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Turnover, tre venerdì (musicali) da leoni

COSENZA «Autoproduzioni secondo necessità e urgenza, mantenendo la fede e le spille attaccate sul petto delle esperienze che l`hanno preceduto, e immaginando Cosenza come centro di passaggio obbligat…

Pubblicato il: 15/04/2014 – 19:55
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Turnover, tre venerdì (musicali) da leoni

COSENZA «Autoproduzioni secondo necessità e urgenza, mantenendo la fede e le spille attaccate sul petto delle esperienze che l`hanno preceduto, e immaginando Cosenza come centro di passaggio obbligato per tutte le realtà meritevoli di applausi e attenzioni»: si presenta così Turnover, la rassegna musicale che partirà venerdì 18 aprile e fino a venerdì 2 maggio proporrà, nella sua fase iniziale, tre concerti (il primi due all`AltArt di Arcavacata, il terzo sempre a Rende ma in un posto da definire) per riportare il primato della musica al momento live, creativo e performativo per eccellenza, oltre che empatico. «Turnover organizza concerti e propone musica dal vivo a Cosenza – spiegano i promotori –. Lo fa per amore della città e spirito d`appartenenza, null`altro. Cercando di coniugare al meglio la progettualità con un`identità fatta di suoni capaci anche solo di smuovere e mostrare una sensibilità che si credeva nascosta».
Cosenza non è nuova a iniziative partite dal basso ma che, negli anni, si sono consolidate creando una community invidiabile: dalla scena delle rock-band degli anni 70-80, si è passati all`esperienza di una radio comunitaria (Ciroma) coi suoi raduni e alle Invasioni prima maniera, ma soprattutto al Partyzan di Robert Eno prima e Fabio Nirta poi. Quanto di questa esperienza per certi versi pionieristica c`è in Turnover? «Partiamo dal presupposto che, chi più, chi meno, siamo stati e siamo ancora parte attiva di alcune delle esperienze da te citate (Radio Ciroma, Partyzan, Always Never Again) – rispondono le menti di Turnover –. Quindi c`è un cordone ombelicale forte che ci tiene stretti a un certo modo di respirare quel tipo di cultura definita “alternativa”. Quella cosa che riempiendoci la bocca possiamo chiamare “etica del fare”, o peggio ancora, per far vedere che la storia l`abbiamo imparata, “Do It Yourself”… Quindi, togliersi i soldi dalle proprie tasche allo scopo di perderli nel migliore dei modi possibili: organizzando concerti. Senza, per ora, il sostegno di nessuno, se non quello di un paio di sponsor privati per i primi due eventi, e del posto che per ora ci ospita, l`Alt-Art. Non vorremmo menarcela parlando di fare arte come atto politico, ma tant`è, per noi riuscire a tirare su con le forze che abbiamo, economiche ma soprattutto umane, quella che vuole essere una rassegna pensata con una certa progettualità e una sua identita ben definita (sottolineiamo) diventa molto più “politico” di tanto altro. E magari può far avvicinare ancora di più diverse persone a un modo di intendere la musica (e la vita come conseguenza) che è quello che abbiamo noi per 365 giorni all`anno. Che è quello più giusto, se non si era capito».
Le prime tre proposte di Turnover sembrano confermare l`eclettismo che ha mosso anche le rassegne cui si faceva cenno prima.
«Per adesso abbiamo chiuso le prime tre date, con headliner rispettivamente Bud Spencer Blues Explosion, Cannibal Movie e Infinite Livez (rispettivamente il 18 e 25 aprile e il 2 maggio, ndr). A livello di suoni sono tre cose che probabilmente stanno agli antipodi l`una con l`altra, e di questo siamo orgogliosi, ognuno di noi ha un background fortunatamente trasversale che influisce un sacco nelle scelte artistiche, e ci fa dire facciamo una cosa noise-hop dopo aver portato rispettivamente una band blues rock e un`altra super psichedelica. Quello che ci interessa è piuttosto l`attitudine degli artisti, sopra e sotto il palco. E, ovviamente, fare ricerca, proporre cose non scontate, che facciano stare bene, ma accendino anche lo spirito critico di chi sta ascoltando, lo spingano verso nuove strade».  
