ROMA Una cellula ‘ndranghetista legata alla cosca Pelle-Nirta-Giorgi di San Luca e radicata nella Capitale, dove gli esponenti mafiosi hanno potuto contare su una fitta rete di connivenze, in grado di garantire completo anonimato e fornire supporto logistico ai latitanti calabresi, è stata sgominata dagli uomini della polizia di Stato e dai militari della Gdf di Roma che, alle prime ore dell’alba, hanno eseguito una misura cautelare personale emessa dal Tribunale di Roma. Sono state eseguite ordinanze di custodia cautelare in carcere e ai domiciliari per 31 persone per i reati di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico internazionale (con l’aggravante mafiosa e del reato transnazionale), lesioni, ricettazione, estorsione, danneggiamento, favoreggiamento personale, simulazione di reato, possesso e fabbricazione di documenti falsi e porto e detenzione abusiva di armi. Alla base dell’inchiesta ci sarebbe anche un prezioso documento sequestrato nel corso di precedenti indagini e perquisizioni. Si tratta di un quaderno contenente i riti e i meccanismi procedurali per l’affiliazione alla ‘ndrangheta, denominato “codice San Luca”, che nei mesi scorsi è stato decifrato dagli investigatori.
Inoltre, sono state eseguite oltre 35 perquisizioni tra Lazio, Calabria, Liguria e Piemonte. Perquisita anche la Cooperativa Edera, oggetto delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, secondo il quale la cooperativa, coinvolta anche nell’operazione Mondo di mezzo sulla cosiddetta inchiesta Mafia Capitale, era disponibile per la solo formale assunzione di ‘ndranghetisti. Sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, i finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Roma – gruppo investigazione criminalità organizzata – e i poliziotti della locale squadra mobile hanno accertato quindi l’operatività nella Capitale di un agguerrito gruppo criminale, connotato da modalità mafiose, specializzato nel narcotraffico internazionale e resosi responsabile di gravi fatti di sangue avvenuti a Roma. In particolare, le Fiamme Gialle del Gico. sono riuscite a ricostruire in maniera analitica le rotte delle ingenti partite di droga importate nella Capitale, pervenendo al sequestro di circa 600 chilogrammi di narcotico tra cocaina e hashish. Gli esponenti apicali del sodalizio investigato, originari di San Luca, risultano da anni radicati in città, nei quartieri Appio-San Giovanni, Centocelle, Primavalle ed Aurelio, dove possono contare su una fitta rete di connivenze, in grado di garantire completo anonimato e fornire, all’occorrenza, supporto logistico ai latitanti calabresi.
Il gruppo criminale, gerarchicamente organizzato, è risultato vantare, peraltro, anche importanti ramificazioni a Genova, Milano e Torino, località ove costituivano consolidate basi logistiche, necessarie al momentaneo stoccaggio delle partite di droga importate. Le indagini, in sintesi, hanno documentato come la cellula criminale ‘ndranghetista, forte di propri emissari, stanziati in Colombia e Marocco, fosse in grado di trattare, alla pari, con i più agguerriti cartelli di narcos colombiani e risultasse determinata a monopolizzare il mercato della droga capitolino, ponendosi come referente affidabile e competitivo per le altre organizzazioni criminali operanti sul territorio, sia collegate a diverse ‘ndrine calabresi sia per soggetti contigui a clan camorristici del napoletano. Il tutto per un giro d’affari di decine di milioni di euro che, inevitabilmente, sarebbero stati immessi nel circuito legale dell’economia, andando ad alterare quelle regole di concorrenza che sovrintendono al regolare andamento del mercato. In aggiunta, aderendo alla volontà della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma di attribuire ampio respiro alle attività investigative, per il tramite della Direzione Centrale Servizi Antidroga, venivano avviati paralleli approfondimenti anche in Sudamerica e Spagna, dove venivano individuate strutturate basi operative gestite dall’organizzazione criminale investigata.
