LUCE SU VIBO | I Mancuso “utili” per la carriera
Ma perché i due funzionari della polizia avrebbero ceduto alle pressioni di quello che gli inquirenti definiscono il “consigliori” del clan Mancuso? Una domanda a cui probabilmente solo i diretti pro…

Ma perché i due funzionari della polizia avrebbero ceduto alle pressioni di quello che gli inquirenti definiscono il “consigliori” del clan Mancuso? Una domanda a cui probabilmente solo i diretti protagonisti della vicenda potrebbero dare una risposta. Un`ipotesi, però, l`avanza anche il gip Abigail Mellace: «Appare oltremodo difficile stabilire le motivazioni di questo comportamento, verosimilmente ravvisabili nella tentazione di poter usufruire dei collegamenti politici che i Mancuso possedevano e che sono emersi nel corso delle investigazioni a fini di carriera». È ben noto, infatti, il grado di infiltrazione del potente clan di Limbadi nel tessuto istituzionale non solo calabrese. La stessa commissione parlamentare Antimafia ha avuto modo di sottolineare come il clan «ha una forte proiezione nazionale e internazionale per la debolezza del personale politico locale che ha chiesto i voti ai Mancuso o con gli stessi ha rapporti di collusione che durano da molto tempo».
«Ma ciò, come vale per tutti i motivi che inducono a delinquere – prosegue il gip – appare di nessuna rilevanza. Grava sui due funzionari la vera e propria abdicazione dello Stato in un territorio ad alta densità criminale, riversatasi sui cittadini, esposti al potere di assoggettamento di una delle più potenti cosche del distretto». Per il gip, infatti, «il contributo effettivamente prestato dai due funzionari al sodalizio mafioso oggetto di indagine appare di immediata evidenza. Essi – prosegue – si sono astenuti, durante l`intero arco di loro permanenza a Vibo, ma in termini assoluti a far data dal giugno 2009, dallo svolgere qualsivoglia attività sulla cosca più potente della provincia ove prestavano servizio (paradigmatico appare il fatto della mancata ripetizione di controlli tesi a verificare il rispetto da parte di Pantaleone Mancuso classe 1947 degli obblighi connessi alla sorveglianza speciale dopo il 12 giugno 2008, motivato dal terrore di doverlo nuovamente denunciare e magari arrestare), nonostante le direttive ricevute dalla dirigenza della Dda di Catanzaro; hanno omesso di trasmettere alla autorità giudiziaria competente addirittura segnalazioni dalle quali potessero trarsi elementi utili alla impostazione di indagini (anche di contenuto patrimoniale) nei confronti di esponenti della famiglia di Limbadi; hanno consapevolmente indirizzato l`intera attività investigativa della squadra mobile di Vibo nei confronti delle cosche avverse a quella dei Mancuso (in particolare dei cosiddetti “Piscopisani”), allo scopo di rafforzare quest`ultima attraverso l`eliminazione dei suoi rivali, hanno rivelato al difensore di uno dei capi della cosca importanti dettagli riguardanti attività investigative. Non appare di alcun rilievo il fatto che essi abbiano agito, come risulta dalle parole di Rodonò, per amicizia e per dovere gerarchico (questa confessione, piuttosto, costituisce la più eclatante dimostrazione della consapevolezza, da parte dei due funzionari, del loro agire e dei fini dagli stessi perseguiti), trattandosi di pubblici ufficiali che avrebbero avuto il dovere di sottrarsi a richieste criminose provenienti dai loro superiori o da non meglio precisati amici».