Il “Nano” continua a parlare
REGGIO CALABRIA Di lui, per molto tempo, non si è saputo più nulla. Oltre un anno dopo l’arresto, che ha interrotto la misteriosa latitanza di cinque mesi dopo la fuga dal programma di protezione, Ni…

REGGIO CALABRIA Di lui, per molto tempo, non si è saputo più nulla. Oltre un anno dopo l’arresto, che ha interrotto la misteriosa latitanza di cinque mesi dopo la fuga dal programma di protezione, Nino Lo Giudice sembra caduto nell’oblio. Ma il controverso pentito, scomparso nel giugno del 2013 e rintracciato nel novembre dello stesso anno, sta continuando a collaborare – a quanto pare in maniera proficua – con la magistratura. Al reticente mutismo mostrato quando è stato chiamato a testimoniare dopo il suo ultimo arresto, il “Nano” – dicono fonti ben informate – in questi mesi avrebbe messo a disposizione dei magistrati informazioni nuove su aspetti che mai erano stati affrontati nella prima fase della sua collaborazione. Non più tardi di un mese fa, le dichiarazioni del collaboratore sarebbero state al centro di un delicatissimo e blindato vertice alla Dna. Ma attorno a un tavolo in via Giulia a Roma, non sarebbero stati convocati solo i magistrati di Reggio Calabria e Catanzaro, che fin dall’inizio della collaborazione si sono occupati del pentito, ma anche sostituti e aggiunti delle procure di Caltanissetta, Catania, Palermo, Milano, Firenze e Roma.
L’OMBRA DI “FACCIA DI MOSTRO”
La ragione sta nella natura, nuova ed esplosiva, delle rivelazioni del collaboratore che, a quanto è dato sapere, riguarderebbero anche la stagione delle stragi e la misteriosa figura di “Faccia di mostro”, il misterioso “killer di Stato”, coinvolto nelle indagini sul fallito attentato dell’Addaura, sull’omicidio del poliziotto Nino D’Agostino, come nelle inchieste su altri misteriosi fatti di sangue che hanno preceduto o seguito le stragi in cui hanno perso la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che in tanti – dal padre dell’agente ucciso, alla figlia del boss palermitano Vincenzo Galatolo – hanno identificato nel calabrese Giovanni Aiello. Ex poliziotto in servizio a Palermo, con il volto deturpato dalla lunga cicatrice che gli ha lasciato un colpo di fucile, Aiello ha dismesso ufficialmente la divisa nel ’76. Da allora – ha sempre dichiarato – sarebbe tornato a fare il mestiere di pescatore in Calabria, nel Catanzarese che gli ha dato i natali, come il padre e il nonno prima di lui. Ma per i pm, che adesso lo hanno iscritto nel registro degli indagati di tre Procure differenti, non è così. Su di lui, grava il sospetto di essere uno dei tanti killer di Stato, che negli anni neri della Repubblica, per conto di ancor più oscuri pezzi delle istituzioni, si sono prestati a fare il lavoro sporco, necessario per coprire trattative imbarazzanti, nascondere verità eversive per il potere e, forse, per uccidere chi a quelle verità si stava avvicinando. Con queste accuse la Procura di Caltanissetta lo aveva iscritto nel registro degli indagati per poi chiederne ed ottenerne l’archiviazione nel dicembre del 2012. L’anno scorso però, Aiello è nuovamente finito al centro di un’indagine non solo della procura di Calatanissetta, ma anche di quelle di Reggio Calabria e Palermo, che insieme hanno ordinato agli uomini della Digos di passare al setaccio gli appartamenti che risultano intestati a suo nome, alla ricerca di tutti gli elementi utili e necessari a dissipare la nebbia dietro cui l’ex poliziotto ha nascosto gli ultimi quarant’anni di vita.
