COSENZA Per quanto possa apparire incredibile, per comprendere i codici della ’ndrangheta bisogna aver fatto i conti con de Saussure. A spiegarlo sono due fonti di assoluta attendibilità come Marta Maddalon e John Trumper, autori assieme ad Antonio Nicaso – per l’occasione assente – e Nicola Gratteri del libro Male lingue, edito da Pellgrini e presentato presso la libreria Mondadori di Cosenza. Il libro affronta l’uso del linguaggio dentro la ’ndrangheta, il senso dei codici, il potere delle parole oltre che la loro origine e poiché come suggerisce la professoressa Maddalon citando Saussure «tutto si tiene», svela anche come il linguaggio svolga pure un ruolo di collante, avendo il potere unificante di tenere assieme persone, storie, narrazioni condivise e per certi aspetti segrete. Tuttavia il rischio è che alcuni universi come quello criminale eserciti una fascinazione perversa, anche pervia di una qualche misteriosità dei riti e per questo a sfatare ogni suggestione possibile giungono le parole dell’antropologo Mauro Minervino che spiegano come «i linguaggi della ndrangheta sia del tutto privi di ogni valore culturale, servendo solo ad affiliare, a tenere assieme le persone». Un linguaggio che fa più che dire, svolgendo il ruolo di legame e di reciproco riconoscimento. Il lavoro che il libro propone è probabilmente quello maggiormente aggiornato, avendo preso in considerazione i linguaggi della criminalità dalla seconda metà dell’ottocento fino ai giorni nostri, cogliendo un’evoluzione che è passata dalle carceri di due secoli fa fino alle affiliazioni di oggi mutuando significati e riti arcaici eppure efficacemente moderni. A levare qualche legittima curiosità etimologica ci ha pensato il professor Trumper, che ha proposto un’interpretazione della parola ndrangheta legandola al termine greco andragatia, che significava valore militare, capacità di vincere battaglie ed era una parola che non riguardava il singolo, ma piuttosto un gruppo. A portare all’attualità delle cose il dibattito è stato Gratteri, per il quale il linguaggio e i riti studiati con meticolosità raccontano un universo che si cela e che pur usando un codice che sembra anacronistico nel bel mezzo della globalizzazione imperante, riesce a restare locale e universale proprio grazie a quei linguaggi. Ma non solo, perché le parole rappresentano il vincolo, esprimono il patto indissolubile che lega gli affiliati, attraverso i riti che sono fatti di linguaggi per iniziati. È pure per questo, per il patto di sangue che si stipula entrando nella ’ndrangheta che secondo Gratteri il numero dei collaboratori di giustizia tra gli ’ndranghetisti è ancora così basso rispetto alle altre organizzazioni criminali, soprattutto tra i membri delle famiglie che stanno ai vertici dell’organizzazione. Sono gli effetti del valore delle parole, che spesso viene trascurato. (0030)
Michele Giacomantonio
m.giacomantonio@corrierecal.it
x
x