in Procura e in Prefettura. E che la risposta delle istituzioni sia ferma e serena». (0050)

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