REGGIO CALABRIA Sono pene pesanti quelle chieste questa mattina dal pm Antonio De Bernardo ai giudici del tribunale di Locri per gli ex amministratori alla sbarra nel processo “Falsa politica”, tutti accusati di essere più o meno vicini al clan Commisso che proprio grazie a loro sarebbe riuscito per decenni a piegare al proprio volere la vita amministrativa, economica e sociale di Siderno.
Dodici anni di carcere sono stati chiesti per l’ex consigliere regionale Cosimo Cherubino, mentre è di dieci anni la richiesta di pena avanzata per Domenico Commisso. Richieste severe sono arrivate anche per gli uomini del clan finiti alla sbarra. Per il pm De Bernardo, dovrebbe infatti passare dodici anni dietro le sbarre Antonio Commisso, classe 1973, mentre è di nove anni di carcere la condanna invocata per Rocco Commisso, Damiano Rocco Tavernese, Rocco Tavernese e Giovanni Verbeni. Con diversi compiti e ruoli, ma con obiettivo e intento comune, per la pubblica accusa sono infatti tutti espressione di quel sistema che ha preso in ostaggio l’amministrazione pubblica di Siderno e l’ha resa schiava dei voleri del clan. Le ‘ndrine – ha svelato l`inchiesta della dda reggina, che completa ma non conclude il filone investigativo sul quale sono state tessute indagini come “Il crimine”, “Recupero-bene comune” e “Locri è unita” – erano arrivate fino ai gangli della vita politica del paese della Locride.
A determinare i destini di un’intera comunità era infatti il clan Commisso, la cui benedizione era necessaria per tentare la scalata in politica. Per questo, politici di ogni colore e schieramento si presentavano dal boss Giuseppe Commisso, “U mastru” che da dietro il bancone della sua lavanderia “Apegreen” dispensava buoni consigli e ricordava le regole che nessuno poteva permettersi il lusso di infrangere. Tutte conversazioni registrate e analizzate dagli investigatori e destinate a pesare su un procedimento che si candida ad essere prima di tutto una fotografia impietosa della politica e della società della Locride e non solo. Cosimo Cherubino – ha svelato infatti l’inchiesta – era l’uomo che i clan avevano scelto come proprio rappresentante in consiglio regionale.
Al riguardo, scriveva infatti il gip Silvana Grasso nell’ordinanza di custodia cautelare «dalle indagini emerge, in particolare, con assoluta chiarezza il tentativo di condizionamento dell’esito delle consultazioni regionali del marzo 2010 seguito nella fase organizzativa in presa diretta dalle intercettazioni che danno anche conto dell’esito parziale conseguito, avendo reclutato per il proprio candidato una impressionante quantità di preferenze, idonea a riconoscergli, in ogni caso, una posizione di prestigio politicamente rilevante, nonostante la erronea collocazione in una compagine non idonea a farlo vincere. Ad essere stato prescelto da Commisso Giuseppe, era stato il candidato Cherubino Cosimo, già esponente del partito Socialista Italiano e dal dicembre 2009 – conclude – transitato nel Popolo delle libertà».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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