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Caso Cacciola, sconti di pena in Appello

REGGIO CALABRIA Dalla Corte d’appello di Reggio Calabria arrivano nuovi sconti di pena per i genitori e il fratello di Maria Concetta Cacciola, la testimone di giustizia morta nell’agosto del 2011 do…

Pubblicato il: 06/02/2014 – 19:18
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Caso Cacciola, sconti di pena in Appello

REGGIO CALABRIA Dalla Corte d’appello di Reggio Calabria arrivano nuovi sconti di pena per i genitori e il fratello di Maria Concetta Cacciola, la testimone di giustizia morta nell’agosto del 2011 dopo aver ingerito una dose letale di acido muriatico. Passa da 5 anni e 4 mesi a 4 anni la condanna inflitta a Michele Cacciola, il padre della giovane, mentre è di 4 anni e 6 mesi in luogo dei 6 rimediati in primo grado la pena inflitta al fratello, Giuseppe. La Corte d’appello ha infine respinto il ricorso della Procura contro la pena di due anni inflitta in primo grado alla madre di Cetta, Anna Rosalba Lazzaro, confermandola anche in secondo grado.
Condannati in primo grado solo per i maltrattamenti subiti da Cetta, nonostante la procura avesse chiesto ai giudici di valutare le responsabilità dei tre anche nella morte della donna, i familiari di Maria Concetta Cacciola incassano oggi una nuova riduzione delle condanne rimediate in primo grado. Ma le indagini sulla morte della donna potrebbero non essere concluse. Nell’emettere la sentenza, il Tribunale di Palmi ha disposto anche la trasmissione degli atti in Procura segnalando una possibile e ben più grave nuova ipotesi di reato: omicidio.
Per i giudici di primo grado infatti, la scelta del suicidio non troverebbe conferma negli «atti di indagine, letti unitamente alle acquisizioni dibattimentali ed agli accadimenti immediatamente successivi alla morte della collaboratrice», tanto meno sarebbe suffragata «dallo stato d`animo che la stessa Maria Concetta, nei giorni che ne hanno preceduto la scomparsa, manifestava alle persone con le quali si confidava e che riteneva a lei più vicine».
«Se la causa di morte strictu sensu intesa è innegabilmente quella cristallizzata nel capo di imputazione (più precisamente l`asfissia determinata dall`assunzione di una sostanza altamente tossica acorrosiva) – scrivevano i giudici nelle motivazioni –  gli esiti dell`istruttoria dibattimentale svolta – a giudizio della Corte – impongono di concludere che la donna non si sia inflitta autonomamente tale atroce morte ma che sia stata, al contrario, assassinata»
Figlia, moglie e donna di mafia, Maria Concetta Cacciola ha pagato a prezzo della vita il suo tentativo di fuga da un mondo in cui sarebbe stata sempre la figlia di Michele Cacciola, cognato del boss Bellocco, e la moglie di Salvatore Figliuzzi, in carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso. Era moglie, figlia, sorella dei cosiddetti “uomini di rispetto”, con tutto quello che ciò implica, anche oggi, a Rosarno, provincia di Reggio Calabria. Un fardello che Cetta non riusciva più a sostenere e del quale aveva deciso di liberarsi, iniziando un controverso e accidentato percorso di collaborazione, fatto di slanci e ripensamenti, di violazioni del regime che impone la totale interruzione dei rapporti con i familiari e brusche marce indietro, di fiducia nella scelta fatta e successivi ripensamenti.
L’ultimo, le è stato fatale. Convinta anche dal pianto disperato della figlia che le fanno ascoltare al telefono, Cetta decide di tornare a Rosarno. Non è sicura della scelta, pochi giorni dopo essere tornata a casa ricontatta il Ros per chiedere di essere riammessa al programma, ma non farà mai in tempo a farlo. Quando il  20 agosto viene portata dai familiari all’ospedale di Polistena, i medici non potranno far altro che constatarne la morte. Raccontano di averla trovata riversa in bagno con accanto un flacone di acido muriatico. L’evento viene classificato come suicidio e la Procura apre un fascicolo sostenendo che sarebbero stati i suoi familiari a istigarla.
Ma per i giudici della Corte d’assise di Palmi, la situazione è diversa: quello di Cetta Cacciola è un omicidio mascherato da suicidio. Bisognerà aspettare i canonici tre mesi necessari per il deposito delle motivazioni per verificare se i giudici della Corte d’appello condividono la medesima impostazione dei colleghi della Corte d’assise. Nel frattempo, mentre in Procura – forse – sulla morte di Cetta si indaga ancora, i familiari della collaboratrice morta suicida hanno guadagnato mesi e anni di libertà. (0070)

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