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Rifiuti Enel, parla la consulente della difesa

REGGIO CALABRIA È a una delle consulenti scelte dal subcommissario Edo Ronchi per la gestione del problema Ilva, Sonia Dardilli, che si è affidata la difesa di Paolo Annichiarico – uno dei principali…

Pubblicato il: 27/01/2014 – 18:18
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Rifiuti Enel, parla la consulente della difesa

REGGIO CALABRIA È a una delle consulenti scelte dal subcommissario Edo Ronchi per la gestione del problema Ilva, Sonia Dardilli, che si è affidata la difesa di Paolo Annichiarico – uno dei principali imputati al processo per lo smaltimento illecito dei rifiuti che vede alla sbarra anche alti funzionari della società elettrica Enel – per tentare di smontare la ricostruzione della Procura che – insieme ad altri – lo accusa di aver illecitamente conferito presso la ditta Caserta di Lazzaro rifiuti che lì non avrebbero dovuto essere sversati.
Stando alla ricostruzione del pm Sara Ombra, per evitare gli onerosi costi legati allo smaltimento di rifiuti speciali e pericolosi, diverse imprese avrebbero smaltito le scorie di lavorazione dei propri impianti – inclusa la centrale Enel “Federico II” , la più grande centrale termoelettrica  a carbone d’Italia – in una cava di argilla adiacente all’industria di laterizi, Caserta snc, che avrebbe coscientemente provveduto a occultarli. Rifiuti come quelli gestiti dalla ditta E.t.s , di cui Annichiarico era il legale rappresentante, per conto della Omniplast, industria manifatturiera di materiale plastico.
Grazie a false caratterizzazioni e l’attribuzione di un inadeguato codice Cer – la carta d’indentità del rifiuto voluta dall’Ue – gli scarti di queste lavorazioni venivano portati alla ditta Caserta, almeno ufficialmente perché venissero avviati a recupero. In realtà – afferma la Procura, sulla base dell’indagine condotta dalla guardia forestale – nessuna attività di recupero veniva avviata, ma ci si limitava a interrare e occultare tonnellate di rifiuti anche pericolosi.
Una ricostruzione contestata dalla consulente della difesa, che contrariamente alla Procura ha sostenuto che gli scarti prodotti dalla Omniplast e trattati dalla Ets erano stati correttamente caratterizzati con il codice 190814 perché «provenienti da impianto di trattamento rifiuti». Un dettaglio tecnico fondamentale perché proprio sull’identificazione del tipo di “fanghi” si basa la liceità o meno delle procedure di smaltimento.
La Omniplast, oggi fallita – ha spiegato in aula la consulente – era un’industria manifatturiera di materiale plastico ricavato da rifiuti, dunque il materiale di scarto prodotto dalla lavorazione sarebbe stato da classificare come proveniente da “impianto di trattamento rifiuti” e non da “industria manifatturiera che produce materiale plastico”. Due categorie distinte e separate secondo la classificazione Cern, che implicano anche un diverso tipo di smaltimento. Osservazioni che tuttavia non spiegano – ha fatto emergere il pm Ombra nel corso di un serrato controesame – né la curiosa circostanza che ha visto la Omniplast cambiare il codice di caratterizzazione dei rifiuti prodotti proprio quando ha iniziato a servirsi degli intermediari delle ditte Ets e Ikos per lo smaltimento, né come mai l’oggetto sociale della società non preveda esclusivamente la produzione di materiale plastico da rifiuti.
Medesima linea di difesa è stata adottata dal professore Carlo Merli, consulente delle difese dei tecnici Enel oggi alla sbarra nel processo. Dopo aver più volte sottolineato, di fronte al presidente del Tribunale Olga Tarzia, la complessità tecnica delle proprie spiegazioni, il professore Merli ha contestato la ricostruzione della Procura che accusa l’Enel di aver illecitamente miscelato rifiuti pericolosi quindi di averli spacciati, con certificati di analisi incompleti, quali rifiuti non pericolosi destinabili al recupero. È in questa veste che insieme ad altri sarebbero finiti nella cava di Lazzaro, non attrezzata, non autorizzata e inadatta alla gestione di rifiuti di questa natura.
Una ricostruzione parziale per Merli, che ha invece rivendicato la correttezza delle analisi condotte «sulla base dei parametri di pericolosità che sono stati ritenuti opportuni, perché l’intero elenco contenuto nel decreto 152 (la legge di riferimento, ndr) sarebbe stato ridondante». Allo stesso modo, il professore ha voluto sottolineare che «è scorretto parlare di miscelazione di rifiuti perché questo implica una procedura industriale molto precisa». I fanghi prodotti dalla centrale – di due tipi diversi – vengono convogliati in una vasca «che in realtà è un piazzale posto sotto il livello stradale. È qui che i camion vengono a caricarli. Certo, io non posso escludere che i camion mischino le due tipologie di fango».
Tutte osservazioni che – a breve – toccherà al Tribunale valutare insieme all’enorme mole di documenti e perizie messe agli atti del processo nel corso della lunga istruttoria al termine della quale spetterà ai giudici decidere sulle condotte di imprenditori e funzionari coinvolti. (0090)

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