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La Corte d`appello conferma: «Sono tutti incandidabili»

Anche per i giudici di secondo grado sono tutti incandidabili i politici coinvolti nello scioglimento del Comune di Reggio Calabria. Analogamente a quanto disposto nei giorni scorsi a carico di Pas…

Pubblicato il: 17/12/2013 – 18:29
La Corte d`appello conferma: «Sono tutti incandidabili»

Anche per i giudici di secondo grado sono tutti incandidabili i politici coinvolti nello scioglimento del Comune di Reggio Calabria. Analogamente a quanto disposto nei giorni scorsi a carico di Pasquale Morisani, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha rigettato i ricorsi contro la sentenza che in primo grado ha sancito che Luigi Tuccio, Walter Curatola, Giuseppe Eraclini, Giuseppe Martorano,  Giuseppe Plutino e Sebastiano Vecchio dovranno saltare il prossimo turno delle «elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del Comune di Reggio Calabria» perché con le loro condotte sono stati «causa efficiente, diretta e/o indiretta, dello scioglimento dell’organo comunale». All’appello manca solo l’esito del ricorso presentato dai legali di dell’ex sindaco “sciolto” per mafia, poi diventato assessore regionale alle Attività produttive,  Demi Arena, la cui pratica è stata discussa per ultima e in data diversa rispetto a quella degli altri alti papaveri del centrodestra, già ufficialmente bocciati dai giudici. Nonostante tutti i ricorsi siano stati trattati come procedimenti indipendenti ed autonomi l’uno dall’altro, la Corte ha per tutti rigettato le eccezioni preliminari presentate, sottolineando l’assoluta regolarità del procedimento.

PLUTINO REFERENTE DEL CLAN CARIDI Entrando nel merito delle singole posizioni, per Giuseppe Plutino – il cui arresto è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso delle ambiguità che hanno portato alla commissione d’accesso prima e allo scioglimento poi – a pesare sono stati i rapporti con le cosche di San Giorgio Extra, principali artefici delle sue fortune politiche, trasformandolo da semisconosciuto consigliere di periferia, transitato dall’Udc al Pdl, a campione delle preferenze, proiettato nell’Olimpo dei primi cinque eletti in città. Considerato referente politico amministrativo delle cosche Caridi- Borgetto – Zindato, Plutino  – arrestato nel dicembre 2011 e oggi a giudizio – avrebbe saputo essere riconoscente, elargendo favori e attenzioni, procurando posti di lavoro e prebende, o semplicemente risolvendo problemi sollevati da esponenti della clan.

LE PARENTELE PESANTI DI MARTURANO Sono invece le parentele a costare la carriera politica all’ex assessore Martorano, fratello di quel Santo Alfonso, considerato contiguo ad ambienti malavitosi reggini, in particolar modo vicino alle cosche Condello, De Stefano, Libri ed Alvaro. E proprio tramite lui – ha dimostrato l’indagine Meta  e  valorizzato la sentenza del giudice Rodolfo Palermo, confermata oggi dalla Corte d’Appello– si sarebbe sviluppato quel forte legame con i fratelli Barbieri che avrebbe avuto importanti ricadute ricadute sulla posizione politica rivestita dall’ex assessore Martorano Giuseppe, appoggiato dai clan alle amministrative del maggio 2007.

E QUELLE DI TUCCIO  Sono invece i parenti acquisiti a far inciampare l’ex assessore Luigi Tuccio, costretto a precipitose dimissioni, in seguito all’arresto di Giuseppa Santa Cotroneo, madre della compagna Giampiera Nocera, accusata di essere una delle fiancheggiatrici del boss all’epoca latitante Micu u Pacciu, al secolo Domenico Condello. E questo non è l’unico legame ingombrante che la famiglia Nocera potesse vantare con la cosca Condello: Bruna, sorella di Giampiera dunque cognata di Tuccio, è la moglie di Pasquale Condello (cugino omonimo del “Supremo”) detenuto da molti anni nel carcere di Voghera dove è rinchiuso anche suo cognato, il boss Nino Imerti conosciuto con il soprannome di “Nano Feroce”. Circostanze di cui l’ex assessore ha negato di essere a conoscenza quando – fra mille indignate dichiarazioni contro «l’ingiusta macchina del fango» che lo avrebbe colpito – ha rassegnato le dimissioni. Peccato che, solo pochi mesi dopo, il decreto con cui il ministero dell’Interno ha disposto il 41 bis per il boss Nino Imerti, detenuto a Voghera assieme al cognato di Tuccio, ha raccontato una storia diversa. A richiedere l`inasprimento della misura è il sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo che ha dimostrato come il boss stesse tentando di coinvolgere soggetti esterni al circuito giudiziario per ottenere benefici detentivi. A sostegno della sua tesi, una serie di intercettazioni registrate in carcere, come quelle captate il 16 settembre 2010, quando a colloquio con il Nano Feroce ci sono Pasquale Condello junior, la moglie Bruna e la moglie dello stesso Imerti. Discutono della recente gravidanza di Giampiera, sorella di Bruna Francesca. È l’occasione che serve a Nino Imerti per chiedere alla cognata di «porgere i propri saluti a Luigi Tuccio», aggiungendo – scrive sempre il pm Lombardo – di fargli presente che conosceva suo padre «…che è stata una brava persona sempre… nei processi… no ma anche quando faceva i processi… se poteva aiutare…». E riferendosi al sostegno elettorale che la cosca avrebbe garantito al Pdl, Nino Imerti ha ricordato: «Sa pure.. però sa pure che gli date tutti… sa pure che i voti glieli date a… o non lo sa?». «Sa tut…», rispondeva la cognata, ascoltata dalle cimici dei Ros. Circostanze che hanno portato il politico a sofferte dimissioni, che nessuno dei suoi – il governatore Giuseppe Scopelliti in primis – si è troppo affaticato a respingere, nonostante le dichiarazioni di solidarietà di prammatica. Una ferita per Luigi Tuccio, che negli ultimi mesi non ha perso occasione per ricordare ai colleghi del centrodestra il doppiopesismo utilizzato nella salvaguardia delle carriere dei politici travolti dallo scioglimento. «Il governatore Scopelliti e chi per lui – spiegava  l`ex assessore con una nota diffusa non più tardi di ieri  –, ha ribadito più volte la teoria dell’opportunità per giustificare la mancata difesa della mia persona, preferendo il “ponziopilatesco” silenzio nel mio caso, salvo diventare leone nel difendere Arena che proprio leone, nei rapporti con lui, non è mai stato».

