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Quindici mesi per due tonsille

“Se quindici mesi vi sembran pochi”. Era, questo, il titolo di un articolo che volevo scrivere a proposito di una mia esperienza con il reparto di Otorinolaringoiatria dell’ospedale dell’Annunziata d…

Pubblicato il: 13/06/2014 – 11:33
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Quindici mesi per due tonsille

“Se quindici mesi vi sembran pochi”. Era, questo, il titolo di un articolo che volevo scrivere a proposito di una mia esperienza con il reparto di Otorinolaringoiatria dell’ospedale dell’Annunziata di Cosenza diretto dal dottor Ferdinando Guzzo. Voleva essere una specie di favola, di parabola sulla pazienza che un bravo cosentino deve avere quando si rapporta con la massima istituzione sanitaria della città. Un apologo di speranza che si apre con la prenotazione effettuata via fax nel lontano aprile del 2013 e prosegue con la lunga attesa del bambino che non riesce a dormire, le vie respiratorie occluse da due tonsille grandi come patate.
Ci sono anche i dialoghi, che la sola descrizione narrativa annoia il lettore. Ma qui abbiamo le conversazioni fra i genitori spaventati e titubanti che vengono rassicurati dal dottore Guzzo, che prima sostiene con fermezza: «Il bambino non si deve operare» e dopo qualche settimana e qualche altra visita a pagamento sostiene con la stessa fermezza: «Il bambino si deve operare», Così, senza una spiegazione e senza un perché.
Insomma, volevo scrivere un articolo per lamentare un’attesa che mi sembrava assurda: quanto si deve aspettare per togliere due tonsille? Un intervento che richiede dieci minuti al massimo? «Sei, otto mesi», mi avevano detto al telefono dal reparto. E noi, pazienti, abbiamo atteso sei mesi. E la notte, quando mio figlio ingaggiava la consueta, lunga, dolorosa lotta con le vie respiratorie per addormentarsi, gli sussurravo cullandolo: «Resisti, ci siamo quasi, hanno detto sei-otto mesi e ci siamo».
Ma gli otto mesi sono diventati dieci. Poi dodici. Poi quattordici.
Qualche giorno fa, quando la prenotazione ne ha “compiuti” quindici, ho pensato: adesso ci scrivo un articolo, perché una cosa del genere è indegna di un Paese civile. Non perché era mio figlio, intendiamoci, ma proprio perché avevo in mano la “pistola fumante”, la prova certificata del caos che regna nel reparto di Otorino. Da anni queste cose me le raccontavano, ma avevo bisogno di una prova. Adesso avevo in mano il fax con la data. Ero in una botte di ferro.
Il diavolo, però, ci ha messo la coda. Perché proprio quando ero maturo per scrivere mi chiamano dal reparto per dirmi: «Il bambino si opera venerdì 13». Io salto sulla sedia. Sembra uno scherzo. Venerdì 13, il giorno più sfortunato della cabala? Mio figlio si chiama Antonio: gli faccio strappare le tonsille il giorno del suo onomastico? Tento una timida trattativa: «Venerdì 13 sono impegnato e non posso accompagnarlo. Possiamo fare mercoledì 18?». «Assolutamente no – mi rispondono – Il mercoledì non si opera». Mi arrendo: «Allora ci vediamo venerdì 13?». «No, ci vediamo mercoledì 11 per i prelievi ed i controlli. Venerdì 13 mattina alle sette e trenta l’intervento».
Perfetto. Mercoledì mattina ci presentiamo in reparto per le analisi. In quattro. Secondo la migliore tradizione meridionale voleva venire tutta la famiglia, ma dopo lunghe trattative sono riuscito a ridurre la rappresentanza: il piccolo paziente, io, mia moglie e mia sorella. Assistiamo tutti ai prelievi e scherziamo con dottori ed infermieri. Nel reparto regna il caos, ma al momento sono tutto concentrato sulle procedure e non me ne preoccupo. Invece avrei dovuto cogliere i segnali, ma tant’è: saluti, ci vediamo venerdì 13…
E venerdì 13 arriva. Mi presento in reparto con il bambino a digiuno da un giorno secondo le loro istruzioni e mi sento dire: «Non è previsto nessun ricovero». Ci credete? «Non è previsto nessun ricovero». Chiedo di parlare con il dottore Guzzo, ma sembra non sia possibile. Mi permetto di insistere con la caposala ma lei riguarda le sue carte e mi mostra uno scarabocchio a matita su un foglio: «Vede? Qui c’è scritto mercoledì 18». Oddio, mercoledì 18, il giorno che avevo chiesto io e che la sala operatoria doveva essere chiusa. Ribadisco che in tre, bambino a parte, ricordavamo perfettamente di essere stati convocati per venerdì 13 ma la disorganizzazione e la confusione regnano sovrane, ci guardano come alieni e l’imbarazzo è palpabile. Ma di risolvere la cosa non se ne parla proprio.
Arriva Guzzo, mi riceve dieci secondi per dirmi freddamente che le cose stanno così punto e basta. Prendo la sacca che avevamo preparato per passare la notte in ospedale e mi porto il figlio a casa.
Benvenuti all’ospedale dell’Annunziata di Cosenza, reparto di Otorinolaringoiatria.

 

Ps: Ovviamente il figlio in quel reparto non lo faccio operare più. La stessa “distrazione” in sala operatoria potrebbe avere conseguenze più antipatiche di una giornata da dimenticare.

 

Francesco Graziadio

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