Processo Scajola, il piano dell'ex ministro per salvare Matacena
REGGIO CALABRIA Giacca e cravatta hanno lasciato il posto a un giubbotto che non si toglie mai nel gelo dell’aula 12 del Tribunale di Reggio Calabria, come sempre siede quasi dietro il pm, ma oggi l’…

REGGIO CALABRIA Giacca e cravatta hanno lasciato il posto a un giubbotto che non si toglie mai nel gelo dell’aula 12 del Tribunale di Reggio Calabria, come sempre siede quasi dietro il pm, ma oggi l’ex ministro Claudio Scajola sembra più nervoso che mai. Presentatosi puntuale all’udienza del processo con rito ordinario che lo vede imputato insieme a Roberta Sacco, la segretaria dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, per aver aiutato quest’ultimo a sottrarsi all’esecuzione di una condanna definitiva per mafia, Scajola non la smette un secondo di parlare.
IL NERVOSISMO DI SCAJOLA
Mentre uno dei principali testimoni d’accusa, il vicequestore aggiunto della polizia di Stato, all’epoca delle indagini in forza alla Dia di Reggio, Leonardo Papaleo mette in fila conversazioni, intercettazioni, attività tecniche e riscontri incrociati che hanno incastrato l’ex ministro, Scajola bisbiglia, commenta, ribatte alle affermazioni dell’investigatori, in un dialogo continuo con i suoi legali Patrizia Morello e Elisabetta Busuito che da brusio si trasforma in quel rumore di fondo che quasi fa saltare i nervi al pm Giuseppe Lombardo. Il sostituto procuratore della Dda reggina, per un po’ sopporta, ma dopo quasi due ore di costante mormorio chiede al presidente di invitare l’imputato a un comportamento più consono e silenzioso. Non fosse altro – dice il pm – perché con i suoi continui commenti, l’ex ministro rischia solo di fornire ulteriori elementi alla pubblica accusa. Scajola, punto sul vivo, per un po’ tace. Poi di tanto in tanto ci riprova a commentare, fulminato dalle occhiatacce dei legali, coscienti forse che il quadro che si va delineando è tutto fuorché rassicurante.
UNA RETE ESTESA E MULTIFORME
Dalla deposizione del vicequestore Papaleo emerge infatti una rete estesa, multiforme e tutta impegnata su un unico obiettivo: permettere a Matacena di dribblare l’esecuzione della condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e garantirne la piena operatività. Una rete che vede al centro Claudio Scajola e Chiara Rizzo – impegnati tanto ad assicurare all’ex parlamentare di Forza Italia la libertà, come una consistente provvista economica – come tutto il network di conoscenze più o meno intime di cui i due possono disporre. Non a caso, per permettere alla Rizzo le manovre bancarie necessarie ad aprire un conto corrente alle Seychelles non riconducibile né a lei né al marito, Scajola non esiterà a scomodare tutte le sue conoscenze nel mondo grande delle banche italiane e non, mentre sembra essere stato il socio del figlio di Scajola, Daniele Santucci, a fare da “messaggero” fra Matacena all’epoca latitante alle Seychelles e l’ex ministro, il quale prontamente riferirà notizie sulla “mamma” alla consorte. Un dialogo quasi surreale quello captato dagli investigatori, che nonostante le cautele adottate da Rizzo e Scajola non avranno alcuna difficoltà a decodificare anche grazie allo scivolone di Lady Matacena che si fa scappare «La mamma? E’ tranquillo?».
IL RUOLO DEI FRATELLI FANFANI
Ma la rete che si muove attorno ai due non si ferma qui. Dentro – e con un ruolo forse ancora tutto da definire- ci sono anche i fratelli Giorgio e Cecilia Fanfani, non solo immediatamente disponibili a mettere la Rizzo in contatto con personaggi più o meno noti del proprio network, come quel Piergiorgio Bartoloni, intimo amico del figlio del noto statista e leader della Marketways International a F.Z.C – società ubicata a Sharjah, non lontano da Dubai e legata alla stessa Tecnofin con cui Matacena era in rapporti – che Lady Matacena incontrerà nel corso di una misteriosa riunione. I fratelli Fanfani verranno anche consultati tanto da Scajola come dalla Rizzo dopo il fermo dell’ex parlamentare di Forza Italia a Dubai, per fornirgli la migliore assistenza legale possibile. La scelta cade sugli avvocati Ottavia Molinari e Abdul Malik, in un primo tempo contattati per le operazioni necessarie al rinnovo del visto, necessario al prolungamento della permanenza di Matacena alle Seychelles e poi vagliati per assistere il latitante catturato dall’Interpol. Un’assistenza costosa – in due, presentano una parcella da oltre mezzo milione di euro– ma che a detta di quella stessa Rizzo che oggi tenta di farsi passare come sprovveduta rimasta povera in canna «non è un problema».
