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La veglia sindacale

Continua la veglia sindacale dei coraggiosi medici “combattenti” che certifica da tempo lo stato di premorienza dello storico stabilimento ospedaliero dell’Annunziata, oggi Azienda ospedaliera di C…

Pubblicato il: 01/10/2014 – 14:36

Continua la veglia sindacale dei coraggiosi medici “combattenti” che certifica da tempo lo stato di premorienza dello storico stabilimento ospedaliero dell’Annunziata, oggi Azienda ospedaliera di Cosenza. La società civile rimane inerme nonostante i protagonisti della protesta ne subiscano di cotte e di crude, sino a doversi difendere persino dalle aggressioni fisiche degli energumeni lasciati liberi di agire tra le corsie, così come recentemente accaduto nell’unità operativa complessa (Uoc) di Ostetricia e ginecologia. Insomma, un ospedale con i fiocchi, così come era quello bruzio, divenuto un ospedale dove tutto è consentito tranne che potere garantire – nella tranquillità, nel rispetto delle regole e della buona medicina – le condizioni minimali di assistenza che necessiterebbero alla più grande e popolosa delle province calabresi, che conta oltre 750mila abitanti. Con questo, sta venendo a mancare il contributo al Servizio sanitario regionale e, inoltre, un monumento di buona pratica ospedaliera che ha mantenuto lo standard ancorato ad un elevato livello professionale. Solo per fare qualche esempio, nelle metodiche diagnostiche, specie di quelle invasive, nella cura delle patologie epatiche e renali, nell’alta qualità delle specialistiche che presentano la maggiore istanza dell’utenza (del tipo, Medicina, Pediatria, Ostetricia, Geriatria ecc.).
Ebbene sì, in Calabria sta accadendo il peggio del peggio, che va oltre l’ovunque immaginabile. Gli unici a resistere sono i medici più instancabili del solito che – nell’insieme delle sigle sindacali e associative che li rappresentano – danno prova dell’attaccamento al loro lavoro, ai loro doveri e ai diritti costituzionali di cui devono rendersi costantemente garanti. Una mission loro impedita da un governo regionale della salute irragionevole e irresponsabile, ignaro del fabbisogno epidemiologico nei confronti del quale l’Annunziata si erigeva a baluardo e, pertanto, a soluzione di pregio erogativo del livello di assistenza ospedaliera.
È dunque accaduto che ad una sanità – che poteva contare in Calabria su tanti presidi ospedalieri di qualità, pieni zeppi di professionisti capaci che riuscivano a sopperire ad una rete di assistenza territoriale che non esisteva (e che ancora non esiste) – sta sopravvenendo una desertificazione totale dei servizi per la salute. Ove i Lea diventano una speranza, quasi una chimera, non la certezza da rendere esigibile ai cittadini cui fa riferimento la Costituzione .
Dunque, nessun beneficio dai Patti per la salute (ivi compreso l’ultimo) che sembrano essere utilmente definiti per tutto il resto del Paese (o quasi). In Calabria no. Rappresenta un mondo a parte, tutto sintetizzato, a mo’ d’esempio, nel decadentismo progressivo del presidio ospedaliero cosentino, ove si rendiconta il risultato dei disastri gestionali che lo hanno caratterizzato, tra una prorogatio ultradecennale delle pulizie, senza che nessuno abbia messo lingua, e un’attivazione quantomeno creativa delle unità operative. Non solo. Ove i bravi operatori sanitari sono stati costretti ad ogni genere di vessazione se non in linea con le prepotenze della politica, saldamente rappresentata nei management che si sono succeduti. Ciò nonostante la loro provata eccellenza, nota oltre confine.
Per non parlare dei malati, bistrattati nei loro diritti – non per colpa dei medici e infermieri che vi operano – bensì per un assurdo blocco del turnover, dalle sembianze omicide, che si sta rendendo responsabile di morti evitabili e di assistenza mancata. Tutto questo perché (da queste parti) non si riesce ad elaborare, da sempre, una corretta politica sanitaria regionale, fatta di quelle cose che altrove trovano, di contro, cittadinanza naturale.
In Calabria no, specie per quanto riguarda l’ospedale cosentino, minacciato della sua esistenza scientifica consacrata dai successi di ieri e dalla resistenza di oggi. Ivi i cittadini non sono eguali. C’è chi strappa una assistenza ospedaliera “amicale”, costruita sulle indebite intercessioni, e c’è chi corre il rischio di trascorrere giornate intere consecutive nei pronto soccorso che sovrabbondano di bisogni di assistenza, non soddisfatti dal territorio. Un’istanza spesso disperata cui i medici “cosentini” offrono solidale rimedio solo rinunciando ai loro diritti di ordinario riposo e sacrificando orari ed energie sottratte allo loro vita normale. E sì, i medici ospedalieri dell’Annunziata (soprattutto quelli non esentati dai servizi più sacrificati) vivono per e nell’ospedale di Cosenza. Ciò allo scopo di garantire quanto ordinariamente dovuto ai cittadini, con un impegno che va ben oltre lo straordinario. Questi medici eroi offesi dall’assenza totale dei servizi fondamentali e complementari, cui rimediano le famiglie chiamate a sacrifici inenarrabili, persino di procurare le medicine nelle farmacia vicine.
A ben vedere, un dramma, presago di peggioramenti insopportabili, quali risultati di lungo periodo di una politica capace di fare male ciò che deve e del male a chi, invece, dovrebbe destinare ogni sua attenzione a garanzia dei diritti di cittadinanza. Un problema, quello calabrese, da fare assurgere ad emergenza nazionale. A proposito, diventa naturale l’insorgenza di un dubbio: quello dell’Annunziata di Cosenza è un caso isolato? In Calabria, non affatto!

 

*docente Unical

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