Plutino, lo "Scopelliti boy" che racconta il "modello Reggio"
REGGIO CALABRIA Per sua stessa ammissione – come dice quasi orgoglioso al pm Stefano Musolino che lo esamina – Giuseppe Plutino è «uno Scopelliti boy», uno dei fedelissimi, eppure è quasi con stupore…

REGGIO CALABRIA Per sua stessa ammissione – come dice quasi orgoglioso al pm Stefano Musolino che lo esamina – Giuseppe Plutino è «uno Scopelliti boy», uno dei fedelissimi, eppure è quasi con stupore che sembra rispondere alle domande che la pubblica accusa gli rivolge sugli anni ruggenti del “modello Reggio”. Non solo quelli in cui – stando a una conversazione intercettata, ma liquidata da Plutino come «chiacchiere da circolo» – Scopelliti gli avrebbe promesso un assessorato o «un posto buono», ma anche – se non soprattutto – quelli più tempestosi, seguiti all’insediamento di Raffa dopo l’elezione di Scopelliti alla guida della Regione. Un avvicendamento che aprirà una crisi verticale nel Pdl reggino, che la cronaca vuole dettata dai primi marosi relativi a quello che in seguito deflagrerà come “scandalo Fallara”, ma che per l’allora assessore Plutino era stata in realtà dettata solo «dai contrasti sulla gestione del decreto Reggio e dalla volontà di Raffa di trovare l’accordo per una sua futura candidatura a sindaco».
Certo – ammette – c’era «preoccupazione su come erano ridotte le casse comunali, c’era una situazione di sofferenza, ogni giorno ogni azienda che all’epoca lavorava per il Comune manifestava sotto palazzo San Giorgio, ma non c’era nulla che si potesse fare. Non potevamo certo aumentare le tasse nell’imminenza della campagna elettorale».
Un’ipotesi che all’epoca – afferma con piglio deciso l’allora assessore – «non venne neanche presa in considerazione. Si cercava di andare avanti con le risorse che c’erano». Come buona parte dei suoi allora colleghi di giunta, che dentro e fuori dalle aule di tribunale si sono detti variamente «sorpresi» dall’esplosione dello scandalo, anche Plutino afferma di essere stato preso in contropiede dalla vicenda. «Dei mandati di pagamento della Fallara, l’ho appreso dal giornale. Ricordo perfettamente che ero in via marina e ho chiamato subito la mia dirigente per sapere se anche noi avessimo lavorato con Labate. Mi ha detto di no e non mi sono più interessato».
Peccato però che anche quei mandati – hanno svelato le inchieste – abbiano scavato nelle casse del Comune un cratere che dopo oltre un anno di gestione commissariale non è stato ancora possibile perimetrare. Una preoccupazione che – curiosamente – emerge nella deposizione di un altro imputato, Filippo Condemi, che nel rispondere a una domanda del suo legale sulle raccolte fondi promosse al “Circolo caccia sviluppo e territorio» – e che nell’ipotesi investigativa potrebbero nascondere un giro di estorsioni – ironizza: «Abbiamo fatto più volte raccolte fondi ma non solo al “Circolo caccia sviluppo e territorio”, in caso di morti o incidenti. È forse un reato? E voi – dice rivolgendosi al Tribunale e al pm – invece avete mai fatto indagini per scoprire dove siano finiti i soldi del buco del Comune?» (0040)