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ANTIMAFIA A REGGIO | Fava: chiarezza sul "Protocollo farfalla"

REGGIO CALABRIA C’è una questione – pesante – sollevata ieri nel corso dell’audizione del ministro Cancellieri, riproposta al procuratore capo della Dna Roberti, ma rimasta di fatto senza risposta. I…

Pubblicato il: 10/12/2013 – 17:00
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ANTIMAFIA A REGGIO | Fava: chiarezza sul "Protocollo farfalla"

REGGIO CALABRIA C’è una questione – pesante – sollevata ieri nel corso dell’audizione del ministro Cancellieri, riproposta al procuratore capo della Dna Roberti, ma rimasta di fatto senza risposta. Il nome in codice è “Protocollo farfalla” e si tratterebbe di un patto segreto fra servizi di intelligence e Dap (Dipartimento dell`amministrazione penitenziaria), che in passato ma forse ancora permetterebbe alle barbe finte di entrare in contatto con i detenuti al 41 bis. A quale scopo – oggi – non è dato sapere. Tanto meno se sia ancora operativo. A sollevare la questione in commissione Antimafia è stato il parlamentare Claudio Fava, da sempre impegnato sul fronte della legalità. Ma le risposte che ha ricevuto non sono state per nulla esaustive. «Noi siamo di fronte non al dubbio ma alla certezza che vi sia stato e vi sia un protocollo operativo che all’epoca era stato istituito fra il Sisde e il Dap. Di questo ha reso testimonianza di fronte all’autorità giudiziaria il numero due del Dap, il dottor Ardita, spiegando che di questo protocollo lui sapeva l’esistenza ma non i contenuti. È un protocollo che in sostanza prevede la collaborazione fra la struttura penitenziaria che si occupa dei detenuti al 41 bis e i servizi di sicurezza. Naturalmente abbiamo la necessità come commissione parlamentare Antimafia di sapere cosa contenga questo protocollo, sia le possibilità di accesso alle strutture carcerarie dei nostri servizi di sicurezza. Anche perché supponiamo che il protocollo all’epoca sviluppato dal Sisde sia stato ereditato anche dall’Aisi. Mi è sembrato abbastanza insolito che il ministro di Giustizia non ne fosse a conoscenza. Quanto meno ai tempi in cui il protocollo è stato sviluppato, il Viminale deve essere stato informato e l’informazione deve essere messa a disposizione di chi viene dopo. La ministra ci ha detto che ci riferirà e noi aspettiamo. Ma la domanda resta. Quale funzione hanno avuto i Servizi in questi anni? Indurre alla collaborazione i detenuti al 41 bis? Intercettare comunicazioni che potevano arrivare all’esterno?». Domande inquietanti, ma che diventano ancor più urgenti alla luce anche del ruolo «non di totale limpidezza», sottolinea Fava, che nella storia d’Italia hanno avuto i Servizi, come «di quello che è accaduto 20 anni fa, dei silenzi che hanno accompagnato la stagione delle stragi e presumibilmente il ruolo anche di una parte degli apparati», ma soprattutto della possibilità «di una nuova recrudescenza con il rischio di una nuova stagione stragista». A lanciare l’allarme, rivela Fava sono stati i magistrati di Palermo che hanno ventilato l’ipotesi che «la mano e l’intenzione non sia riferibile soltanto a Cosa nostra». Le minacce che ha ricevuto il procuratore Nino Di Matteo – continua Fava – ma soprattutto quelle «lettere che di certo non sono scritte di suo pugno da Totò Riina o da personaggi di Cosa nostra, ma che per il linguaggio e i riferimenti fanno pensare ad altre entità» sono la ragione per cui in Commissione e non solo sono molti a pensare che esistano «altri interessi dietro questa possibile nuova stagione». Interessi non ancora definiti, ma che potrebbero non escludere – secondo Fava – un coinvolgimento della `ndrangheta. «La Procura della Repubblica e il procuratore capo Cafiero de Raho questa preoccupazione l’hanno esposta. Vi è un punto di interesse condiviso sicuramente per quanto riguarda interessi passati e vecchi progetti stragisti. Questa collaborazione c’è stata in passato e c’è ragione di temere che si ripeta in futuro. Questo è anche un contesto abbastanza inquinato, abbastanza vischioso in cui è facile che si possa realizzare un progetto che chiama in causa soggetti diversi da quelli delle stesse organizzazioni criminali». E il pericolo, avverte il parlamentare, non è solo legato alla `ndrangheta. «Si è parlato molto anche di massoneria, come camera di compensazione all’interno della quale si possono incontrare interessi non solo riconducibili alle `ndrine, ma anche a borghesia d’affari e professioni. Al riparo da sguardi indiscreti possono costruire alleanze e progetti solidi». Progetti che non riguardano solo ed esclusivamente vertenze locali. «Questo è il fronte su cui dobbiamo lavorare noi come commissione Antimafia, così come la Procura della Repubblica sta facendo a Reggio Calabria». Una città – denuncia Fava, all’indomani dell’audizione degli inquirenti reggini e dopo aver ascoltato anche i commissari che dal 15 ottobre scorso reggono il Comune in seguito allo scioglimento per contiguità mafiose – in cui «la democrazia è sospesa, con una fortissima permeabilità agli interessi mafiosi, che non hanno come protagonisti solo gli esponenti della `ndrangheta ma anche pezzi della borghesia collusa che ha trovato conveniente in questi anni costruire una relazione privilegiata con la `ndrangheta. Il lavoro di bonifica è un lavoro complicato, un lavoro lungo, che forse comporterebbe regole diverse, ma quello è compito del Parlamento, ma anche intenzioni diverse da quelle che ci sembra abbiano espresso i tre commissari». Il noto esponente della Commissione non è convinto dai provvedimenti assunti nei confronti del personale amministrativo del Comune di Reggio Calabria, finiti anch’essi al centro delle attenzioni della Commissione d’accesso. «Manca una mappatura dei dipendenti, per quanto riguarda assunzione e periodo di assunzione, come di quelli che sono risultati dalla relazione prefettizia imparentati con le cosche mafiose. Non si sa chi li abbia messi qui, come ci siano arrivati, se attraverso un concorso pubblico o per altra via, e non c’è traccia – se non in un caso – di provvedimenti di sospensione o disciplinari. Ci si è limitati a una turnazione di dirigenti e dipendenti e questo ci sembra un atteggiamento troppo benevolo. I rapporti fra amministrazione e `ndrangheta non passano solo dai rapporti con la giunta e i consiglieri del sindaco, ma anche dalla capacità di rendere subalterni alle proprie intenzioni gli uffici comunali». Decisamente perplesso si è anche detto Fava riguardo all’affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti dopo lo scioglimento per mafia di una delle partecipate del Comune. «La relazione conteneva una preoccupazione proprio relativa al fatto che in molti casi si fosse proceduto ad affidamento diretto e in molti casi le ditte erano risultate legate direttamente o indirettamente a cosche mafiose. L’affidamento diretto è sempre una procedura a grande rischio in contesti altamente permeabili ad altri interessi come quello di Reggio Calabria». Ma – non dimentica di sottolineare Fava – «c’è anche una Calabria sana di grande dignità e di grande disponibilità. Abbiamo bisogno di darle sostegno e voce». (0050)

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