CATANZARO Certi conti, considerati in prospettiva, sono spaventosi. Prendete Sorical: riesce a incassare, in media, tre milioni al mese. Se ne vanno quasi tutti nell’acquisto dell’energia necessaria per pompare l’acqua nelle case dei calabresi e nei costi per la manutenzione. A volte non bastano neppure per questo. Per coprire gli stipendi dei dipendenti – che sono 270 per cinquemila chilometri di tubature e non sono troppi neanche secondo i commissari liquidatori che sorvegliano i conti dell’azienda – restano le briciole. È un pezzo del “buco nell’acqua” calabrese, diventato una voragine di sistema. E in futuro potrebbe andare addirittura peggio, se le alchimie politiche continueranno a venire prima dei bisogni dei cittadini. La proposta di legge per il riordino del sistema idrico giace da mesi in consiglio regionale e, con le elezioni in arrivo, i partiti sono in altre faccende affaccendati. Le alleanze e la sopravvivenza politica sono esigenze più pressanti dell’acqua potabile. Di questo passo, però, l’eventualità che i rubinetti restino a secco non è più così lontana. Pompeo Greco, segretario generale della Femca Cisl, la parte di sindacato che si occupa (anche) dei dipendenti della Sorical, ne è certo: «Se non ci si preoccupa di gestire questa fase di transizione, il pericolo è reale». Perché le casse della società sono vuote, i Comuni non riescono a pagare e la Regione è più che mai assente. (0020)
(Il servizio “Voragine Sorical”, di Pablo Petrasso, è sul numero del Corriere della Calabria in edicola fino al 3 luglio)
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