Processo "Nuovo potere", tutto da rifare
REGGIO CALABRIA Tutto da rifare per gli imputati del procedimento “Nuovo potere”, rispedito in appello dalla Cassazione dopo un parziale accoglimento delle istanze presentate tanto dal pg Francesco M…

REGGIO CALABRIA Tutto da rifare per gli imputati del procedimento “Nuovo potere”, rispedito in appello dalla Cassazione dopo un parziale accoglimento delle istanze presentate tanto dal pg Francesco Mollace. Conclusosi in primo grado con condanne pesantissime, il procedimento scaturito dall’omonima operazione contro la `ndrangheta di Roghudi e Roccaforte del Greco, locali considerati cerniera fra la città e il mandamento jonico, aveva subito un deciso ribaltamento in secondo grado, dove 13 assoluzioni e numerose rideterminazioni e sconti di pena avevano stravolto quanto stabilito dal giudice di prima istanza.
Una sentenza che non era piaciuta per nulla alla Procura generale, che ha contestato il mancato riconoscimento delle aggravanti legate all’associazione mafiosa, ma si è vista riconoscere le proprie doglianze solo nei confronti di Massimo Idà, Vincenzo Pasquale Ivan Romeo, Annunziato Iaria (condannati in primo grado e assolti in secondo), Antonino Pannuti (un anno), Francesco Pangallo (’75, 9 anni), Domenico Carmelo Iaria (8 anni e 2mesi) limitatamente ad alcuni capi di imputazione. I supremi giudici hanno dato visto buono anche al ricorso per il mancato riconoscimento del ruolo di capo promotore e organizzatore dell’associazione mafiosa, dunque della relativa aggravante nei confronti di Agostino Palamara (4 anni e 8 mesi), Pietro Verno (6 anni e 8 mesi), Giovanni Pangallo (6 anni e 8 mesi), Domenico Proscenio (5 anni), Francesco Pangallo (’75) e Domenico Carmelo Iaria, così come quello presentato dalla pubblica accusa per il mancato riconoscimento dell’aggravante della modalità mafiosa per Francesco Pangallo (’74, un anno) e Andrea Pasquale Mesiano (8 mesi). Si salva ancora una volta dai rilievi mossi dai pm Vincenzo Gullì – condannato in primo grado a 12 anni per tentato omicidio e associazione a delinquere di stampo mafioso e assolto con formula piena, quindi assolto in secondo grado – per il quale i giudici di Cassazione hanno rigettato il ricorso per quattro capi di imputazione, mentre sono stati respinti i rilievi della pubblica accusa relativi al capo d’imputazione che contestava l’appartenenza all’associazione mafiosa per Natale Tripodi, Arnaldo Proscenio e Carmelo Rocco Iaria.
Ma portano a casa un risultato importante anche le difese – Francesco Floccari, Basilio Pitasi, Umberto Abate, Corrado Politi, Carlo Morace, Maurizio Punturieri, Paola Carbone, Giacomo Iaria, Antonino Aloi, Antonio Managò, Nico D’Ascola, Pietro Catanoso, Loris Nisi, Giovanni Antonio Gurnari – che avevano in larga parte contestato la sentenza di secondo grado, sottolineando il mancato riconoscimento delle attenuanti per i loro assistiti. Istanze che i giudici di Trastevere hanno avallato nel caso di Domenico Carmelo Iaria, Giovanni Pangallo, Domenico Proscenio, Pietro Verno e Agostino Palamara, mentre per Domenico Carmelo Iaria e Giovanni Pangallo, la Cassazione ha dato visto buono ai ricorsi relativi aggravante derivante dal ruolo di capo promotore e organizzatore del gruppo criminale di riferimento che era stata loro contestata in appello. Accolti tutti i rilievi mosso dalla difesa solo per Vittorio Verno, condannato in secondo grado a 4 anni e 8 mesi, la cui posizione dovrà comunque essere ridiscussa da un diverso collegio nel Tribunale di secondo grado.
Rimane dunque ancora da definire l’esito ultimo dell`inchiesta diretta dal sostituto della Dda di Reggio Calabria Antonio De Bernardo, che nel 2010 aveva permesso di fare luce sugli assetti delle cosche Zavettieri e Pangallo-Maesano-Favasuli all`indomani della sanguinosa faida che le ha viste contrapporsi agli inizi degli anni 90. A dare il nome all’indagine, una conversazione captata nel corso delle indagini, durante la quale uno degli imputati aveva affermato: «Il nuovo potere non ha famiglia». Espressione che sintetizza in modo esaustivo l`ipotesi investigativa che ha ispirato l’inchiesta, secondo la quale dopo la faida dell`area grecanica, le due cosche un tempo nemiche avrebbero di fatto dato vita a un`unica organizzazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti tra Roccaforte del Greco e la zona di Verbania, alla gestione illecita degli appalti pubblici sul comune di Roccaforte (vinti sempre dalle stesse due imprese), alle estorsioni e al traffico delle armi tra il paesino del Basso Jonio e la Svizzera dove alcuni indagati si erano trasferiti per gestire le attività illecite della cosca. A rafforzare il castello accusatorio, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carlo Mesiano, anche lui imputato nel processo e condannato in appello a un anno e otto mesi, sul condizionamento delle attività del Comune da parte delle due consorterie. Stritolato dall`influenza delle cosche un tempo nemiche, il Comune è stato sciolto per ben due volte, prima nel 96, quindi nel 2003, perché – stando alle ipotesi investigative – le cosche non solo avevano il controllo totale degli appalti pubblici, spartiti fra due ditte riconducibili ai clan, ma erano in grado anche di decidere a tavolino l`elezione di loro uomini di fiducia, incluso il sindaco. (0090)