C`è spazio per una proposta musicale “non omologata” anche di questi tempi, e anche in una città di provincia, benché non proprio “provinciale”, come Cosenza?
«C`è uno spazio che riesce ad essere vitale solo nel momento in cui ci si aggrappa a privati nella definizione di un evento, e parliamo soprattutto di posti, di location, di venue dove organizzare un concerto. Il Comune dal canto suo sembra continuare a essere cieco rispetto a numerosi fuochi accesi dal basso che esistono, si finisce per appaltare spazi e finanziamenti alle solite persone, alle solite incompetenze. Il punto che secondo noi è fondamentale, soprattutto se si vuole riqualificare culturalmente appieno una città come Cosenza, è tornare a misurare le capacità effettive e reali di chi deve essere dedito a questo tipo di lavoro, e parliamo di lavoro in controtendenza a un vizio tutto italiano di considerare la musica, l`arte in generale come un hobby, un passatempo, piuttosto che un bene di consumo. Facendo un esempio di quello che è il nostro campo, noi non possiamo, diventiamo persone inadatte a organizzare concerti o eventi musicali se nel corso dell`anno compriamo solo un disco, andiamo a un solo concerto, non ci informiamo, non ascoltiamo quello che accade nelle altre parti del mondo, e ti parlo di Bamako come di Brooklyn e Berlino. Purtroppo si continua a preferire la via facile del compromesso, della stretta di mano, dello sfruttare quelle quattro proposte musicali in croce che si conoscono. E di questo è colpevole l`amministrazione e tutto lo showbiz, anche giornalistico, musicale, etc. che le ruota attorno».
La Fine, in concerto il 25 aprile, è l`esempio dei frutti raccolti dopo anni di “semina” in campo musicale, fatti di underground e sacrifici. Come reputate la scena musicale cosentina?
«La Fine è una band composta da una costola dei Miss Fraulein e due degli Ogun Ferraille, un`esperienza musicale nuova, che ci piace tantissimo, però parliamo di gente già in giro da un po`, che ha avuto le proprie esperienze anche in campo nazionale. Forse il peccato, a guardare ora, è che dopo band come Camera237, Ogun, Miss Fraulein, Duff, sia mancata proprio una generazione nuova di musicisti capaci di rinnovare, di portare fuori con determinazione e coerenza un certo discorso. Ci sono nuove band molto brave uscite ultimamente (Black Flowers Cafè, Park Wave, White Socks), diversi gruppi formati anche da ragazzi più giovani che spingono dal basso, e questo è un bene, ci porta a sperare che magari in un domani non troppo lontano ci siano i presupposti per tornare a parlare di una “scena” forte come succedeva qualche anno fa».
Che genere pensate sia attualmente più apprezzato, al di fuori delle mode?
«L`impatto sociale, oltre che musicale, che ha avuto l`hip hop in Italia negli ultimi anni è stato devastante, e ha comunque puntato la luce su tante soggettività, anche più underground, molto interessanti, che prima erano esclusiva di un pubblico di appassionati. Quindi se i ragazzi oggi ascoltano quello un motivo ci sarà, non pensiamo sia tutto esclusivamente hype pronto a svanire nel giro di qualche anno. A livello globale, a parte quelle due-tre religioni che ci portiamo dietro (emo/indie/post-punk), ci piacciono molto i nuovi linguaggi del pop, quelli capaci di dialogare con le tradizioni locali, soprattutto africane, orientali, senza snaturarle».
Che tipo di risposta vi attendete per Turnover?
«La migliore possibile. Piuttosto ci aspettiamo che chi venga ai concerti si affezioni, come dicevamo prima, a un certo modo di intendere la musica come la intendiamo noi, che si crei scambio, discussione, che si “respiri” soprattutto. E che ci sostenga, di modo che magari entro fine estate possiamo dare vita a un`idea bella e pronta che abbiamo già in cantiere». (0070)

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