Ammazzato per uno sgarro Ergastolo confermato per Perla
REGGIO CALABRIA Anche per i giudici della Corte d’Assise d’appello Nino Perla è il killer di Eduardo Bruciafreddo e per questo deve pagare con l’ergastolo. Nonostante sia stata esclusa l’aggravante d…

REGGIO CALABRIA Anche per i giudici della Corte d’Assise d’appello Nino Perla è il killer di Eduardo Bruciafreddo e per questo deve pagare con l’ergastolo. Nonostante sia stata esclusa l’aggravante della premeditazione, ma senza modificare in alcun modo la pena comminata, arriva anche in secondo grado una conferma rotonda dell’impianto accusatorio sostenuto in prima istanza dal pm di Reggio Antonella Crisafulli, quindi dal sostituto procuratore generale Giuseppe Adornato: a sparare sull’uscio di casa contro Bruciafreddo è stato il giovanissimo Perla. E lo ha fatto – ha sostenuto la pubblica accusa e confermato la Corte – per motivi più che futili: una gomitata che urta un bicchiere, un cocktail che cade, una lite, gli schiaffi, lo “sgarro” di essere umiliato in pubblico davanti a un noto ritrovo dei giovanissimi, in pieno centro città. Questo l’affronto che Nino Perla, figlio di un uomo “di rispetto” di Reggio Sud – quel Matteo, detto Giorgio, proprio ieri condannato a dieci anni di reclusione nel processo “Alta Tensione” – ha voluto lavare con quell’omicidio, che già il gip nell`ordinanza di custodia cautelare, sottolineava con parole lapidarie: «La sproporzione assoluta tra la causa e l’effetto, ossia tra un litigio originato da motivi di scarso spessore e l’uccisione di un uomo è talmente eclatante da risultare sintomatica di una personalità dominata da una scala di valori che è propria di un ambiente malavitoso e che contrasta insanabilmente con le regole dello Stato e dell’agire civile. Tali considerazioni servono a sottolineare la particolare riprovevolezza morale e sociale della spinta al delitto».
La fondamentale testimonianza del fratello della vittima
A inchiodare il giovane killer, la determinante testimonianza del fratello della vittima, Maurizio Bruciafreddo che, dopo un’iniziale ritrosia, ha steso fiumi di verbali di fronte agli uomini della squadra mobile di Reggio Calabria. Di fronte a inquirenti e investigatori il fratello della vittima ha ricostruito passo passo quella tragica notte del tre agosto 2010. «Si è diretto verso la porta d’ingresso dell’appartamento dopo aver chiuso alle sue spalle la porta della cucina e, dopo due-tre secondi, ho sentito il primo sparo e, d’istinto, mi sono alzato verso il corridoio. Nel frattempo venivano sparati altri due colpi. Aprendo la porta della cucina mi sono trovato di fronte Eduardo che si teneva il collo con una mano e si manteneva ancora in piedi. Ho chiesto a mio fratello chi avesse sparato ma non ho ottenuto risposta poiché Eduardo non ce la faceva a parlare. A quel punto ho provveduto ad appoggiare mio fratello contro l’angolo cottura della cucina e sono corso giù per le scale dello stabile». Una sequenza dettagliata, rimasta vivida e precisa nella memoria di Maurizio Bruciafreddo: «Mentre scendevo di corsa le scale ho sentito il portone chiudersi. Effettivamente, giunto sul pianerottolo, avevo necessità di girare la maniglia e uscire in strada. Istintivamente mi voltavo dapprima verso sinistra senza notare la presenza di alcuno, successivamente verso destra, cioè verso il punto in cui il mio palazzo dà ad angolo con la stradina che scende verso il vicino vallone dove si trova il torrente. Percorsi pochi metri, notavo la presenza di un soggetto di sesso maschile, dell’apparente età di circa 20-25 anni, alto circa 1.70 metri, ben piazzato fisicamente, vestito di nero e con capelli neri a punta, cioè cosparsi di gel. Ho notato che lo stesso camminava con andamento molleggiato, tipico di chi avesse assunto sostanze stupefacenti. Preciso che ho avuto modo di osservare questo giovane da due angolazioni, prima di fianco e poi di spalle e l’ho riconosciuto per Nino Perla, figlio di Giorgio».
Nuovi elementi a riscontro
Una testimonianza confermata dalle risposte di Demetrio Fanti, storico amico del ragazzo freddato sulla porta di casa, troppo paralizzato dalla paura per collaborare alle indagini, ma “costretto” a testimoniare in secondo grado. E se il suo silenzio gli era fino ad oggi valso una denuncia per favoreggiamento, i giudici della Corte d’Appello hanno accolto la richiesta del sostituto pg Adornato, trasmettendo gli atti in Procura per falsa testimonianza. «Fanti – aveva ricordato Adornato in sede di requisitoria – rispondendo alle mie domande, aveva il timore di chiamare l’amico per nome; per tutta la testimonianza lo chiamerà la vittima. Non vuole sapere niente e si appiglia a tutto pur di farlo intendere chiaro alla famiglia Perla ». Una reticenza dettata dalla paura con cui spera di evitare ritorsioni dalla famiglia Perla – aveva spiegato Adornato – ma che non lo salva dall’apertura di un procedimento a carico. (0050)