Quei legami "scottanti" tra Scajola e Matacena
REGGIO CALABRIA Un “uomo delle istituzioni” che in quanto tale sente di avere il dovere – non solo il diritto – di presenziare al processo che lo vede imputato. Si è definito così l’ex ministro Claud…

REGGIO CALABRIA Un “uomo delle istituzioni” che in quanto tale sente di avere il dovere – non solo il diritto – di presenziare al processo che lo vede imputato. Si è definito così l’ex ministro Claudio Scajola uscendo dal Tribunale di Reggio Calabria, al termine dell’udienza cui, dopo la revoca dei domiciliari, per la prima ha potuto assistere da uomo libero. «Sono deluso – si lascia strappare, uscendo dall’aula – poiché il mio è stato un arresto effettuato con grande eclatanza». Ma più che delusione, è probabilmente una seria apprensione quella che inizia a serpeggiare non solo nell’animo dell’ex ministro, ma anche fra i suoi legali e nel suo entourage, alla luce dei nuovi scenari aperti dalla nuova informativa che il pm Giuseppe Lombardo ha prodotto agli atti del procedimento.
SCAJOLA CONSIGLIORI DELLA GALASSIA MATACENA Trecento pagine pesantissime, risultato di un’analisi minuziosa della galassia societaria afferibile ai coniugi Matacena, che rivelano non solo che gli interessi dei due spaziavano nei campi più diversi – dalla ricostruzione all’eolico, da questo allo shipping – ma soprattutto che di quel network proprio l’ex ministro Claudio Scajola sarebbe il consigliori. Sarebbe stato lui – emerge dalle carte – a mettere a disposizione dei coniugi Matacena, avvicendatisi nel curioso incarico di “consulente” per Tecnofin, nomi, contatti e reti con cui sviluppare affari. Affari importanti, come importante – e chiacchierata – è l’impresa per cui l’ex parlamentare di Forza Italia prima, Chiara Rizzo poi, sono stati incaricati di «rappresentare e gestire i rapporti con le istituzioni pubbliche, gli enti e le aziende private (…) per lo sviluppo e la realizzazione di impianti di produzione di strutture abitative prefabbricate secondo le indicazioni fornite dalla società», ricevendo in cambio come compenso per ogni accordo realizzato, «il 2% di ogni società che sarà intestataria o proprietaria dei citati impianti produttivi oggetto del contratto di consulenza professionale. Inoltre l’accordo prevedeva un ulteriore compenso forfettario di 200.000,00 euro annue successivamente alla contrattualizzazione della prima fabbrica», più un rimborso spese. Una signora retribuzione, «fatturabile – è scritto nei contratti rinvenuti durante la perquisizione a casa della segretaria di Matacena, Maria Grazia Fiordelisi – anche ad una società appositamente indicata”, che ai coniugi veniva regolarmente erogata dalla Tecnofin.
L’AFFARE TECNOFIN Un gruppo dai trascorsi chiacchierati se è vero che tra i soci figurano gli immobiliaristi Gabriele Sabatini, coinvolto nell’affaire della Cascinazza di Monza (indagati anche Paolo Romani e lo stesso Paolo Berlusconi) e nella storia della presunta tangente al leghista Davide Boni, ex presidente del consiglio regionale lombardo, e Massimo Dal Lago, fratello di Alberto, ex amministratore delegato della Torno, immobiliare fallita dopo essere uscita malconcia dalla bufera Tangentopoli. Insieme nella Tecnofin, finiranno al centro di un nuovo affare relativo alla realizzazione di due maxi-commesse per la costruzione di new town prefabbricate in Russia. Commesse che tramite Matacena e la Rizzo, o meglio i loro buoni uffici, i caporioni della Tecnofin avrebbero sperato di ramazzare anche in Cina, Brasile, Libia, Iraq, India, Etiopia e Nigeria. Erano questi i Paesi verso cui i coniugi Matacena sarebbero stati, in varie fasi, delegati a operare, secondo quanto sarebbe emerso dalla carte rinvenute dalla Dia, avrebbero sfruttato anche i contatti che nel tempo avrebbe loro fornito l’ex ministro Scajola, all’epoca titolare della pesantissima delega alle Attività produttive.
