REGGIO CALABRIA I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, in esecuzione di due diversi provvedimenti restrittivi, hanno arrestato con l’accusa di associazione per delinquere di tipo mafioso quattro persone presunte affiliate alla cosca di ‘ndrangheta degli Iamonte, che ha la sua base operativa a Melito Porto Salvo, nel Reggino. Gli arrestati sono Carmelo Iamonte di 49 anni, Gianpaolo Chilà di 36 e i cugini Bartolo e Francesco Verduci di 28 e 26 anni. Le indagini che hanno portato ai quattro arresti, coordinate dalla Dda di Reggio Calabria, hanno consentito, secondo quanto riferiscono i carabinieri, di confermare e documentare che la cosca Iamonte, nonostante i colpi inferti recentemente con le operazioni “Crimine”, “Ada” e “Sipario”, ha persistito in un’infiltrazione pervasiva all’interno della comunità, riuscendo a condizionarne le attività economiche e le scelte politiche. Le investigazioni hanno focalizzato l’attenzione sulle attività della cosca e hanno consentito di accertare che l’organizzazione criminale, con strumenti, condotte e dinamiche tipiche e consolidate della criminalità organizzata, ha condizionato le attività imprenditoriali nel settore edilizio, sia pubblico che privato, attraverso il controllo di imprese locali e, più in generale, di tutte le attività produttive, subordinando al proprio benestare e consenso l’inizio di qualunque attività economica, attraverso il pagamento del pizzo e l’imposizione delle forniture e della manodopera. I Iamonte, inoltre, in alcuni casi, avrebbero indirizzato l’aggiudicazione delle gare d’appalto e dei relativi a imprese riconducibili alla cosca.
IL BOSS CARMELO IAMONTE È il capo indiscusso dell’omonima cosca Carmelo Iamonte, una delle quattro persone arrestate stamani dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria nell’operazione “Replica”. Un boss che temendo l’arresto bonificava periodicamente casa sua per evitare l’installazione di microspie. Iamonte, prima dell’arresto era stato sottoposto a fermo, insieme a Gianpaolo Chilà. Provvedimento preso per il pericolo di fuga dei due che, secondo l’accusa, erano a conoscenza della collaborazione instaurata con gli inquirenti da Giuseppe Ambrogio, anche prima dell’esecuzione dell’operazione “Sipario”. Nel corso dell’indagine è emersa, inoltre, la facilità con cui gli affiliati sostenevano di poter accedere a informazioni riservate. Iamonte, inoltre, era consapevole di poter essere arrestato e per questo motivo provvedeva periodicamente alla bonifica della propria abitazione per evitare che fossero installate microspie. Dalle indagini, in merito al ruolo di Carmelo Iamonte, è emerso che è lui stesso che si attribuisce il ruolo di capo assoluto del sodalizio, nella misura in cui afferma che, se lui fosse stato libero, non sarebbero di certo stati commessi i gravi errori nella gestione del sodalizio che avevano condotto all’operazione “Ada”. Inoltre è partecipe dei destini della sua organizzazione, anche quando le vicende giudiziarie non lo toccano direttamente. Il carisma di Carmelo Iamonte Carmelo è tale che a lui si sarebbe rivolto perfino un avvocato sostenendo di non avere nessun imputato da difendere per il processo “Ada”. Iamonte, secondo l’accusa, avrebbe anche avallato la credibilità del collaboratore Giuseppe Ambrogio nel momento in cui criticava i personaggi più autorevoli che avrebbero condiviso notizie riservate dell’associazione con lo stesso collaboratore, soggetti quali il fratello Remingo, Antonino Tripodi “barrista” e lo zio del collaboratore, Lorenzo Marino.
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