Questione atavica
«Sgombriamo il campo» è la campagna che da tempo la Cgil ha alimentato per combattere la ghettizzazione, il degrado e lo sfruttamento. Ogni anno, però, siamo punto e a capo. Sgombriamo il campo, anch…

«Sgombriamo il campo» è la campagna che da tempo la Cgil ha alimentato per combattere la ghettizzazione, il degrado e lo sfruttamento. Ogni anno, però, siamo punto e a capo. Sgombriamo il campo, anche dalle facilonerie e dalle parole al vento che giornalmente vengono pronunciate dalla classe politica e dirigente, dagli istituti di ricerca che, nei fatti, lavorano per loro, limitandosi, il più delle volte a fotografare la realtà senza suggerire concretamente proposte perché la Calabria salga qualche gradino nella graduatoria del Pil pro capite. È possibile che da tempo immemore, Campania a parte, il Prodotto interno lordo dei calabresi sia tra i più bassi d’Italia? Poco più di sedicimila euro. Ha rilevato Pietro Bellantoni che l’ultimo report dell’Istat, che prende in esame gli anni dal 2010 al 2012, consegna un quadro impietoso sui conti economici della regione distanti anni luce dalla “prima della classe” – la provincia autonoma di Bolzano – nella quale il Pil raggiunge i 37mila euro contro i 31mila della Calabria, quanto a redditi da lavoro dipendente. Due nazioni diverse, scriveva tempo fa Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, il Nord e il Sud. Alla ricerca del Sud perduto hanno scritto i due editorialisti del giornale di via Solferino (ancora per poco), Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. La Calabria va indietro del 3,2 per cento – ha rilevato l’Istat – che incide sui consumi delle famiglie, che non ricevono una spinta verso l’alto neanche dall’agricoltura, dall’industria, men che meno dalle costruzioni, settori, questi ultimi, che subiscono contrazioni di non poco conto. Anche per questo, a rimescolare nei bidoni della spazzatura, o a rubare il rame dell’Enel, non ci sono più rumeni o polacchi, ma anche calabresi alla ricerca dell’euro di sopravvivenza. Oltre al rame, che al mercato nero è super pagato, adesso si accontentano dell’alluminio, da rivendere, o di qualche vestito o maglione da indossare, che il “povero” calabrese butta comunque. È vero che sono nati anche in Calabria vari negozi di usato, outlet o vintage, come fa “fino” chiamarli, ma siccome vergogna e rossore, ancora per poco, ci contraddistinguono, abbiamo trovato l’escamotage di andare verso altre province, dove nessuno ti conosce per comprare cappotti, giacche e camicie “di seconda mano”, mentre i negozi alla moda quando non chiudono soffrono la penitenza dell’assenza di acquirenti o ricevono le illusioni di chi si diletta a fare “window shopping”, cioè guarda e non acquista. Si fa un’idea della “moda del dì”, giusto per sapere. Proprio come quel poveretto, dice la barzelletta, che si mangiava il panino dietro le finestre della cucina di un ristorante, per intingerlo dell’odore dell’arrosto, ma che è stato redarguito dal proprietario che voleva essere pagato. E siccome il povero cristo non rubava nulla ha pagato il ristoratore facendogli sentire il rumore di un “dieci lire”, sbattuto per terra. All’odore dell’arrosto, il tintinnio del soldo! E dire che fa un freddo polare, in tutta Italia. Non è vero. Se al Nord è suggestivo il panorama di cime innevate (da noi, pure, ma non si può usare lo skylift perché non funziona), da noi è gelo. E che ci sia differenza fra freddo e gelo, lo recita perfino il Te deum natalizio! Al freddo si risponde con la coperta e i calzettoni, al gelo coi termosifoni! E come si pagano? Con quali euro? Stipendi, salari e pensioni vengono inghiottiti dalla marea di nuove tasse, frutto anche di larghe o strette intese. E i disoccupati, i cassintegrati, gli esodati come fanno? La colpa dell’immenso debito pubblico, frutto di decenni di pazza gioia, adesso si riverbera su tutti noi, colpevoli, per la statistica, di aver prodotto i danni economici di cui ogni giorno ascoltiamo e leggiamo, dati e consistenza. E allora tiriamo fuori, per riscaldarci momentaneamente, la cara vecchia borsa calda, se non si è ossidata. Il termosifone rimane spento. Ecco perché, scriveva Ernesto Mezzetti sul Corriere del Mezzogiorno, «se tutto il Paese ha freddo, al Sud la temperatura è gelida. Finanche in Calabria che, almeno in questo, sembrava non essere interessata, alluvioni a parte». Mezzetti non può che rilevare come al Nord – Lega docet – dei problemi del Sud se ne fregano (“C… loro”). E al Sud, nonostante tutto, si sceglie o si fa finta di non capire, anche perché non registriamo comportamenti conseguenti. Almeno a livello di responsabilità politica o di gestione del territorio. Ed ecco che non si può non parlare di indifferenza del Nord che si somma alla colpevole, atavica, inefficienza meridionale. «Al di fuori di casa mia, dove cade, cade» sembrano dire i nostri corregionali, facendo finta di non sapere che «oggi tocca a me, domani a te». Chi l’avrebbe mai detto che a Catanzaro, e non solo, si fosse tornati in periodo di guerra? Si è stati costretti a fare incetta di beni di prima necessità, a trasferirsi, per paura, da parenti o amici o, per chi poteva, in albergo per salvaguardare la pelle! Ecco che è riemersa, ma era solo sopita, tutta intera la “questione meridionale”: a distanza di tanti decenni, le industrie non ci sono, o peggio sono venuti i “prenditori” della 488, e sono scappati col bottino; il turismo, nonostante ogni sforzo politico-burocratico langue, come ha messo in evidenza il presidente della Camera di commercio reggina, Lucio Dattola. E l’agricoltura? Meglio non parlarne. Si vive, insomma, una sorta di dimensione parassitaria che, unita all’impotenza politico-burocratica, non può farci sorridere. Eppure, il sorriso è vita! Ma non per tutti! E il 2014 ci sorriderà? È un augurio! (0050)
*giornalista