CASO SCAJOLA | Lady Matacena sceglie il silenzio
REGGIO CALABRIA Sceglie il silenzio Chiara Rizzo, la moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, oggi latitante a Dubai. Convocata questa mattina di fronte al gip di Reggio Calabria…

REGGIO CALABRIA Sceglie il silenzio Chiara Rizzo, la moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, oggi latitante a Dubai. Convocata questa mattina di fronte al gip di Reggio Calabria Olga Tarzia per l’interrogatorio di garanzia, la donna ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere alle domande del giudice come del pm Giuseppe Lombardo e del sostituto della Dna, Francesco Curcio. «Tecnicamente la mia cliente si è avvalsa della facoltà di non rispondere, ma in realtà c’è l’assoluta volontà di rispondere a tutte le domande dei magistrati e abbiamo contestualmente concordato una data», ci ha tenuto a chiarire uno dei legali della donna, l’avvocato Bonaventura Candido. «Il nuovo interrogatorio è fissato per giovedì prossimo alle 15».
Il non voler rispondere – spiega il legale – si deve alla decisione del gip di cassare le eccezioni presentate dai legali, che in mattinata avevano reclamato un colloquio con la propria assistita. I difensori avevano infatti contestato la vigenza dell’ordinanza di divieto di incontro con la Rizzo, emanata dal gip contestualmente all’ordinanza di custodia cautelare, quindi ribadita quando la donna è stata arrestata in Francia. «Il gip – spiega Candido – ha respinto la nostra istanza e la signora, anche senza consultarci, ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere, avendo compreso l’opportunità di preparare la difesa assieme ai legali. Lunedì e martedì saremo qui per un incontro fiume, per analizzare insieme tutti gli aspetti di questa vicenda e poter rispondere compiutamente alle domande dei pubblici ministeri».
Detenuta da martedì notte nel carcere di Arghillà, la Rizzo è accusata – assieme a un variegato network di persone, fra cui l’ex ministro Claudio Scajola – di aver aiutato il marito ed ex deputato di Forza Italia, Amedeo Matacena, a sottrarsi all’esecuzione di una condanna per mafia, nonché ad occultare il suo patrimonio. Un progetto – ipotizzano il pm Giuseppe Lombardo e il sostituto della Dna Francesco Curcio, entrambi domani presenti all’interrogatorio della Rizzo – che non sarebbe stato dettato semplicemente da interessi personali o familiari, ma necessario alla tenuta di un’intera organizzazione composta da uomini di Stato, imprenditori e faccendieri che si sarebbe messa in moto per tutelare la libertà e l’operatività di Matacena, quale – ipotizzano i pm – «stabile interfaccia della ‘ndrangheta, nel processo di espansione dell’organizzazione criminale, a favore di ambiti decisionali di altissimo livello». Un’organizzazione, o meglio una «associazione per delinquere segreta collegata all’associazione di tipo mafioso e armata denominata “’ndrangheta” da rapporto di interazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio di tipo mafioso in campo nazionale ed internazionale», che gli inquirenti hanno iniziato a ricostruire proprio a partire dalle innumerevoli telefonate fra l’ex ministro Scajola e la donna. Fra i due non si contano le conversazioni telefoniche come gli incontri, spesso mediati e organizzati dalle segretarie dell’ex ministro e di Matacena, rispettivamente Roberta Sacco e Maria Grazia Fiordelisi, oggi entrambe indagate e spedite ai domiciliari assieme alla madre di Matacena, Raffaella De Carolis, e ad Antonio Chillemi, collaboratore dell’ex parlamentare forzista reggino.
Ascoltati dagli investigatori, i due non solo discutevano di delicate operazioni finanziarie – oggi tutte oggetto di approfondimento da parte della Dda – ma soprattutto della necessità di individuare «uno Stato estero che evitasse per quanto possibile l’estradizione del Matacena o la rendesse quanto meno molto difficile e laboriosa. Tale Stato – spiega il gip – lo Scajola lo individuava nel Libano, impegnandosi con personaggi esteri di rango istituzionale per ottenere tale appoggio per tramite di importanti amicizie (Vincenzo Speziali junior, oggi anche lui indagato, ndr)». Un’esigenza – si legge ancora nell’ordinanza – generata da un timore preciso: «Che il 20.2.2014 fosse emessa la sentenza nel procedimento pendente a Dubai, cui sarebbe potuta conseguire l’espulsione da quel Paese, con il rischio di essere tratto in arresto e trasferito in Italia per scontare la pena». (0050)
Alessia Candito