QUELLA LETTERA SCOMODA PER SCAJOLA Nonostante nell’interrogatorio abbia mostrato di non ricordare bene gli affari sviluppati da Matacena all’estero, riferendo solo di aver scritto per l’ex politico una lettera di presentazione indirizzata all’ufficio commerciale dell’Ambasciata di Delhi, a inchiodarlo, ci sarebbe una lettera inviata dall’ex parlamentare di Forza Italia, riconvertitosi in quegli anni in “consulente”, all’amministratore delegato di Tecnofin, Sabatini, informato da Matacena «dell’incontro che ho avuto a Roma il 30 ottobre scorso in mattinata con l’interlocutore abituale al quale, come da te sollecitatomi, ho chiesto che ci si attivasse anche per l’Iraq in contemporanea con la Libia eventualmente con diverso canale operativo». Di quella lettera, nell’informativa depositata agli atti viene riportato solo uno stralcio, ma estremamente significativo, in cui si legge che quel misterioso “interlocutore abituale” avrebbe fissato a Matacena «l’incontro con l’ing. Goti, direttore generale che lo ha seguito nei suoi viaggi istituzionali in Iraq ed è la persona che tiene con detto Stato i rapporti per conto del ministero delle Attività Produttive». Un dettaglio che avrebbe permesso agli investigatori di individuare in Claudio Scajola quell’interlocutore abituale cui nella lettera si fa riferimento, anche perché proprio Goti era persona di estrema fiducia del ministro Scajola e suo strettissimo collaboratore.
LE INTERCETTAZIONI COMPROMETTENTI Un’ipotesi investigativa che sarebbe stata suffragata anche dalle parole dello stesso ex ministro. È il 15 gennaio 2014, il giorno del compleanno dell’ex ministro, che però non esita ad accompagnare la Rizzo a Bernareggio per quella che Scajola, in sede di interrogatorio, si limita a definire una riunione con «un avvocato per discutere una cosa che poteva portarle qualche utilità», ma che in realtà altro non sarebbe stato che un incontro d’affari fra Lady Matacena, che all’epoca aveva già sostituito il marito nel ruolo di consulente, e l’ad di Tecnofin Sabatini, presente insieme a Pierluigi Bartoloni, intimo amico di Giorgio Fanfani e leader della Marketways International a F.Z.C – società ubicata a Sharjah, non lontano da Dubai e legata alla Tecnofin da apposito contratto di coordinamento – e i fratelli Dal Lago. Un incontro di cui Scajola – che non esita ad accompagnare la Rizzo a Milano in una giornata per sua stessa ammissione pienissima – dice di non sapere nulla. «Le ho fatto praticamente da autista», riferisce quasi indignato ai magistrati, cui spiega «capivo che era una donna sola, turbatissima, che si era trovata a scoprire un mondo completamente opposto a quello che lei sapeva, quindi cercavo di assecondarla, cercando di portarla però alle mie conclusioni». Eppure, ingannando le ore di attesa al telefono con la segretaria, Roberta Sacco, dopo essersi lamentato per il ritardo della Rizzo, sarà lo stesso ex ministro ad affermare: «Lì è una iniziativa con suo marito, che l’ha portata avanti lui, che avevo seguito anch’io, se lo ricorderà anche lei … che lei dice, “io ci vado perchè, se per caso andasse avanti e funzionasse io ne avrei un vantaggio!”, capito? Per quello l’ho fatto volentieri, insomma, no, eh!». Una conversazione appuntata come rilevante dagli uomini della Dia che grazie a Scajola avrebbero avuto conferma di un’ipotesi investigativa che sembra preludere a una ricostruzione – estremamente inquietante – dei rapporti fra politica e grande impresa in Italia.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it