LA CATTURA DEL NANO | Il mistero della fuga da Macerata
REGGIO CALABRIA «Questa è una giornata importante per Reggio perché con questo arresto abbiamo messo a tacere tutti quelli che dicevano che dietro l’allontanamento di Lo Giudice ci fossero forze occu…

REGGIO CALABRIA «Questa è una giornata importante per Reggio perché con questo arresto abbiamo messo a tacere tutti quelli che dicevano che dietro l’allontanamento di Lo Giudice ci fossero forze occulte con cui la sua fuga sarebbe stata concertata. Lo Giudice era solo ed è stato aiutato solo dalla sua famiglia». C’è tutta la soddisfazione di chi è riuscito con indagini serrate non solo a mettere le mani su un latitante di peso, ma anche di chi sa di avere in mano la chiave per sciogliere molti dei quesiti, delle ambiguità e delle ombre che hanno accompagnato i suoi primi mesi da procuratore capo della Dda reggina, nelle parole di Federico Cafiero de Raho.
Orgoglioso della sua Procura e degli uomini della Questura di Reggio e dello Sco che questa mattina all’alba hanno stretto le manette ai polsi di Nino Lo Giudice, Cafiero de Raho ha iniziato a diradare le nebbie che da mesi avvolgono la figura del controverso collaboratore, resosi irreperibile il 3 giugno scorso. «La sua fuga – afferma con decisione de Raho – non è stata indotta dalla costrizione di altri, ma solo da situazioni che percepiva come pericolose per la sua persona».
Sono questi i motivi che – stando alla preliminare ricostruzione della Procura – avrebbero indotto Nino il nano ad allontanarsi dal sito protetto di Macerata. Un’ipotesi che adesso toccherà alle indagini suffragare o smentire anche sulla base dei necessari accertamenti sull’ingente mole di materiale sequestrato nell’appartamento in cui Lo Giudice si nascondeva con la moglie, tanto – forse – sulle dichiarazioni del collaboratore, che, almeno allo stato, non ha ancora chiarito se continuerà tale percorso. «Speriamo – commenta il procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza – che adesso abbia finalmente intenzione di chiarire gli scenari torbidi aperti dal suo allontanamento».
Lo Giudice ha fatto perdere le proprie tracce il pomeriggio del 3 giugno, scatenando una caccia all’uomo che ha coinvolto diverse Procure. Qualche mese fa – comunicano oggi gli investigatori – ci sarebbe stata la svolta. «Circa due mesi fa abbiamo avuto sentore che il latitante si nascondesse a Reggio e abbiamo concentrato le indagini qui», sottolinea il dirigente della squadra mobile reggina, Gennaro Semeraro. «Dopo lunghi appostamenti, anche in zone impervie, siamo riusciti a individuare l’appartamento di Vito, alla periferia Nord della città, in cui si nascondeva».
Un appartamento che – stando a quanto riferisce de Raho – sarebbe intestato a un lontano parente e dove Nino Lo Giudice si sarebbe nascosto per mesi anche grazie all’appoggio fornito da alcuni familiari – «sicuramente la moglie e alcuni dei figli» – le cui responsabilità saranno a breve vagliate dalla Procura. «Aspettiamo che venga depositata l’informativa che lo Sco e la Mobile dovranno redigere, quindi procederemo alla formale iscrizione di quanti risulteranno coinvolti», annuncia Cafiero de Raho, che non perde occasione per sottolineare «l’estrema professionalità degli investigatori con cui ho la fortuna di collaborare».
Investigatori non solo reggini. Per la cattura di Lo Giudice è arrivato infatti un fondamentale contributo dagli uomini della prima sezione dello Sco diretta da Andrea Grassi, da tempo particolarmente impegnata nell’attività a Reggio e provincia – rivela il questore Gianni Longo – per espresso volere del capo della polizia. «Siamo arrivati alla cattura a meno di sei mesi dalla fuga e questo dimostra l’impegno e la determinazione dello Sco nel rendere concreta questa collaborazione», commenta il capo della Sezione Crimine Organizzato, Raffaele Grassi. Una sinergia, coordinata dalla Procura di Reggio Calabria, che oggi ha portato gli uomini dello Sco e della Mobile a bussare alla porta dell’abitazione in cui il Nano sperava di potersi celare.
«Era sorpreso – racconta Semeraro, con sul viso i segni di una nottata di tensione – non ha praticamente proferito parola». Un silenzio che gli inquirenti sperano che a breve possa rompere. «Con lui non c’è stato ancora né un colloquio, né un interrogatorio – evidenzia Cafiero de Raho – Stiamo cercando di rintracciare un difensore perché possa renderlo». E sono tante le cose che il Nano adesso dovrà chiarire, a partire da quei memoriali con cui ha per due volte rotto il silenzio che ha accompagnato i cinque mesi di latitanza. Memoriali che hanno messo in moto diverse Procure – Reggio, Catanzaro, Perugia – più l’ufficio di Macerata competente per il reato di evasione e sui quali – almeno sulla riva calabrese dello Stretto – sono arrivati i primi riscontri, tutti negativi. «Per i profili che competono la Procura di Reggio e siamo stati in grado di accertare, Lo Giudice quando ha ritrattato lo ha fatto con elementi di cui è stata dichiarata l’infondatezza. Quelle parti del secondo memoriale che sembravano fornire riscontri, stando a quanto abbiamo potuto fin qui accertare, si sono rivelate totalmente infondate».
Tuttavia – specifica il procuratore capo della Dda – questo non significa che l’intero corpus delle rivelazioni di Lo Giudice sia da buttare, al contrario. «Le sue dichiarazioni sono state considerate credibili anche da sentenze giunte dopo l’arrivo dei memoriali. Per noi dunque il quadro è coerente e interamente confermato, anche perché la Procura di Reggio Calabria ha portato avanti solo dibattimenti nei quali aveva la certezza di sostenere la verità. Laddove c’è una richiesta di ordinanza di custodia cautelare o di rinvio a giudizio, corrisponde sempre a quello che abbiamo accertato e pensiamo che corrisponda al vero». Un’affermazione netta che sembra voler stroncare sul nascere il vespaio di polemiche che la nuova irruzione del Nano sulla scena giudiziaria reggina sembra destinata a suscitare. Polemiche che potranno essere messe definitivamente a tacere solo quando Nino Lo Giudice si deciderà a raccontare – finalmente – un’unica verità, cristallina e senza ombre. Una verità che i magistrati reggini sono certi di poter tirare fuori. (0070)