L’OMICIDIO FEMIA
Parallelamente alle descritte investigazioni, sempre sotto il coordinamento della Distrettuale Antimafia di Roma, la Polizia ha svolto indagini originate dall’omicidio di Vincenzo Femia, ritenuto il referente sul territorio romano della cosca Nirta, alias Scalzone, di San Luca, assassinato a Roma il 24 gennaio 2013 con tipiche modalità evocative del metodo mafioso, a opera di un commando di killer formato da Massimiliano Sestito, Francesco Pizzata, Antonio Pizzata e Gianni Cretarola, arrestati dalla Squadra mobile di Roma per il reato di omicidio volontario aggravato dall’art. 7 l. 203/91 per aver agevolato l’operatività della ‘ndrangheta, con articolazioni territoriali operanti in Calabria e nella provincia di Roma. A seguito dell’arresto, il contributo fornito da un indagato, che aveva ammesso di far parte della ‘ndrangheta calabrese, ha fornito decisivi elementi che hanno consentito di individuare un nucleo direzionale rappresentato da soggetti di elevatissimo spessore criminale, stabilmente dediti al traffico internazionale di stupefacenti ai massimi livelli, e caratterizzato, nel contempo, oltre che dal contesto criminale di appartenenza, dalla disponibilità di armi e da una considerevole potenzialità offensiva; ai sodali sono stati contestati, con l’aggravante del metodo mafioso, i reati di lesioni, ricettazione, estorsione, danneggiamento, favoreggiamento personale, simulazione di reato, possesso e fabbricazione di documenti falsi e porto e detenzione abusiva di armi.
In questo contesto è emerso che il movente dell’omicidio era da ricollegare a contrasti sorti nella spartizione del mercato della droga nella Capitale, gestito da due potenti cosche di ‘ndrangheta di San Luca che avevano trasferito i propri interessi economici a Roma, in particolare quella dei Nirta, rappresentata dai fratelli Crisafi, e quella dei Pizzata, che faceva capo a Giovanni Pizzata; in città operavano figure di grande rilievo e prestigio criminale, tra le quali Massimiliano Sestito, Giovanni Pizzata e Bruno Crisafi. Proprio Giovanni Pizzata aveva costituito nella Capitale un gruppo di fuoco composto, tra gli altri, da Massimiliano Sestito e da Gianni Cretarola, gravati da precedenti per omicidio. Tra gli episodi loro ascrivibili, va menzionato il ferimento di un marocchino ad Ardea, responsabile di aver occupato illegalmente una abitazione già occupata da un amico di Giovanni Pizzata, nonché il ferimento di Teodoro Battaglia, carrozziere gambizzato nell’ottobre 2012 per aver mancato di rispetto nei confronti di Gianni Cretarola e Massimiliano Sestito, che si erano recati presso la carrozzeria per rintracciare un parente della vittima che aveva un debito pregresso con Francesco Sestito, zio di Massimiliano. Nel corso delle indagini è stato ricostruito e contestato un episodio estorsivo in danno di un imprenditore, consumato mediante utilizzo di armi da fuoco, con la medesima aggravante dell’aver agevolato la ‘ndrangheta. L’attività di polizia giudiziaria di oggi ha visto l’impiego di oltre 450 tra militari della Guardia di Finanza e agenti della Polizia di Stato, con il supporto di elicotteri ed unità cinofile. Supporto all’attività della polizia giudiziaria capitolina è stato fornito poi dal personale delle Questure e dei Comandi delle Fiamme Gialle operanti nelle province di Reggio Calabria, Bologna, Torino, Pescara, Terni, Catanzaro, Frosinone e Genova, oltre che dai Reparti Speciali e di Polizia Scientifica, dai “Baschi Verdi” della Gdf nonché dal Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria.
IL GIP SUGLI INDAGATI: ABILI, SPREGIUDICATI E SCALTRI
«Vale la pena richiamare l’attenzione sull’incessante impegno profuso dagli indagati nella pianificazione delle condotte criminali, sulla abilità tecnica, sulla spregiudicatezza e sulla scaltrezza dagli stessi dimostrate in ogni iniziativa intrapresa, il tutto nella piena consapevolezza di apportare contributo fattivo alla operatività e al r
afforzamento delle cosche di ‘ndrangheta attive in Calabria, a Roma e provincia». Così il gip del Tribunale di Roma, Roberto Saulino, descrive i destinatari delle misure cautelari dell’operazione della squadra mobile di Roma e della Guardia di finanza. «Sulle attività illecite risultano, del resto, incentrati in via prioritaria gli interessi economici coltivati dagli indagati, come esaustivamente dimostrato dal loro stabile inserimento nei canali di fornitura e distribuzione dello stupefacente – scrive il gip nelle 684 pagine di ordinanza cautelare – dalla fitta trama di collegamenti e interscambi stabiliti (con impressionante frequenza) con omologhe realtà criminali (sono emersi contatti continuativi con gruppi organizzati di stanza in Europa e nel Sudamerica), dalla testata capacità di organizzare (anche con progettualità a medio e lungo termine) l’importazione di ingenti quantitativi di stupefacenti di diverse tipologie».
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