IL FERMO A DUBAI, INCIDENTE DI PERCORSO
Il problema è che i due si riveleranno poco efficaci, per questo Lady Matacena sguinzaglierà sul posto lo storico difensore dell’ex parlamentare di Forza Italia, Enzo Caccavari, incaricato di comprendere come stiano le cose, e inizierà una serie di frenetiche consultazioni con Carlo Biondi, figlio del più noto ex guardasigilli Alfredo – che «ha vissuto 13 anni a Dubai, conosce il sistema e se la vedrà lui» ricorda la Rizzo – con il quale viene concordata infine la scelta dei legali, le mosse da fare e l’albergo in cui Matacena soggiornerà dopo la scarcerazione. Mosse stabilite in fretta anche perché – stando alle conversazioni intercettate e oggi riferite in aula da Papaleo – il fermo di Matacena non era nei piani. Al contrario, si fa scappare la Rizzo, «ma come è possibile, cioè, prima ci dicono una cosa, poi lo fanno fermare là». Una frase che lascia presagire approfondimenti – e forse guai – per i figli del noto politico Dc, ma soprattutto che danno il metro della macchina di influenze, rapporti, relazioni che si era messa in moto per tutelare l’ex parlamentare calabrese. E non solo dal punto di vista strettamente logistico. Lady Matacena – ipotizzano gli inquirenti e confermano gli elementi emersi a seguito delle perquisizioni – non solo avrebbe “lavorato” per garantire al marito un comodo rifugio che ne preservasse l’operatività, ma sarebbe anche la reale dominus dell’operazione di intestazione fittizia che avrebbe permesso a Matacena di spostare la titolarità di diverse società, con sede nei più diversi paradisi fiscali.
LO SVUOTAMENTO DELLA SOCIETA’
Un’operazione a orologeria, ricostruita in dettaglio dalla Procura, e che secondo i pm sarebbe stata scadenzata sulla base del complicato e lungo iter dei procedimenti a carico di Matacena. Un’ipotesi già emersa nelle prime fasi di indagine e confermata dalle successive acquisizioni, a partire da quelle scaturite dagli approfondimenti disposti sul materiale sequestrato a casa di Maria Grazia Fiordelisi, segretaria e custode dell’archivio riservato dei coniugi. Ed è proprio in quell’archivio che i segugi della Dia hanno rinvenuto un fitto carteggio fra Lady Matacena e l’avvocato Giovanni Battistini, conoscente di Cecilia Fanfani, insieme al fratello Giorgio indagata nell’inchiesta Breakfast. «Specificatamente – scrivono i segugi della Dia in una dettagliata informativa depositata agli atti dell’inchiesta Breakfast – emerge un inequivocabile interessamento da parte di Chiara Rizzo in un affare consistente nella realizzazione di centrali idroelettriche da realizzarsi in Italia ed in territorio estero (Albania)». Un progetto portato avanti con con l’Avv. Rossi, l’arch. Ettore Tarsitani, con il cugino di questi Gaetano Tarsitani e con Giulio Dall’Olio,che per i pm si inquadra nel tentativo di riavviare l’operatività del gruppo societario, anche diversificandola e che corre parallelo allo svuotamento delle società riferibili ai coniugi. Dopo un iter travagliato, i procedimenti a carico dell’ex parlamentare di Forza Italia sono vicini al giro di boa della sentenza, il rischio di un accertamento patrimoniale cresce e il gruppo Matacena sembra avere fretta di far sparire ogni traccia di sé, senza lasciarsi alle spalle troppe voragini.
CHIARA LA DOMINUS
A incaricarsi della faccenda è proprio la Rizzo, che quando il marito si allontana dall’Italia e dall’
Europa prende personalmente in mano le redini degli affari, a partire da quel progetto di costruzione di centrali elettriche in Albania sviluppato in tandem con i Cavalieri di Malta, organizzazione registrata presso la contea di Nassau a New York, rappresentata in Italia da Franco Rossi, avvocato iscritto all’Ordine di Latina, Gran Cancelliere del Knights of Malta OSJ e amministratore delegato della “Osj Knights of Malta Foundation” società di diritto inglese emanata dall’Ordine. Ufficialmente, si tratta di una fondazione che si occupa di «interventi umanitari e iniziative caritatevoli» – si legge nello statuto – mirate principalmente «alla tutela dell’infanzia, alla lotta contro la fame, alla promozione di salute ed educazione», ma saranno loro a presentarsi dai Matacena, nell’occasione rappresentati dalla società Morning Breeze, offrendo sull’unghia un finanziamento da 50 milioni di dollari, che per il gruppo che all’epoca annaspa fra il contenzioso legale aperto con la Caronte e i mutui da restituire alla Marfin Egnatia Bank, la banca popolare di Cipro che ospita i conti correnti riferibili alle società liberiane orbitanti nella galassia societaria dei Matacena, è una vera e propria boccata d’ossigeno. Un’operazione su cui più di uno storico collaboratore dei coniugi aveva espresso ragionevoli perplessità, ma che sarà l’avvocato Battistini a bocciare seccamente, paventando alla Rizzo ipotesi di natura penale e rifiutandosi di seguire legalmente la pratica, paventando il chiaro rischio di una contestazione di intestazione fittizia di beni. Un’analisi corretta – stando a quanto oggi viene contestato alla moglie e ai collaboratori di Matacena e Scajola – ma i cui elementi il vicequestore Papaleo dovrà ancora finire di riferire.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it