LE AMICIZIE INTERESSATE DEL CONSIGLIERE ERACLINI Non sono le parentele, ma le frequentazioni ad aver fatto inciampare l’ex consigliere Giuseppe Eraclini, considerato molto, troppo vicino a Francesco Cuzzocrea, soggetto inibito in perpetuo dall`avere rapporti con la pubblica amministrazione in seguito a una condanna per mafia, ma omaggiato con appalti e lavori proprio dal politico oggi interdetto. A fare da tramite fra i due – ha valorizzato la sentenza di primo grado prima e confermato quella d’appello – tale geometra Malfitano Gaetano, tramite il quale Eraclini sollecitava gli interventi dell`Aterp a favore dei soggetti occupanti gli alloggi, in tal modo – verosimilmente – ottenendo chiari vantaggi in termini di raccolta di “voti/consensi” nell`ambito della circoscrizione.

L`OMAGGIO A MICO LIBRI DI SEBY VECCHIO Sono sempre le frequentazioni, utili – stando a quanto emerso in alcuni dibattimenti e affermato da diversi pentiti – a fini elettorali, ad aver messo nei guai l’ex presidente del Consiglio Comunale e poliziotto in aspettativa, Seby Vecchio, pizzicato dai suoi colleghi al funerale del boss Mico Serraino, nonostante un’apposita ordinanza del questore pro-tempore dell’epoca ne vietasse il trasporto della salma in forma pubblica e solenne. Una circostanza già stigmatizzata dai giudici di primo grado, ma che la Corte d’appello ha sottolineato con particolare durezza. «Il reclamante – si legge nel testo – cerca di minimizzare il suo comportamento cercando di ricondurlo alla sfera del privato, come tale irrilevante e ininfluente le vicende politiche. Dimentica però, il Vecchio che proprio la sua conoscibilità pubblica sia derivante dalla carica ricoperta all’epoca (assessore comunale e presidente del Consiglio Comunale) unita alla sua figura professionale di poliziotto attribuisce suo comportamento un rilievo particolare».  Di fatto – spiegano i giudici – «la sua partecipazione è stata vista come quella
di un poliziotto, al momento consigliere comunale ed addirittura Presidente del Consiglio Comunale, che rende pubblico cordoglio al locale boss: perché di questo trattasi in quanto la presenza al funerale significa socialmente soltanto questo, cordoglio, cioè vicinanza alla famiglia dello scomparso». In subordine, non c’è margine per addurre presunte motivazioni professionali, scrivono i giudici, che sottolineano: «Vecchio non era in servizio attivo a causa della sua attività politica consiliare, non era stato (né avrebbe potuto essere) incaricato di un qualsiasi compito operativo (tant’è che per le verifiche di cui parla in reclamo il Vecchio erano stati incaricati due suoi colleghi)». In sintesi, concludono i giudici, «la sua presenza al funerale è dunque il frutto di una deliberata scelta  che agli occhi dell’opinione pubblica suona come la presenza di un politico di rilievo (presidente del Consiglio Comunale) che sfidando i divieti del Questore (tra l’altro, suo superiore in quanto poliziotto) attesta la sua vicinanza alla famiglia del boss scomparso». Motivazioni pesantissime, contro Vecchio tenterà il ricorso in Cassazione. Un percorso che il suo legale – Giovanni De Stefano – già da oggi ha iniziato a studiare, ma che  terminerà per intraprendere solo ed esclusivamente  se ci saranno i presupposti, anche perché l’ex presidente del Consiglio comunale avrebbe comunque deciso di chiudere la sua carriera politica.

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