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La ferocia delle ‘ndrine in Umbria: «Stasera me lo gioco a Robertino»

La ‘ndrangheta in Umbria c’è, è radicata, ma non si limita a infiltrarsi nel tessuto economico della regione. Le ‘ndrine, in primo luogo quelle originario del cirotano, gestiscono il traffico di st…

Pubblicato il: 14/01/2015 – 20:36
La ferocia delle ‘ndrine in Umbria: «Stasera me lo gioco a Robertino»

La ‘ndrangheta in Umbria c’è, è radicata, ma non si limita a infiltrarsi nel tessuto economico della regione. Le ‘ndrine, in primo luogo quelle originario del cirotano, gestiscono il traffico di stupefacenti, spacciano e in caso di “sgarri” uccidono. Roberto Provenzano, muratore 37enne originario di Maida, in provincia di Catanzaro, nella notte tra il 28 e il 29 maggio del 2005 è morto per questo. A costargli la vita sono stati un debito mai pagato e diverse incomprensioni con l’organizzazione capeggiata da Salvatore Papaianni, Vincenzo Bartolo e Francesco Elia, che nei primi anni 2000 gestiva il traffico e lo spaccio di droga a Perugia. Inquirenti e investigatori lo sospettavano da tempo, per quell’omicidio già diversi anni fa hanno incastrato il presunto esecutore materiale, Gregorio Procopio – sul quale oggi pende il giudizio della Cassazione – ma non erano riusciti a risalire né ai mandanti, né agli organizzatori del fatto di sangue. Un risultato oggi raggiunto grazie al prezioso contributo di due testimoni di giustizia, ma anche delle migliorie tecniche che hanno reso possibile utilizzare gran parte delle conversazioni captate e registrate nel corso di quelle indagini. Conversazioni dalle quali emerge – in maniera inequivocabile – l’ordine di morte impartito dai vertici della ‘ndrina.

 

LA CONDANNA A MORTE DI PROVENZANO
Il 28 maggio, qualche ora prima dell’omicidio, gli investigatori registrano infatti una conversazione fra i due elementi di vertice della ‘ndrina in zona – Papaianni e Bartolo – uno dei sodali, Antonio Procopio, e quello che sarà scelto come killer, Gregorio Procopio.

Papaianni: Ah compare no no no … , ammazza a questo va …

Bartolo: spara, ….. spara
Papaianni: ah! a chi? Mi dai i soldi in contanti? Me li dovresti dare a me duemilacinquecento euro in contanti per cinque anni, lo vuoi ammazzare ad uno? Gli devo dare ancora a lui millecinque e gli vuoi dare ancora la “gomma” … A me che cazzo me ne frega di questo qua dai … E no no … Compà …
Bartolo: Ammazza, ammazza …
Papaianni: Ammazza a questo qua …
Bartolo: Compà … Cioè vogliamo sapere quando hai finito tutto
Gregorio: Chiaro!
Papaianni: La pistola la trovi tu

 

LA PIANIFICAZIONE

È evidente che si parla dell’omicidio di un uomo, che il delitto già da tempo è stato pianificato e che l’ordine è preciso. Provenzano è diventato scomodo, si “permette” di pretendere troppo e va eliminato. E se i capi ordinano, il sodale esegue. Ancor prima di portare a termine l’incarico, lo stesso Gregorio – registrato dagli investigatori – lo comunicherà a Francesco Elia, un altro elemento di vertice dell’organizzazione.

Francesco: Lo dovete tummare?

Gregorio: mh!
Francesco: Ah? Lo dovete tummare? ….. Lo ha detto Salvatore, lo ha detto? …. Papaianni?
Francesco: Si pensa che qua fa un’altra fine … (alludendo a Provenzano Roberto)
Gregorio: Ma mi dispiace perché è oggi, però stasera me lo gioco a Robertino
Gregorio non è convinto, a Elia dice testualmente «vuoi parlà con la sincera verità? non doveva togliere le cose così», ma gli ordini sono ordini e non si discutono. Provenzano morirà nella notte tra il 28 e il 29 maggio, ucciso da un colpo a bruciapelo, sparato – diranno i rilievi degli investigatori – da qualcuno che conosceva e a cui aveva aperto la porta. Ma il suo omicidio diventerà anche un monito non solo per i sodali ma anche per tutti quelli che con Procopio, Elia e Papaianni avranno in futuro a che fare.

