REGGIO CALABRIA Tutta la vicenda del trasferimento di Amedeo Matacena dagli Emirati Arabi al Libano “è stata introdotta e gestita da Scajola, al quale avevo detto della domanda di asilo politico in Svizzera”. Parole pesanti come macigni quelle dette dalla moglie di Matacena, Chiara Rizzo, nell’interrogatorio del 29 maggio scorso davanti al sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Curcio ed al pm della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. Ai due magistrati la donna dice di avere sempre cercato di convincere il marito “ad affrontare la carcerazione e di non sottrarsi all’esecuzione della pena” a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, e spiega che la procedura di separazione avviata con Matacena “è effettiva”. Quindi non “apparente”, come sostiene l’accusa ritenendo che facesse parte della strategia messa in atto dalla Rizzo per schermare i beni del marito. E racconta anche che la Porsche Cayenne di cui Scajola voleva sapere l’intestatario, arrivando ad attivare gli uomini della sua scorta per un accertamento sulla targa, le era stata “regalata da Francesco Bellavista Caltagirone, al quale mi lega un rapporto di amicizia”.
Chiara Rizzo dice di non sapere “quali siano le ragioni del legame così forte tra mio marito e il ministro Scajola”, ma specifica che l’ex ministro “era a conoscenza” del precedente soggiorno di Matacena alle Seychelles, dove si era rifugiato subito dopo essersi sottratto all’arresto. Nell’interrogatorio – il cui contenuto era stato secretato e che oggi e’ stato depositato al Tribunale del riesame dove mercoledì prossimo si discuteranno i ricorsi della Rizzo e del marito ed il giorno dopo quello di Scajola – la Rizzo tenta di alleggerire la propria posizione sostenendo di non avere “mai pensato che le domande di asilo politico potessero essere considerate una condotta illegale”. Poi aggiunge che era stato Scajola a parlarle dei suoi rapporti con l’imprenditore catanzarese Vincenzo Speziali e con l’ex presidente libanese Amin Gemayel. La donna parla anche del ‘famoso’ fax, indirizzato al “caro Claudio” e sequestrato a Scajola, nel quale è scritto “mi occupero’ di trovare un modo riservato per farlo uscire dagli Emirati Arabi”, e poi “una volta qui egli potrà beneficiare, in maniera riservata, della stessa posizione che ha a Dubai, affinché possa rimanere nel nostro Paese e condurre una vita normale, naturalmente sotto la nostra responsabilità”.
Agli inquirenti la Rizzo riferisce che la lettera le fu mostrata da Scajola, che le disse che “proveniva” da Gemayel, il quale, tramite stampa, ha negato più volte di averla scritta. “Mi disse in quella stessa occasione – aggiunge – che erano percorribili due strade a favore di mio marito, la prima prevedeva la sua presentazione presso l’ambasciata del Libano a Dubai, la seconda passava dai suoi contatti con le autorità del Libano che si sarebbero recati a Dubai”.
Il meccanismo messo in moto, però, per stessa ammissione della Rizzo, si interrompe “quando è scoppiato il caso Dell’Utri. Ne ho parlato con Scajola – spiega – e ho capito che quell’incidente aveva inciso negativamente”. Ma le speranze non erano perdute. La moglie di Matacena riferisce di una telefonata di Scajola in cui le parlava “di un piano B che prevedeva un impiego di mio marito a Dubai”. Telefonata che la donna colloca tra il 6 o 7 maggio, appena uno-due giorni prima degli arresti. Dal giorno dell’interrogatorio Chiara Rizzo attende l’esito dell’istanza di scarcerazione presentata dai suoi legali al gip. Oggi, intanto, approfittando di una visita nel carcere reggino di Arghillà del senatore Lucio Barani (Gal), Chiara Rizzo lancia un appello: “Da quando sono detenuta non ho più notizie di mio figlio quindicenne, ho bisogno di aiuto”. (0020)
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