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IL SUICIDIO DI GIUSTI | Quei legami scomodi con i clan

MONTEPAONE Ha deciso di farla finita impiccandosi nella solitudine della sua casa di Montepaone, l’ex gip del Tribunale di Palmi Giancarlo Giusti, da tempo sospeso dal Csm dopo la condanna a quattro…

Pubblicato il: 15/03/2015 – 14:36
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IL SUICIDIO DI GIUSTI | Quei legami scomodi con i clan

MONTEPAONE Ha deciso di farla finita impiccandosi nella solitudine della sua casa di Montepaone, l’ex gip del Tribunale di Palmi Giancarlo Giusti, da tempo sospeso dal Csm dopo la condanna a quattro anni rimediata nel processo contro le cosche Valle Lampada a Milano. Il primo ma non l’ultimo dei guai giudiziari di Giusti, che qualche anno dopo verrà colpito da una nuova ordinanza di custodia cautelare emessa su richiesta della Dda di Catanzaro, mentre il suo nome è saltato fuori in diverse inchieste cha hanno inchiodato le ‘ndrine della Piana. Troppe forse per l’ex togato. L’ex gip di Palmi aveva già tentato il suicidio il 28 settembre del 2012 nel carcere milanese di Opera in cui era detenuto a seguito dell’inchiesta della Dda di Milano. Allora fu soccorso dalla polizia penitenziaria e trasportato all’ospedale meneghino in prognosi riservata, poi sciolta nel giro di pochi giorni. Oggi, però nulla ha potuto salvare l’ex magistrato.

 

QUEI LEGAMI SCOMODI
Arrestato per la prima volta il 28 marzo 2012, con l’accusa di corruzione aggravata dalle finalità mafiose e concorso esterno, era stato lo stesso Giusti a fornire agli inquirenti gli elementi per incastrarlo, documentando pedissequamente in un diario tutti i “regali” con cui il boss Giulio Lampada l’ha progressivamente legato a sè. Regali in carne ed ossa, messi a disposizione per le voglie degli amici. Regali mercenari, come il sesso offerto dalle Elisabetta, Desiree, Olga, Simona, Natascia, che il giudice incontra e che Lampada paga. Una circostanza che sarà confermata dall’amante di Giulio Lampada che ai magistrati dirà candidamente : «So che quanto Giusti Giancarlo veniva a Milano, alloggiando all’hotel Brun, Giulio si occupava delle spese del soggiorno, comprensive di cene e della compagnia di ragazze che Giusti portava in camera sua. So che per il loro “disturbo”, Giulio dava loro 500 euro». Ruffiano, chaperon e finanziatore dei vizi degli amici, Lampada probabilmente sapeva già prima di incontrarlo che Giusti aveva proprio nelle donne il proprio punto debole.

 

LA TRAPPOLA DI GIULIO LAMPADA
Lo aggancia a Venezia a fine settembre 2008 e neanche una settimana dopo, il 6 ottobre, Giusti – ospite gradito di Giulio Lampada che pagherà viaggio, soggiorno e compagnia – è già a Milano, tra le braccia di quelle donne di cui diventerà schiavo. E di cui scriverà quotidianamente in quel file .rtf che gli inquirenti troveranno nel suo portatile e in seguito lo hanno inchiodato. «Il diario giornaliero del magistrato – scrivevano al riguardo i magistrati della Dda di Milano – esprime una personalità alla affannosa ricerca di affari, soldi, sesso e vantaggi personali da trarre strumentalmente da ogni rapporto interpersonale». Seppur riportato in modo parziale nelle carte, quel file per gli inquirenti è un eccezionale «specchio dell’agire e della personalità di Giusti», così come un elemento prezioso per tessere all’indietro la ragnatela con cui Lampada ha avviluppato il giudice in un «rapporto personale assolutamente intimo – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – come attestato dalle numerose telefonate intercorse tra i due».

 

DIARIO DI UNA SCHIAVITÙ
Quello che per i magistrati è uno dei principali boss in Lombardia, emanazione diretta del clan Condello di Reggio Calabria sa che al giudice Giusti le donne piacciono. Molto, troppo. Ma quel tipo di donne e di relazioni costa. Molto di più di quanto un dipendente dello Stato si possa permettere. Ed è lo stesso Giusti a riconoscerlo – costernato, frustrato – in quel diario che oggi si è trasformato in un atto di accusa . «A Milano, mi accorgo che per mantenere Simona occorrono soldi. Fatto amore. Meglio essere chiari con lei: aspettare di fare affari o non vederci più. Non voglio spendere soldi se non per i figli. Lo stipendio serve solo a questo!». Donne esigenti, serate costose, ristoranti di lusso e weekend impegnativi: Giulio Lampada ha di fronte a sé la strada spianata per coinvolgere l’ex gip di Palmi nelle sue trame, convertendolo nel suo socio in affari, ma soprattutto nei suoi occhi e nelle sue orecchie al Tribunale di Reggio Calabria, dove Giusti vantava – o millantava – agganci e amicizie. Che il magistrato non ha un solo attimo di esitazione nel mettere “a disposizione” di un uomo di ndrangheta.

 

«PERSONAGGIO FRAGILISSIMO ED ESPOSTO ALLA TENTAZIONE DELL’ILLECITO»
«Il quadro complessivo che emerge è deprimente – concludono quasi con amarezza i magistrati della Dda milanese, nell’ordinanza con cui chiedono l’arresto del loro collega -. Le pagine di diario riportate sono solo una quota parziale (e quelle mancanti non sono certo meglio). Ma tutte propongono gli stessi temi ricorrenti: ossessione per il sesso, per lo più a pagamento, esigenze economiche legate ad un tenore di vita sicuramente elevato, spasmodica ricerca di occasioni di guadagno parallele in operazioni immobiliari e di varia altra natura. Giusti appare come personaggio fragilissimo e, per costume di vita, esposto alla tentazione di condotte illecite. E quindi è comprensibile – dato gravissimo in termini di pericolosità sociale – come egli ceda immediatamente ai richiami di Lampada che offre da subito donne pagate, divertimenti, affari, conoscenze utili».

 

LE ACCUSE DI CATANZARO
Un’analisi calzante quella del gip milanese, che verrà confermata anche dalla seconda ordinanza cautelare che nel tempo ha colpito Giusti, in grado di vendere anche ingiustificabili scarcerazioni in cambio di ingenti somme. È quanto hanno scoperto i magistrati di Catanzaro, che nel febbraio 2014 hanno incriminato Giusti per la sentenza che nell’agosto del 2009 aveva rimesso in libertà Domenico Bellocco, alias “Micu ‘u lungo”, Rocco Bellocco e Rocco Gallo, arrestati con l’accusa di essere parte dell’omonimo clan operante in Rosarno e territori limitrofi ed in Granarolo dell’Emilia. Agganciato dal faccendiere Domenico Punturiero, Giusti avrebbe ceduto alle lusinghe dei clan, aggiustando la sentenza di quel procedimento di cui era relatore, salvo poi pentirsene amaramente. E ad annotare sempre sul suo diario informatico, a qualche settimana da quella ingiustificabile decisione, sul suo diario informatico. «Il destino provvede a farmi aprire gli occhi sulla necessità di essere più discreto. Più uomo. Ancora mi svendo per la compagnia, per l’affetto, per la solitudine. E tutti ne approfittano. Amici e donne».

 

 

Alessia Candito
a.candito@corriercal.it

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