 

I TESTIMONI DI GIUSTIZIA INCASTRANO IL CLAN
Lo hanno messo a verbale solo qualche mese fa di fronte ai magistrati di Perugia i testimoni di giustizia Luciana Marca e Giuseppe Mastrototaro. Lui è un dipendente del ristorante della compagna di Antonio Procopio, lei, l’ex moglie di Nicola Conforti, uomo dell’organizzazione. Quando la donna ottiene l’allontanamento giudiziario del marito per maltrattamenti e inizia una relazione con Mastrototaro, il clan prima estende sulla coppia la propria “benedizione”, poi – quando i due tentano di allontanarsi – non gradisce. Iniziano le minacce e le intimidazioni, i due vivono in un clima di paura tale da indurli a rivolgersi agli inquirenti per chiedere protezione. In cambio, forniranno informazioni preziose su quanto nel tempo Procopio si era fatto sfuggire con loro. Anche su quell’omicidio ancora non pienamente risolto. «Nell’occasione del ritrovamento del cadavere di un calabrese trovato in Ponte Felcino, nei pressi di via Puccini – riferisce Mastrototaro ai magistrati – mi diceva che era stato l’autore affermando testualmente “in questo c’è il mio zampino” e in altre occasioni precisando dell’omicidio di Provenzano Roberto di Ponte Felcino, Procopio Antonio mi diceva che i carabinieri non avevano capito niente perché l’esecutore dell’omicidio era stato Gregorio e lui stesso aveva fatto scomparire l’arma». Un delitto «necessario» – mette a verbale l’uomo – «per dei problemi legati ad una partita di stupefacente che era arrivata dalla Calabria e c’erano stati dei problemi di “spartizione del territorio”. Di questo omicidio non mi parlava entrando ulteriormente nel dettaglio ma in più di qualche occasione lo utilizzava da esempio dicendo che erano capaci di farlo e di uscirne puliti».

 

ESECUTORI E MANDANTI
Dichiarazioni confermate dalla compagna Luciana Marca, che agli inquirenti spiegherà: «Procopio Antonio mi diceva che i carabinieri non avevano capito niente perché l’esecutore dell’omicidio era stato Gregorio e lui stesso aveva fatto scomparire l’arma». Ancor più dettagli sarà in grado di dare il compagno, che rivela: «Procopio Antonio mi disse proprio chiaramente di essere complice dell’omicidio che era stato materialmente commesso dal cugino Gregorio. Io tornato da Livorno presi in affitto una casa che era di Affatato Giuseppe e dopo un paio di mesi, posto che non pagavo più l’affitto, Procopio Antonio mi disse di stare attento ad Affatato perché era stato il mandante dell’omicidio di Provenzano, eseguito da Gregorio Procopio e nel quale lui, Antonio, aveva nascosto la pistola. Voglio precisare che io non sapevo e non so nulla di questo omicidio di Provenzano. Mi disse, dicendomi di stare attento ad Affatato che “Affatato è la stessa persona per la quale Gregorio ha sparato” facendomi cosi capite che Affatato era colui che aveva dato l’ordine a Gregorio di uccidere Provenzano».

 

L’ULTIMA INTIMIDAZIONE
Informazioni usate come velate minacce, aggiungerà la compagna di Mastrototaro, che per completare il quadro afferma: «Antonio (…) mi spiegò appunto che aveva accompagnato Gregorio in occasione dell’omicidio e che successivamente aveva nascosto la pistola. Provenzano aveva un debito di droga e Affatato, che comandava Gregorio, ordinò a quest’ultimo di uccidere Provenzano e se non lo avesse fatto, avrebbe ucciso Gregorio stesso. L’ordine, dunque, era arrivato da Affatato Giuseppe che in quel momento si trovava in Calabria». Un monito, un esempio con cui Procopio sperava di terrorizzare la donna. «Nel tragitto di andata – dice la Marca – mi aveva raccontato dell’omicidio Provenzano, e lo ha fatto quando io gli dissi che ero stanca di quella situazione e che volevo denunciarlo». Ma quella velata minaccia che voleva indurre la donna al silenzio non è stata che la goccia che ha fatto traboccare un vaso ormai stracolmo di intimidazioni, violenze psicologiche e velate promesse di morte.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it