IL PRIMO MEMORIALE DEL “NANO”
Ma sul misterioso agente dal viso deturpato anche Nino Lo Giudice in passato si era fatto sfuggire qualcosa. Nel primo memoriale con cui aveva interrotto il silenzio seguito alla sua precipitosa fuga, il “Nano” aveva infatti affermato che l’ex sostituto della Dna Gianfranco Donadio lo avrebbe convocato per un colloquio investigativo il cui scopo sarebbe stato solo quello di «impiantare una tragedia a persone a me sconosciute (tale Giovanni Aiello e una certa Antonella che non sapevo che esistevano e che malgrado la mia opposizione a tale richiesta ho subìto forti pressioni e minacciato che se non rispondevo quella sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo visti. Accettai quanto mi veniva suggerito dal dottor Donadio, facendomi firmare quanto a lui conveniva». E da lui Donadio avrebbe preteso di sapere notizie non solo su entrambi i personaggi – che Lo Giudice avrebbe ammesso di aver conosciuto solo perché sotto pressione – ma anche delle confidenze che tale Aiello gli avrebbe fatto sugli «attentati Borsellino e di omicidi avvenuti in Sicilia ai danni di due poliziotti in borghese e di altro omicidio consumato ai danni di un bambino sempre in Sicilia». In più, aveva scritto all’epoca il “Nano”, «chiesi io a lui di suggerirmi i nomi di queste persone di cui parlava e così mi disse che si trattava di un certo Aiello e una certa Antonella tutti e due facevano parte a Servizi deviati dello Stato e che la donna era stata ad Alghero in una base militare dove la fecero addestrare per commettere attentati e omicidi e che era solito recarsi a Catanzaro in una località balneare per trascorrere il periodo estivo». In realtà, sospettano oggi i magistrati di diverse procure, Nino Lo Giudice non avrebbe avuto necessità di alcun suggerimento su “Faccia di mostro”, ma questa non sarebbe una semplice intuizione investigativa.
LE CONFERME DI VILLANI
Al riguardo infatti, dettagliate e circostanziate informazioni sono arrivate anche dal pentito Consolato Villani, cugino e per lungo tempo braccio destro di Nino Lo Giudice, che anche in pubblica udienza di fronte al Tribunale di Caltanissetta ha affermato che proprio il Nano nel 2002-2003 «mi parlò di ex esponenti delle forze dell’ordine, appartenenti ai servizi segreti deviati, che un uomo deformato in volto, insieme a una donna avevano avuto un ruolo nelle stragi di Falcone e Borsellino. Per la strage di Capaci erano tutti e due sul posto, insieme a uomini di Cosa nostra. Avevano partecipato alla commissione della strage. L’uomo, mi disse Lo Giudice, era brutto, malvagio, un mercenario, ma la donna non era da meno. Mi disse che questi personaggi erano vicini alla cosca Laudani e alla cosca catanese di Cosa nostra (i Santapaola, ndr). L’uomo era coinvolto anche nell’omicidio di un poliziotto in Sicilia». Soggetti che stando a quanto pubblicamente dichiarato, Villani almeno una volta avrebbe incontrato insieme a Lo Giudice, in occasione di un incontro organizzato nel 2007-2008. «L’uomo – ha detto in aula il pentito – era particolarmente brutto, sfregiato o deformato sul lato destro all’altezza della mandibola, come se avesse subito un intervento. Aveva i capelli neri brizzolati, più lunghi del normale, mentre la donna li aveva alle spalle, lisci. Quando sono entrato si sono fermati, c’è stato uno scambio di sguardi poi sono andato via. Nino non mi ha mai detto niente ma io ho dedotto che si trattasse degli stessi soggetti di cui mi parlava per la descrizione che mi fece dell’uomo».
L’OMBRA DEI SERVIZI SULLE STRAGI
All’epoca Villani non avrebbe saputo altro sui due, perché con il Nano «non eravamo di pari grado». Tuttavia qualche informazione in più sarebbe in seguito riuscito a carpirla. Stando a quanto dichiarato dal collaboratore i due avrebbero avuto un ruolo di mediazione fra la ‘ndrangheta e Cosa nostra in occasione delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Rispondendo alle domande dei pm di Calatanissetta, Villani ha infatti affermato: «Avevano il duplice ruolo nell’organizzazione della strage e nel recupero dell’esplosivo, nel senso di interessarsi su dove trovarlo. Per questo hanno mediato». Stragi su cui il Nano – ha riferito l’ex braccio destro – è in possesso di informazioni molto precise: «Lo Giudice mi disse che la strage di Capaci era voluta dai servizi segreti deviati e da appartenenti allo Stato deviati. Che Cosa nostra è stata usata come manovalanza. L’obiettivo era dare un avvertimento allo Stato perchè al suo interno era contrapposta una corrente di personaggi legati a Cosa nostra, per non far uscire fuori fatti di corruzione e collusione di esponenti pol
itici. Si è deciso di eliminare persone che stavano dando disturbo in quel momento per varie indagini. In accordo con questi personaggi romani è stato deciso di commettere le stragi. Lo Giudice aggiunse che dietro la strage di via D’Amelio c’era la stessa motivazione». Parole pesantissime e informazioni ancor più scottanti, su cui probabilmente Nino Lo Giudice è stato a lungo interrogato. Ma le risposte potrebbero essere solo in quei verbali che per adesso rimangono top secret.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it