Quirinale, il nuovo "Vietnam" del Parlamento
Stavolta non ci sarà un Giorgio Napolitano a salvare la faccia, e non solo quella, a una classe politica sempre più debole e lacerata. Nel 2013 l’elezione del nuovo capo dello Stato, di fatto “saltò”…
Stavolta non ci sarà un Giorgio Napolitano a salvare la faccia, e non solo quella, a una classe politica sempre più debole e lacerata.
Nel 2013 l’elezione del nuovo capo dello Stato, di fatto “saltò”. Nel senso che fu Giorgio Napolitano, con quella storica decisione di accettare un nuovo mandato (sebbene a tempo), a salvare il Parlamento che era letteralmente imploso.
Allora era bastato mettere in circolazione alcuni nomi che subito scoppiò una bomba, poi un’altra e dopo un’altra ancora. Cadde così la testa di Bersani (che non meritava di essere volgarmente tradito dai famigerati 101) e prima ancora quelle di due storiche figure del centrosinistra: Franco Marini e lo stesso Romano Prodi, mentre Massimo D’Alema venne azzoppato ancora prima di entrare in corsa.
Intanto le piazze grilline mettevano in scena un misero teatrino che doveva servire solo a far saltare qualsiasi intesa. Venne così bruciato, al suono di Ro-dotà, Ro-do-tà, il professore che avrebbe potuto davvero rappresentare una svolta per gli equilibri politici del Paese. Ma Grillo e Casaleggio, si sa, tutto vogliono tranne che trovare intese e accordi con i partiti politici.
Finito il breve secondo mandato di “Re Giorgio”, non avendo un nome prestigioso e internazionalmente spendibile come quello di Napolitano, la “fiera delle follie quirinalizie” sta facendo le prime vittime.
E questa volta, se non si trova subito un nome spendibile, a rischiare di brutto è l’intero sistema istituzionale.
Con il rischio che dal caos venga fuori un presidente indebolito in partenza, privato sul nascere della necessaria autorevolezza e della forza che sono indispensabili per guidare dal Colle i destini della legislatura e del Paese.
I primi segnali sono devastanti. Oggi Stefano Fassina (desideroso con Civati e i famigerati 101) di colpire e affondare Matteo Renzi (perchè è questo l’obiettivo non dichiarato di tanti) ha emesso un vero e proprio bollettino di guerra: «Il caso Cofferati peserà notevolmente sul voto per il Quirinale».
L’eterno insoddisfatto Pippo Civati gli fa subito eco: «A Cofferati risposte volgari, dovremmo dimetterci tutti». E visto che c’è, annuncia un nuovo partito della sinistra con gli eterni nostalgici della “cosa rossa” a macchie tardo cattoliche.
E mentre Prodi, spaventatissimo, fa sapere di non voler correre, entra in scena Alfano: «Adesso il Colle spetta al centrodestra, negli ultimi 20 anni l’area moderata non è mai stata rappresentata sul Colle. Anche lì serve un giovane». Gli risponde a stretto giro di posta Cesare Damiano della sinistra Pd: «Al Quirinale una personalità di livello internazionale e di sinistra». E mentre il presidente Grasso, supplente al Quirinale, fa sapere che non sa se tornerà ancora a presiedere il Senato, la presidentessa della Camera, Boldrini, preoccupata perchè il suo nome ancora non circoli, stamane è stata chiarissima: «Il Parlamento non può essere solo un’assemblea di ratifica». Bisogna, dice, dunque coinvolgere tutti i parlamentari: «I cittadini li hanno eletti e spetta loro prendere le decisioni». Chiaro!
E ovviamente non aiuta Grillo che con la consueta finezza culturale afferma: «È un mercato delle vacche presidenziali», pronto com’è a chiedere immediatamente le dimissioni del presidente eletto (con Travaglio che ha già raccolto una dozzina di dossier-scandalo, Salvini che spara nel mucchio e sospetta che si elegga al Colle un profugo di Lampedusa!).
Su tutti dimostra una seria preoccupazione e fa una lucida analisi il presidente del Pd Matteo Orfini: «In questi giorni il Pd si gioca tutto, forse è il passaggio decisivo». «Serve un nuovo presidente della Repubblica che sia all’altezza di Napolitano, che abbia un profilo di garante delle istituzioni e che abbia forza e autorevolezza internazionali nel rappresentare l’Italia».
Il quadro è quanto mai chiaro: qui si gioca la faccia del Paese, mentre si rischia seriamente il futuro delle istituzioni democratiche. Lo ha capito benissimo Matteo Renzi, consapevole che l’obiettivo vero è proprio lui. Per questa ragione deve evitare a tutti i costi di finire nelle sabbie mobili del Parlamento a seduta comune. E per ottenere questo serve una rosa di 3-4 nomi prestigiosi, per poi ridurla a un nome solo da eleggere immediatamente.
Quanto successo per l’elezione dei giudici della Corte costituzionale nei mesi scorsi, non è stato altro che un assaggio di quanto potrebbe accadere per il Quirinale.
*Ex parlamentare