Il "sistema Rappoccio" torna in aula
REGGIO CALABRIA È sotto gli occhi del Collegio in nuova composizione che torna in aula il processo Rappoccio, il procedimento a carico dell’ex consigliere regionale accusato di corruzione elettorale…

REGGIO CALABRIA È sotto gli occhi del Collegio in nuova composizione che torna in aula il processo Rappoccio, il procedimento a carico dell’ex consigliere regionale accusato di corruzione elettorale, associazione a delinquere, truffa e peculato perché ritenuto il dominus di quel sistema nascosto dietro le tre presunte cooperative fantasma – Alicante, Iride solare e Sud energia – secondo l’accusa costituite esclusivamente per alimentare una macchina elettorale basata sull’endemica e profonda fame di lavoro presente fra giovani e meno giovani di Reggio Calabria, cui Rappoccio avrebbe promesso un impiego in cambio del voto.
Rigettata l’eccezione presentata dal legale dell’ex consigliere regionale, l’avvocato Giacomo Iaria, che aveva chiesto la sospensione del processo in attesa dell’esito dell’istanza di ricusazione presentata dalla parte civile, l’avvocato Aurelio Chizzoniti contro il precedente Collegio – oggi totalmente riformato, fatta eccezione per il giudice Fiorentini – è toccato proprio a Chizzoniti tornare sul banco dei testimoni. Nonostante la scorsa udienza tanto la difesa come la parte civile avessero negato il consenso al rinnovo degli atti, oggi l’avvocato si è limitato a confermare quanto dichiarato durante esame e controesame senza che il legale di Rappoccio avesse nulla da eccepire. E nessuna domanda è arrivata anche dalla pubblica accusa, che a differenza della difesa del principale imputato fin da principio si era mostrata disponibile al mero rinnovo degli atti.
Terminata in non più di un paio di minuti l’audizione di Chizzoniti, sul banco dei testimoni è stato chiamato invece Domenico Valeri, impiegato comunale per lungo tempo applicato agli uffici del gruppo del partito repubblicano. Contrariamente al collega Rotilio, che la scorsa udienza ha puntato il dito contro Rappoccio, raccontando come gli uffici di Palazzo San Giorgio si sarebbero trasformati in una succursale della cooperativa Alicante, un`amnesia sembra oggi aver colpito Valeri, cui sono state necessarie numerose e ripetute contestazioni da parte del pm per “ricordare” quanto lui stesso aveva messo a verbale quando il procedimento contro l’ex consigliere regionale era ancora in fase istruttoria. Nonostante anche la moglie e la figlia dell’impiegato comunale siano state fra le innumerevoli partecipanti deluse dal maxiconcorso – con cui all’epoca sarebbero stati promessi centinaia di posti di lavoro in una presunta fantomatica società di produzione di pannelli fotovoltaici – è stata necessaria tutta la pazienza e la perseveranza del pm Annalisa Arena per vincere il muro di «non ricordo» dietro il quale l’impiegato si è trincerato.
Ed è solo su contestazione del pm che Valeri finisce per ammettere che era stato necessario versare quindici euro con un bollettino postale perché le donne diventassero socie delle coop e potessero partecipare alla selezione. Bollettino – simile se non uguale – a quelli contenuti in una scatolone visto negli uffici del gruppo consiliare e che «dei ragazzi che collaboravano con il consigliere e venivano periodicamente» si preoccupavano di consegnare a quanti si presentassero al gruppo. Tutti collaboratori – aggiunge Valeri – cui Rappoccio aveva ordinato di mettere a disposizione computer, carta, stampante, telefoni e qualsiasi cosa fosse necessaria.
Ma quella segreteria – ricorda l’impiegato – era anche sede di frequenti e lunghissime riunioni. Di cosa si trattasse o cosa discutesse il consigliere con i suoi numerosi collaboratori quando questi ultimi si presentavano in ufficio, Valeri si è detto assolutamente incapace di riferire. «Non so cosa succedesse nella stanza. Quando arrivavano i collaboratori di Rappoccio, noi andavamo fuori. Inizialmente era lui a chiedercelo, poi abbiamo iniziato a farlo autonomamente», dice Valeri. Di certo – ripete più volte – «io mi sono sempre rifiutato di svolgere mansioni estranee all’ufficio come le telefonate private». «Una volta Rappoccio mi ha dato un elenco di numeri a cui telefonare per fissare un appuntamento alla segreteria politica, ma io mi sono rifiutato», ricorda l’impiegato, suscitando lo stupore del pm che all’uomo ricorda quel preciso riferimento all’Alicante messo a verbale anni fa, ma “dimenticato” oggi in aula.
Più preciso e dettagliato nella sua deposizione è stato Gianfranco Vazzana, esperto chiamato da Rappoccio a collaborare alla costruzione di diversi progetti, incluso quello di un orto botanico, immaginato su un terreno privato e per questo naufragato dopo mesi di lavoro. Sarebbe stato lui a mettere in contatto una nota azienda di fotovoltaico – la Solare Italia – con la cooperativa Alicante per studiare una possibile collaborazione. Un progetto in seguito saltato – dice Vazzana – anche per le vicissitudini societarie della holding, ma che non ha fatto desistere Rappoccio. A mesi dall’eloquente silenzio con cui i massimi vertici della società aveva risposto alle proposte e ai progetti della cooperativa, Vazzana – che aveva da tempo abbandonato il gruppo di lavoro costituito dall’ex consigliere – sarebbe stato richiamato prima per elaborare a tempi record un masterplan, quindi – a distanza di mesi – per la redazione di un bando.
«Mi dissero “si parte con la costruzione della fabbrica”, ci vediamo per una riunione all’Alicante. Quando sono arrivato lì, mi dissero che bisognava fare un bando». Per l’esperto, è la goccia che fa traboccare il vaso. Con il tono ancora inasprito dalla delusione, Vazzana ricorda: «Mi sarei aspettato che le figure professionali necessarie venissero indicate sulla base di un masterplan. Arrivò un foglietto da Rappoccio, ma non ne sono sicuro, con cifre e indicazioni su figure professionali. Anche per questo motivo sono andato via». E nonostante non riesca a ricordare con precisione chi abbia materialmente messo quel foglietto sul tavolo, l’esperto è netto: «Rappoccio era interessato personalmente al bando». Un bando legato a un progetto più che fumoso: «Io non ho mai visto documenti ufficiali della società, ma ci venne anche chiesto di versare una quota. Anche per questo ho deciso di lasciare. La mia faccia su questa cosa non la volevo mettere». (0040)